Il cardinale Angelo Scola, in occasione della festa del Redentore, ha messo a tema una riflessione sul dolore. Su quel tema lo ha intervistato Aldo Cazzullo, per il Corriere della Sera. Nell’intervista Scola ha raccontato un episodio che lo ha molto colpito.
Agostino diceva che l’uomo è, in quanto tale, una “magna quaestio”. Io penso che, al cuore di questa “grande domanda”, l’interrogativo sulla sofferenza e sul dolore porti il peso decisivo. E il mio intento è di richiamare tutti noi a guardare in faccia a questo fondamentale della nostra esistenza per imparare, come ho visto che imparano gli ammalati e i loro familiari. Ho visitato una serie di ammalati gravi, tra cui almeno tre ammalati di Sla. E ho visto che cosa significa l’accompagnamento amoroso dei familiari e degli amici e anche della comunità cristiana nei confronti di chi deve portare una prova di questo genere. In particolare mi ha colpito un padre di 48 anni, totalmente immobilizzato, che comunica solo con le palpebre superiori, attorniato dai tre figli che gli indicavano delle lettere su una tavoletta, in modo da aiutarlo a esprimersi. Tre bambini di 8, 10 e 12 anni, tutti gioiosi intorno al suo letto. Mi ha detto: «Patriarca, guardi che io sono contento di vivere». In quelle situazioni lì fai un’esperienza salutare. Ti senti un verme. Non ci sono parole che tengano. Ti misuri con il grado di superficialità in cui normalmente ti mantieni nel tuo vivere. Non penso alla superficialità nel senso estetico della parola; tendenzialmente sono una persona impegnata; ma mi sono reso conto che in me il rischio di non andare alla radice è molto forte».
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