Volontariato

Scola: destino meticcio

Dialogo tra il patriarca di Venezia Angelo Scola e il sociologo Aldo Bonomi. Anticipazione dal numero di Communitas di ottobre

di Riccardo Bonacina

Aldo Bonomi: Lei ha molto riflettuto sul tema del meticciato come incontro tra culture e civiltà. Il problema, a questo proposito, è quello di come tenere insieme ciò che appare del tutto irriducibile alla composizione e all?unità. Arjun Appadurai, antropologo americano d?origine indiana, ha giustamente sviluppato il tema delle diaspora come segno distintivo della nostra epoca, e ne ha indicate tre: la diaspora del terrore, della paura e dell?odio; la diaspora della disperazione di fronte allo smarrimento della comunità originaria; la diaspora della speranza. Credo sia proprio la constatazione e l?assunzione della crisi e della debolezza di ciascuno di noi che inaugura la riflessione sul meticciamento. Le nostre identità non sono più granitiche, ma plurali. Il problema in questo meticciato o sincretismo nella diaspora è capire cosa possa fare di nuovo da collante. Angelo Scola: Lei ha posto la questione in termini che incontrano le stesse mie preoccupazioni, le preoccupazioni che già qualche anno fa mi hanno spinto ad usare questo termine: ?meticciato?, un termine che ha destato molte reazioni anche dentro la Chiesa. Ho sempre sottolineato molto il dato di partenza, occorre stare alla realtà e, nei limiti del possibile, assecondare la realtà, accompagnarla. Qualche tempo fa, a Cernobbio, ho incontrato il commissario europeo per gli Affari sociali, Anna Diamantopoulou, che tra gli altri dati statistici ha sottolineato come in questo momento sul pianeta due miliardi di persone sono in procinto di emigrare. Questo fa capire meglio che quando parlo di ?meticciato? nomino un processo in atto, non un progetto o una mia idea. Certo, io considero che la storia non è finita, ma è finito un assolutismo storico, l?idea del Novecento sposata dalle varie utopie per cui la Storia dev?essere l?autorealizzazione di un?idea a priori. La Storia invece è un insieme di processi entro cui interagiscono le libertà, la libertà degli uomini, la libertà di Dio e, per me, anche la libertà del maligno. L?interazione di queste libertà mette in atto dei processi, e uno dei processi che caratterizzano in maniera clamorosa questa nostra epoca è questo mescolamento, un mescolamento di popoli e perciò di culture e di civiltà. Quando dico meticciato, perciò, non nomino un?ipotesi teorica, non dico un?idea della Storia che deve realizzarsi. Non dico un mio modello, registro, semplicemente, un dato di realtà. I processi della realtà, in cui siamo volenti o nolenti dentro, si possono accompagnare criticamente, non siamo noi a produrli. Io marco molto la specificazione che ho dato alla definizione di meticciato, ho parlato di meticciato di civiltà e di culture. Meticciato è anche sofferenza, dolore. C?è nel meticcio la sofferenza della non appartenenza provata sulla propria pelle, mentre il bisogno di appartenenza è clamoroso nella storia dell?uomo. Io qui constato due cose. Prima di tutto, la grande lentezza di risposte di noi europei: questo processo ci ha letteralmente sorpreso. Siamo, come diceva Eliot, uomini ?un po? impagliati?, che discettano nei loro salotti piuttosto che guardare in faccia i processi della realtà e della vita. Auguriamoci di saper reagire perché, in ogni caso, la mind europea è alla radice del confronto tra civiltà e culture a livello planetario. Il meticciato ci riguarda direttamente non solo perché ?questi ci vengono in casa?, ma ancor di più perché penso che mancherebbe la grammatica stessa per intenderci se noi europei ci chiamassimo fuori. Poi, per la mia fede e per il mio compito di uomo di Chiesa, ho due convinzioni. Innanzitutto, sono certo che Dio guida la storia, che questa non è un processo cieco di cui non si conosca la radice e non si sappia dove si va a finire, ma è un processo che sta dentro un disegno e questo mi riempie di speranza. Al di là, quindi, di tutte le insicurezze che mi possono prendere e di tutte le sofferenze che si possono metter nel conto, questo mi mette in un atteggiamento di speranza di fronte a un fenomeno pur complesso, tumultuoso, a volte feroce e con la faccia della guerra… Il processo è per molti aspetti tragico, ma tutto questo non mi toglie la speranza che ci sia dietro un disegno buono. C?è poi un altro dato, che dobbiamo tener presente: tutti gli uomini convengono in un?esperienza elementare: tutti gli uomini amano, soffrono, lavorano, nascono, vivono, muoiono. La grammatica con cui provare a parlarci è dentro la stessa ?natura? umana nonostante ciascuno di noi sembri arrivare da pianeti distanti. Il disegno buono di Dio sulla storia e la comune esperienza umana sono due terreni che mi danno speranza. Essendo il meticciato un processo, i tempi non li conosciamo, i modi li dobbiamo di volta in volta inventare essendo disposti a pagare di persona per inventarli. Avendo magari sottocasa gente diversissima da noi con cui confrontarsi. O dando risposte al terrorismo magari non più in modo acritico e sproporzionato come l?Occidente ha rischiato di fare sino ad oggi. Credo sia importantissimo oggi assumerci interrogativi coraggiosi circa la pretesa di ridurre la religione a un fatto privato, la pretesa intellettualistica e astratta delle «democrazie da esportare», la pretesa di una insopprimibile libertà di coscienza che però coincide con il «vietato vietare». Insomma, grande è l?attualità della formula conciliare: il Cristianesimo genera per sua natura culture, ma non si lega a nessuna cultura. Aldo Bonomi: La pluriappartenenza identitaria è l?altra faccia del sincretismo? Angelo Scola: Qui devo fare delle precisazioni. La domanda giusta è: come in questo processo di rimescolamento di culture, di civiltà l?appartenenza originaria tiene, pur lasciandosi modificare? Io parto dall?esperienza umana della libertà. Come lei diceva ho lavorato sull?antropologia avendo insegnato per anni antropologia teologica, e quindi parto sempre da lì: per dire io, ciascuno di noi deve partire da un autopossesso (autocoscienza), ma in nessun modo questo mi può evitare di uscire verso l?altro. La libertà è sempre polare, la libertà è una continua tensione tra l?io e il tu, quindi la parola meticciato ci deve costringere a precisare in che senso io non sono spossessato totalmente dal mio io (non uso la parola identità perché si carica facilmente di equivoci e di polisemie). Così come in ogni atto di libertà gioco sempre, simultaneamente, l?io aprendomi al tu e il tu mi viene sempre incontro, e dalla continua tensione tra questi due poli io sono rigenerato, analogamente questo deve avvenire a tutti i livelli. Per quanto riguarda l?esperienza religiosa, è ovvio che non sono interessato ad una visione sincretistica della religione; non dobbiamo inventare una religione universale e neanche dobbiamo trovare la religione assoluta che poi possa essere utilizzata come collante della vita civile. Ma ciò che non possiamo più evitare, nemmeno noi italiani, è di interrogarci sul perché Colui che guida la storia che pure a me ha rivelato Gesù Cristo come unico e singolare Salvatore per tutti gli uomini, fa passare miliardi di persone attraverso la religione musulmana, l?induismo, il confucianesimo… Qui, evidentemente, è molto importante quello che diceva Papa Benedetto XVI già da teologo nel suo libro Introduzione al cristianesimo: «Il dialogo interreligioso è un elemento intrinseco, non più estrinseco, alla mia esperienza di fede». Perché il rapporto tra fede e religione inizia dentro la stessa esperienza cristiana dove non si può opporre fede a religione perché la fede è sempre incarnata in una religione. La fede deve piuttosto purificare la religione, così come la fede stessa non esiste senza esprimersi in una religione perché siamo fatti di anima e di corpo. Perciò la religione tira dentro costumi e abitudini secolari che prima sembrano necessari e poi magari si capisce che sono caduchi. In questo movimento di relazione tra fede e religione non devo più fare solo i conti con l?elemento religioso legato alla mia fede cattolica ma dovrò fare i conti con tutte le religioni, così come dovrà farlo anche il musulmano. Questo è il nodo critico. Il meticciato di civiltà che inesorabilmente fa incrociare uomini di diverse religioni non annulla le differenze, ma, come diceva benissimo Romano Guardini, porta fuori la struttura polare della realtà. Così come l?antropologia è sempre drammatica, perché l?unità a livello del finito si dà sempre a livello polare, sono uno sì, ma di anima e di corpo, sono uno sì ma di uomo e di donna, sono uno sì ma di individuo e società. Perciò ritengo che categorie come «reciprocità», «tolleranza» e «integrazione» (tutte marcatamente occidentali) si stiano rivelando insufficienti. Non tanto per i valori cui rimandano, che sono decisivi, quanto per quello che non riescono a pensare e a comunicare. Se considerate con attenzione, si rivelano infatti come categorie in cui si può annidare, soprattutto in Occidente, la tentazione di risparmiare alla libertà dei singoli e all?organizzazione dei popoli, l?urgenza di esporsi in prima persona. Parlare di «tolleranza», di «reciprocità» e di «integrazione», quindi, non può bastare. Credo occorra introdurre la categoria della «testimonianza», perché essa mette immediatamente in gioco ogni uomo e ogni donna, chiamandoli ad esporsi, a pagare di persona, a non decidere in anticipo fino a dove si può arrivare nell?incontro e nel dialogo. La possibilità dell?incontro tra diversi risiede nell?inesauribile ricerca della verità da parte del cuore umano, che a ogni latitudine palpita per lo stesso desiderio di felicità e di libertà. Se così non fosse, non si potrebbe giustificare il fatto che le culture umane, pur nella loro evidente diversità, risultino reciprocamente comprensibili: magari al termine di un lungo cammino verso linguaggi all?inizio assai lontani.


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