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«Scioperare? Serve a socializzare»

Philippe Djian, scrittore "ostaggio" dello sciopero riflette su un paese bloccato dalla protesta sociale

di Marco Dotti

Nato nel 1949, Philippe Djian è arrivato al successo nei primi anni Ottanta con 37° 2 al mattino, da poco tradotto, a cura di Daniele Petruccioli, per i tipi delle edizioni Voland. Dal romanzo, nel 1987, Jean-Jacqus Beineix trasse un film che, con il titolo Betty Blue, raccolse non pochi consensi nelle sale cinematografiche. Atteso in Italia per presentare il volume e, contestualmente, inaugurare il Festival della Creatività di Firenze, Djian è rimasto “bloccato” dalla catena di scioperi che, dallo scorso 12 ottobre, sta paralizzando la Francia. Studenti, insegnanti, operai e trasportatori hanno di fatto paralizzato il paese, manifestando il proprio dissenso da una politica (non solo economica) che, osserva Dijan, sembra essere scappata di mano al presidente Sarkozy.  Vita lo ha sentito, chiedendogli un’opinione “a caldo” sulla situazione francese. E non solo.

Vita: Qual’è la situazione in Francia, a una settimana dall’inizio degli scioperi?

Philippe Djian: La stampa esagera, la Francia non è a fuoco e sangue. A Parigi, questo è vero, non c’è benzina, ma non è come il ’68. La gente non va in macchina, io sono arrivato da Nantes con estrema difficoltà, questo semplicemente perché i francesi prima di discutere scioperano. Tutti sanno che la pensione a 60 anni ormai non è più possibile, la soglia era stata fissata da Mitterand e in seguito è diventata un simbolo. Non capisco i liceali, ma credo che la misura sia per altri versi colma e questa non sia altro che la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Capisco però un giovane che oggi scende a protestare per strada: non c’è lavoro, ormai le case a Parigi sono carissime, difficile pensare al futuro. Sarkozy certamente non immaginava che la protesta avrebbe raggiunto simili livelli, ma i giovani non ce la fanno davvero più. È comunque bello vedere in loro il piacere di lottare insieme. In Gran Bretagna privatizzano tutto e la gente non dice niente. Protestare significa anche essere uniti, stare insieme e mangiare le merguez per strada. Significa riprendersi uno spazio comune, guardarsi in faccia e riconoscersi uguali.

Vita: Lei è della generazione che aveva venti anni nel Sessantotto. Quali differenze vede tra questo clima e quello di allora?


Philippe Djian: Quando ero giovane, c’era una atmosfera comunitaria, incoraggiante, e tutti insieme si fronteggiava la polizia. C’era anche una fortissima volontà di cambiare. Io sono contro il governo, poiché penso che Sarkozy sbagli tutto. Ma davvero tutto! Mitterand, dopo la sua elezione, se ne andò a piedi con una rosa in mano fino al Pantheon. Sarkozy sa che cosa ha fatto, dopo la su elezione? Se ne è andato tranquillo al Fouquet, il ristorante dei nuovi ricchi e non contento è andato in vacanza in America. Insomma le ha sbagliate tutte. Proprio tutte. Ed è giusto che paghi dazio.

Vita: Sarkozy a parte, è questa l’Europa che ci meritiamo?

Philippe Dijan: Ho creduto nella forza dell’Europa unita, così come ho sempre creduto che l’unità europea fossel’unico modo per superare la crisi contemporanea. L’Europa ha quest’incredibile ricchezza che le deriva da così tante culture diverse, tra le quali la gente può muoversi. Era una speranza, che tutti questi popoli che a lungo si erano combattutti si riunissero, ma spesso non ci riusciamo non riusciamo a cogliere questa ricchezza e questa forza, andiamo a sbattere contro il muro della realtà. La prima immagine dell’Europa che ci viene in mente è solo un insieme  di cose noiose e burocratiche, come la taglia delle bottiglie d’acqua… Restrizioni: a tanto è ridotta l’Europa? Non si parla di presente, non si parla di avvenire comune. Anche sulla questione dei rom che ha avuto così tanta eco in questi giorni in Francia, l’Europa dovrebbe dare delle risposte. O i problemi delle banche e dei paradisi fiscali dovrebbero essere risolti a livello europeo. L’unica possibilità rimane però ancora lei, l’Europa. Non ci possiamo chiudere su noi stessi

Vita: L’impero è fragile?

Philippe Djian: Se per impero si intende l’Occidente, di certo non rimarremo così, è finito quel tempo. Ci sono di corsi e ricorsi storici, ci sono cicli, e ora ci sono i cinesi ad emergere, c’è l’Islam, con la sua cultura.

Vita: Che cosa ne pensa dello sciopero? È ancora un diritto da tutelare senza eccezioni di sorta?

Philippe Djian: Lo sciopero è un diritto acquisito, può essere noioso, può causare dei problemi, ma la gente alla fine lo accetta, perde il treno ma alla fine vede il lato divertente. Forse si poteva discutere prima, confrontarsi, ma in ogni caso è il solo mezzo. Per esempio le ferrovie francesi hanno trovato la loro soluzione per le pensioni, ma scioperano egualmente, per solidarietà.

Vita: E l’Italia? Una mobilitazione massiccia e condivisa, come quella vista in Francia, sembra impossibile…

Philippe Djian: Il “ricatto” della Fiom in Francia non sarebbe stato possibile. Lo sa perché? Se un datore di lavoro avesse proposto un referendum come quello di Pomigliano gli operai lo avrebbrero chiuso in un ripostiglio. Non si possono proporre certe risoluzioni. La rivoluzione è stata fatta qui, qui hanno invetato la ghigliottina, il nostro è un popolo “mal embouchè”.

Vita: Nonostante gli scioperi, lei ha in programma un viaggio negli Stati Uniti.


Philippe Djian: Vado a presentare i mieri romanzi, che nonostante tutto stanno andando bene. È uscito Imperdonabili, presto usciranno Incidenze e Impureté, ma gli Americani non sono interessati a quello che fanno gli altri, a loro interessa solo il business; il fatto è che questi libri sono legati a dei film. Techiné sta facendo il montaggio di Imperdonabili, che dovrebbe arrivere nelle sale nel 2011. I fratelli Larrieu realizzeranno un film da Incidenze, e poi Impurrtè sarà tratto un altro film. I romanzi in generale non vendono molto negli Usa, poi sono interessati alla letteratura soprattutto quella straniera. Apprezzano molto i musicisti stranieri e i disegnatori dei film d’animazione, ma altrimenti non si interessano molto ai nostri prodotti culturali. Noi invece compriamo tutto ciò che viene dagli Usa, i nostri giornali, le nostre televisioni parlano spessimo di loro. Ma senza separare il grano dal loglio. Anche qui, servirebbe uno sciopero. Stiamo perdendo contatto con la realtà e con le cose che ci riguardano da vicino. Dovremmo tenerne conto.


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