Politica

Scilla: i mostri esistono anche nella realt

Attorno a Scilla si agitano da sempre questi due poli: il fascino e il pericolo, cantati da moltissimi poeti, da Virgilio a Pascoli.

di Giuseppe Frangi

Quanto a nomi carichi di evocazione, non la batte nessuno. Scilla, questo piccolo angolo di paradiso affacciato sul Tirreno, a un tiro di schioppo da Reggio, in realtà, come vuole quella figura mitologica che fece impazzire di paura Ulisse, confina con l?inferno. Quando ci si affaccia dal piccolo promontorio che s?allunga sul mare, si vede la sagoma del grande pilone che sostiene i cavi della corrente elettrica tra Calabria e Sicilia. Lì, se nulla fermerà il progetto ?divoratore? di queste terre, quello del Ponte sullo Stretto, sorgerà un elemento di ben altra mole: il pilone su cui poggerà la campata unica che passa sopra quel mare infido. Scilla ha una storia millenaria. La leggenda, che ebbe grande popolarità in tutto il mondo antico, era nata per simboleggiare il pericolo costituito dalle correnti marine in prossimità dello Stretto: dal vortice che ne scaturiva, le imbarcazioni venivano spinte talvolta verso la zona sabbiosa di Capo del Faro, tal?altra verso lo scoglio di Scilla. Con i suoi scogli insidiosi, le forti correnti, i pericolosi vortici marini, le tempeste di vento che si abbattono sulla costa, Scilla ha provocato nei secoli infiniti naufragi. Non è un caso quindi che Scilla risuoni come un toponimo ?duro? sin nella sua radice: c?è chi dice che venga dal nome fenicio ?skoula?, che vuol dire roccia. E c?è chi sostiene invece una derivazione greca: da ?skillo? che significa lacero o da ?skilma? che significa brandello. In un caso o nell?altro, sono due etimologie inquietanti, che poco hanno a che spartire con il volto pacifico e miracolosamente preservato della Scilla di oggi.

Il promontorio che tanto spaventava i naviganti oggi s?incunea nel mare a dividere le due parti della cittadina: da una parte Marinagrande con le strutture turistiche e la spiaggia; dall?altra l?antico nucleo di Chianalea con il bellissimo rettifilo di case che cadono in picchiata sul mare.

Ma questa è terra permeata di mito ed è difficle liberarsene nonostante la banalizzazione consumistica a cui è sottoposta. Scendendo dall?alto per la strada che scriteriatamente rovina la costa con viadotti e tornanti, ci si accorge di un?altra leggendaria conformazione di Scilla: ha la sagoma di un aquilotto ad ali dispiegate, la cui testa è costuita dal quartiere alto della cittadina, sopra il promontorio. Giove avrebbe infatti punito l?aquila ribelle, schiantandola su questo tratto di costa: le ali aperte hanno disegnato i due archi di costa che si snodano ai piedi del crinale.

Da qualunque parti ci si giri, insomma, ci sono figure mitiche che emergono dal mare. A cominciare naturalemente da lei, Scilla, la bellissima ninfa che era solita recarsi a passeggiare a piedi nudi su questi scogli e fare il bagno nelle acque del Tirreno e che venne trasformata in mezzo mostro da Circe, a causa dallo sventurato accanimento di un pescatore-dio che si era innamorato di lei: Glauco. Bella dal petto in su e orribile dalle anche in giù, con terrificanti teste di cani che spuntavano dappertutto, Scilla si nascose per la vegogna nella grotta a fianco a quella dove abitava Cariddi. «Scilla ivi alberga », dice Omero nel canto XII dell?Odissea, «che moleste grida di mandar non ristà? dodici ha piedi, anteriori tutti, sei lunghissimi colli e su ciascuno una spaventosa testa».

Un?immagine potente, che come una calamita ha attratto qui Ovidio («Donzella un tempo fu: da molti proci chiesta tutti sprezzò») e Virgilio («Sta colla bocca spalancata Scilla, intenta a trar le navi in mezzo ai sassi»). E poi Tucidide, Plinio, Polibio, Cicerone. Ma non solo gli antichi sono stati adescati dal fascino inquietante di Scilla. Anche Pascoli non seppe resisterle. Strano destino per un angolo d?Italia che oggi deve temere un altro mostro: quello che scavalcherà il mare.

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