Non profit

Schierati sì, ma senza partito

l'editoriale/ Da tempo andiamo ripetendo che la politica di chi si mette in mezzo è l’esatto contrario della politica di chi sta in mezzo, di chi non prende posizione o media.

di Riccardo Bonacina

Quando nel 2003 Paolo Mieli era ancora considerato il pontefice massimo del ?terzismo? con il suo pool di editorialisti, Pierluigi Battista, Sergio Romano, Angelo Panebianco, Ernesto Galli Della Loggia, se la prendeva un giorno sì e l?altro pure con la sinistra giustizialista e immatura per il governo del paese. Una sinistra, pontificava il Corriere, incapace di fare i conti con la sua storia e che agita strumentalmente «pericoli di regime». Ogni giorno dispensava rimbrotti e condanne contro una sinistra colpevolmente titubante o addirittura contraria alla ?guerra per la democrazia? in Iraq di Bush e i suoi alleati. A quell?epoca, avevamo avvertito su queste colonne che il terzismo del Corriere non era nient?altro che la rivendicazione di un rinnovato potere di influenza sulla politica, e in particolare sul puzzle composito delle formazioni di sinistra, della cultura neoliberale e degli interessi imprenditoriali rappresentati nel patto di sindacato della Rcs. Sottolineavamo come il terzismo di Mieli non fosse altro che un modo intelligente di spendersi sul mercato della politica e di influenzarla, nulla a che vedere con la terzietà. Lanciando il nostro mensile, Communitas, un anno fa, avevamo provato a delineare cosa fosse per noi terzietà. «Ci interessa», scrivevamo, «dialogare con tutti coloro che avvertono quanto sia inadeguato lo spazio della rappresentanza di sé, la società di mezzo, e lo spazio pubblico, la politica. Perché molteplici sono oggi i luoghi della diaspora. Anche lo spazio della politica. Il far diaspora in politica non è il terzismo rispetto ai due poli del mercato politico, ma sentire l?esigenza di darsi nuove forme di spazio pubblico». Non si tratta, quindi, né ieri né oggi, d?invocare una neutralità rispetto alla politica. Da tempo andiamo ripetendo che la politica di chi si mette in mezzo è l?esatto contrario della politica di chi sta in mezzo, di chi non prende posizione o media. L?una è la politica di chi fa esperienze concrete di comunità: dalle cooperative di consumo alle scuole popolari per la terza età, dalle mutue alle banche cooperative e popolari. È la politica di chi fa i gruppi di acquisto solidali, di chi costruisce welfare di comunità, di chi costruisce un nuovo spazio pubblico e nuove forme di rappresentanza attraverso la partecipazione. L?altra è una forma di mediazione tutta interna al recinto della politica e che guarda alla società perché in cerca di consenso, non di partecipazione. L?una si schiera sulle cose, l?altra sulla convenienza. Vita, da 12 anni è il settimanale di chi si mette in mezzo, in mezzo ai disastri delle guerre o ai deserti sociali delle nostre città, in mezzo ai disastri dell?economia, ai resti della democrazia partecipativa e del welfare, per incoraggiare e dare voce a tutti i costruttori di società, di nuova comunità, di democrazia. Siamo convinti che senza il lavoro dei costruttori di comunità e di società alla politica, di destra o di sinistra, non rimarrà che rappresentare gli interessi di poche oligarchie e la democrazia in questo paese, chiunque governi, sarà uno spazio vietato al popolo e con sempre meno spazi di libertà. Perciò, pur sapendo quanto convenga schierare un giornale alla vigilia delle elezioni politiche, scegliamo, ancora una volta di prenderci la costosa libertà di stare con chi si mette in mezzo per preservare la possibilità di costruire un nuovo spazio pubblico e la riconoscibilità di un vero bene comune, continuando a rompere le scatole a destra e a manca.


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