Formazione

Schierarsi? Boomerang micidiale

Terzo non più Terzo. Il non profit e la politica. Intervento di Luca Fazzi

di Redazione

Da un punto di vista strategico, la scelta di esponenti di spicco del terzo settore di assumere incarichi politici formali all?interno di formazioni o comitati politici somiglia più a una scommessa che non a una razionale valutazione tra costi e benefici. In un sistema politico bipolare, legarsi a uno schieramento politico significa agganciare i possibili vantaggi della vicinanza con il potere alle fortune elettorali del partito in questione: se il partito di cui si è supporter vincerà nella contesa elettorale, ci saranno benefici per il gruppo rappresentato dai singoli sostenitori; nel caso contrario, invece, saranno più probabili gli svantaggi. Il punto è che vincere la scommessa della politica in Italia è difficile.

È più probabile che in ogni tornata elettorale esistano più vincitori che uno solo e che i vincitori in poco tempo diventino perdenti, per la legge dell?alternanza. La scelta di non essere equidistanti può rivelarsi pertanto molto problematica, in particolare nei casi in cui le coalizioni al potere non sono quelle a favore delle quali si è assunta una posizione esplicita di sostegno.
Oltre al rischio della ?scommessa sbagliata?, c?è un?altra considerazione da fare. Storicamente in Italia i rapporti tra politica e terzo settore sono caratterizzati da elevati livelli di collateralismo e corporativismo. Questo legame ?denso? con il sistema politico ha consentito di salvaguardare condizioni di sviluppo ormai tramontate in altri Paesi d?Europa, dove la competizione tra terzo settore e quello commerciale è un elemento fondante dei sistemi di welfare. Ma oggi un rapporto forte con la politica rischia di trasformarsi in un boomerang micidiale per lo sviluppo del terzo settore come attore autonomo di promozione della società civile.

Un?eccessiva contiguità dei rappresentanti del terzo settore con i partiti politici si realizza infatti all?interno di maglie sempre più strette di finanza pubblica e nell?ambito di giochi negoziali che tendono a preservare lo status quo degli assetti politici.
Chi entra nell?arena politica da protagonista istituzionale tenderà a essere assorbito da logiche di compromesso piuttosto che di rilancio di un progetto di promozione della società civile e di ristrutturazione degli assetti consolidati del welfare e delle istituzioni, che può essere realizzato soltanto con una pressione esercitata ?dal di fuori? delle istituzioni politiche.

Il potere di negoziazione di un supporter di un partito politico è infinitamente meno forte di quello esercitabile dagli organismi di lobbying tradizionali: aumenta a dismisura il suo livello di ricattabilità, la propensione al compromesso, la tentazione di anteporre l?interesse personale a quello del gruppo che ufficialmente è chiamato a rappresentare. La storia dei passaggi da ruoli di rappresentanza del terzo settore a posizioni politiche istituzionali, dal livello comunale a quello nazionale, è piena di speranze deluse, memorie corte e impegni non mantenuti.

Il rischio di avere esponenti del terzo settore impegnati ufficialmente in politica è dunque non solo quello di portare le organizzazioni non profit a muoversi in un?arena competitiva che non è la loro, ma anche di perpetuare una cultura della dipendenza dalla politica che fino a oggi ha rallentato la spinta riformatrice del terzo settore e permesso a molti di utilizzare la società civile come trampolino di lancio per carriere personali. Cosa di cui onestamente non si sentiva il bisogno.


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