Welfare

Schiave giorno e notte

Il caso delle serre di Vittoria (RG): nei campi per 15 euro, e lo sfruttamento è anche sessuale

di Redazione

Da 60 nel 2007 a 1.600 nel 2008. Più 2.566% in un anno. Oggi, nella sola frazione di Acate – la zona di Vittoria dove hanno scelto di concentrarsi – i braccianti romeni sono 774, più degli stessi italiani. Lavorano nei campi e nelle serre, 10-12 ore al giorno a raccolgiere pomodori, peperoni, zucchine. La paga si aggira sui 15 euro. Più donne che uomini, giovanissime, tra i 22 e i 25 anni, spesso con marito e figli piccoli a casa.

Lo sfuttamento per loro continua anche la notte, quando molti piccoli proprietari terrieri approfittano di loro e le mettono incinta, costringendole poi ad abortire: solo negli ultimi tre mesi al consultorio di Ragusa si sono rivolte per abortire ben 45 donne romene sole. Due hanno scelto di tenere il bambino, aiutate da padre Beniamino e dalla sua comunità, alla Fonte del Lupo.

La storia delle nuove schiave romene nelle serre di Vittoria l’ha raccontata ieri Avvenire. Un boom che ha visto, nel giro di due anni, i romeni soppiantare i tunisini, fino al 2008 la prima comunità di immigrati presenti sul territorio, in una provincia che – secondo il dossier Caritas Migrantes 2009 – con 16.414 immigrati regolarmente soggiornati è la prima di tutta la Sicilia.

«Quando un tunisino si regolarizza, il datore di lavoro lo lascia a casa e assume un romeno in nero», ha spiegato Beppe Scifo, sindacalista della Cgil. I caporali sono spesso ex braccianti africani, poi affrancatisi. I braccianti vengono assunti per 102 giorni, per i rimanenti figurano come disoccupati, e così prendono il sussidio Inps. Circa 2mila euro, che ovviamente vanno in parte anche al caporale.

Nei mesi scorsi il presidente di Confagricoltura Ragusa, Sandro Gambuzza, ha dichiarato pubblicamente e in tutte le sedi competenti «che non intendiamo rappresentare e tutelare agricoltori che sfruttano i lavoratori immigrati e che siamo pronti a fare tutte le verifiche del caso al nostro interno». La Prefettura locale ha riconosciuto lo sfuttamento delle lavoratrici come “tratta”: chi denuncia, quindi ha diritto alla protezione. Per questo la Rete nazionale antitratta con la Cgil locale sta per lanciare una campagna informativa.

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