Verso i 30 anni le copertina cult

Schiave e schiavi d’Italia: oggi come 30 anni fa

Il 25 e 26 ottobre la nostra testata festeggerà i 30 anni con un evento di due giorni alla Fabbrica del Vapore di Milano (“E noi, come vivremo?”). Ci avvicineremo al compleanno riprendendo alcuni dei contenuti che hanno segnato la nostra storia e quella del Terzo settore e del sociale italiano. Oggi è il turno della copertina del numero dell’8 dicembre 1994 dedicato alla tratta delle giovani prostitute. Povere e schiavizzate come povero e schiavizzato era Satnam Singh, il bracciante lasciato morire dissanguato nelle campagne di Latina

di Stefano Arduini

VITA era nata da poco più di un mese. L’8 dicembre 1994 il neonato “Espresso del sociale”, allora settimanale, uscì in edicola e in abbonamento con un numero intitolato “Noi schiave d’Italia”. Questo il sommario: «Dall’Africa, dall’Est, dall’Albania migliaia di minorenni giungono nel nostro Paese. Rapite, torturate e costrette a prostituirsi a soli 15 anni. I nostri inviati hanno raccolto le prove del mercato delle nuove schiave». 

Scriveva da San Benedetto del Tronto Mirella Pennisi nel pezzo di apertura: «Sì, lo schiavismo abita qui. E non siamo nelle miniere del Sudafrica, nella foresta amazzonica e tanto meno nei campi di cotone degli Stati del sud, dopo aver compiuto un fantastico quanto improbabile viaggio nel tempo. Ma qui, nella opulenta e turistica costa adriatica. Qui, dove si addensa la più alta percentuale di tossicodipendenti e l'”Italia bene” aspetta di ammassarsi e bruciarsi al sole estivo. Schiavi, anzi, schiave. Qui a San Benedetto del Tronto si può dire “schiave”. Bambine rapite, o convinte con l’inganno a venire in Italia, poi costrette a prostituirsi, con la violenza che solo gli esseri “umani” conoscono quando dimenticano di essere tali. I carabinieri hanno sgominato tutta una banda. Dodici albanesi il cui arresto è stato convalidato con l’accusa di “riduzione in schiavitù”.

E nei corridoi del tribunale di Ascoli si dice che anche il pubblico ministero sarebbe d’accordo. Se questa voce fosse confermata, per la prima volta in Italia un tribunale si troverebbe a giudicare in base all’articolo 600 del codice penale: “Chiunque riduca una persona in schiavitù, o in condizione analoga alla schiavitù, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni”. Del resto, qui le prove sono schiaccianti. I carabinieri del nucleo operativo di San Benedetto, comandati dal tenente Luca Luini, hanno trovato Mirela, 15 anni, incaprettata nel bagno, segregata ormai da tre giorni. Il pube bruciato dalle sigarette, il corpo tumefatto. Lei proprio non voleva prostituirsi e quella era la punizione. Era partita da un paesino dell’Albania pochi mesi prima, convinta, come tante altre ragazze, di trovare un lavoro come cameriera…». 

Un’atrocità come quella subita da un altro schiavo della nostra Italia: Satnam Singh, il bracciante lasciato morire dissanguato nelle campagne di Latina. Oggi come 30 anni fa interi settori del mercato del lavoro (legale e illegale) italiano si reggono sullo sfruttamento delle persone, in particolare di quelle che hanno una storia di migrazione. Trent’anni che ci consegnano la fotografia di una politica inadeguata, ma eletta democraticamente (non dimentichiamolo). 

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