Cultura

Scandalo rifugiati a Londra: il governo li fa vivere in topaie

Non c'è pace per il governo di Tony Blair: dopo le gemelline adottate via internet e le trasfusioni alla mucca pazza, ecco spuntare la vergogna degli alloggi statali "invivibili"

di Gabriella Meroni

La Gran Bretagna è scossa e indignata per il trattamento riservato dal governo ai rifugiati che ottengono asilo nel territorio britannico, spesso costretti ad accettare case al limite della decenza pur di non dormire in strada. Lo rivela un’inchiesta pubblicata dal Guardian ma realizzata dall’organizzazione non profit Shelter. Il rapporto curato dai volontari di Shelter si è basato sulle irregolarità riscontrate degli ispettori sanitari recatisi in visita in alloggi abitati da rifugiati: una casa su sei era stata dichiarata “inadatta all’abitazione da parte di essere umani” soprattutto a causa di gravi guasti negli impianti elettrici e delle condizioni pietose in cui si trovavano le cucine. Ma gli ispettori si sono anche imbattuti in casi di giovani ragazze messe a dormire in appartamenti abitati da soli uomini o di bambini assegnati a case lontano dai genitori. Spesso i letti erano molti meno degli abitanti degli appartamenti, le case erano infestate dai topi o mancavano del riscaldamento. Dal 1997 al 2000 il numero dei rifugiati in Gran Bretagna è quasi triplicato, passando da 1276 a 3365; nello stesso periodo è entrato in vigore l’Asylum and Immigration Act, una norma con cui si è proibito ai rifugiati politici di avere accesso alle case popolari. Di conseguenza i rifugiati, notano i responsabili di Shelter, accettano normalmente qualsiasi abitazione, e si guardano bene dal protestare per non essere accusati di un comportamento ribelle e quindi rischiare di perdere il diritto all’asilo. Da quando è stato introdotto, l’anno scorso, un servizio nazionale di aiuti ai rifugiati (il National Asylum Support Service -NASS) le cose sembrano volgere verso un miglioramento. Anche i responsabili di Nass, avverte però Shelter, hanno deciso di continuare a stipulare contratti con proprietari privati di case per alloggiare i rifugiati, e l’associazione teme che i controlli non siano sufficienti.


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