Non profit

Scaltri ingenui, la comunità si racconta con un film

La Casa del giovane di Pavia, i suoi ospiti e i suoi operatori sono diventati i protagonisti di un documentario che intende abbattere gli stereotipi e i pregiudizi legati ai giovani con problemi di tossicodipendenza, per mostrare come le persone, se valorizzate, possono mostrare una bellezza nascosta che bisogna saper vedere

di Veronica Rossi

«Accogliendo persone da 40 anni, ho visto come in questa società del nulla, quelli che vengono considerati “scarti”, se valorizzati, possono diventare delle risorse. Negli altri c’è sempre una parte bella, che bisogna trovare e fare uscire». A parlare così è Simone Feder, educatore e psicologo, coordinatore dell’area Giovani e dipendenze della Casa del giovane di Pavia, organizzazione senza scopo di lucro fondata nel 1971 per dare ospitalità a giovani con problemi di tossicodipendenza. L’Onlus, i ragazzi che accoglie e gli operatori – in particolare della struttura Casa accoglienza, in trovano spazio, ascolto e cura fino a 15 persone, anche adolescenti con provvedimenti del Tribunale dei minori – sono diventate protagoniste di un documentario dal titolo «Scaltri ingenui», diretto da Fabio Longagnani e prodotto dalla casa di produzione milanese Kinema, attualmente in fase di postproduzione. «L’obiettivo principale è andare a spezzare il cliché dietro alla figura del drogato in comunità», spiega il regista; «dietro al personaggio c’è una persona, una situazione».

Il progetto è nato da un bisogno di far conoscere la verità dietro lo stereotipo dell’accoglienza dei tossicodipendenti. «Un giorno ho chiesto a un educatore della struttura se conoscesse qualcuno che potesse aiutarci a raccontare cos’è davvero una comunità, questo costrutto che a volte spaventa», ricorda Feder, «perché molti pensano al carcere, a una vita ristretta. Invece è tutt’altro. Ci sono persone che si meravigliano perché i cancelli sono aperti e perché è proprio questo il motivo per cui le persone restano. Oggi non c’è coercizione nella rieducazione, non deve esserci. Così è arrivato Fabio, che ha saputo cogliere con delicatezza tutti questi aspetti». Il regista è entrato in punta di piedi nella realtà di Casa accoglienza, si è preso del tempo per osservare, conoscere, comprendere. Esplorare la soggettività di ogni ragazzo, imparare ad apprezzarla. Ed è così che è nato, quasi spontaneamente, un percorso di collaborazione coi ragazzi che sono diventati protagonisti sia davanti che dietro la macchina da presa. Erano coinvolti, infatti, non solo come attori, ma anche nello sviluppo creativo e nel supporto tecnico. «Il titolo, “Scaltri ingenui”, è stato deciso proprio da loro», commenta Longagnani, «è una citazione dei Doppi di Italo Svevo. La scaltrezza, l’abilità, che questi ragazzi hanno acquisito in situazioni difficili viene messa a fianco all’ingenuità, anche l’innocenza, di un adolescente di 16 anni».

Questi giovani hanno delle potenzialità e delle possibilità da vedere e raccontare, che rischiano di andare perdute se i ragazzi vengono schiacciati sullo stereotipo del drogato, del criminale. La narrazione si concentra, in particolare, su tre degli ospiti, che hanno storie molto diverse tra loro. Non c’è, come crede chi si approccia all’argomento con superficialità, una solo modo di arrivare alla tossicodipendenza per tutti. «Non c’è la storia, ci sono le storie e sono talmente soggettive da far venire le vertigini», chiosa il regista. «Sono talmente variegate che io, in un mese, ne ho viste solo una parte: il documentario dura 45 minuti, ma poteva essere molto più lungo. Si va da Christian, un sedicenne che per dei problemi si è allontanato dal nucleo familiare, entrando in un ambiente negativo, fino a Daniele, che si è messo in una situazione che promette fama, ricchezza, si è trovato nella possibilità di vendere sostanze e di avere 3mila euro al giorno, per arrivare a Riccardo, il più grande dei tre, che è arrivato alla droga avendo un’età diversa e una visione differente sulla vita e sul futuro». A essere coinvolti, anche due educatori, figure che svolgono un ruolo fondamentale nel percorso degli ospiti: rappresentano il filo conduttore tra l’esterno e l’interno, degli adulti che fungono da guida e da appoggio e svolgono un ruolo di mediazione con le istituzioni e la famiglia. L’investimento sul film è stato fatto dalla Casa del giovane e da Kinema, ma, ora, è attivo un crowdfunding per chi volesse contribuire al progetto. La cifra raccolta, oltre a coprire una parte dei costi di produzione, andrà a finanziare l’iscrizione a festival e la distribuzione della pellicola, in modo da far arrivare a più persone possibile il messaggio. «Lo slogan è “La salvezza è negli occhi di chi guarda», conclude Longagnani. «Un ragazzo può impegnarsi e fare il suo percorso, ma finché la società lo vede solo come un tossico non ci può essere salvezza: il nostro scopo è cambiare lo sguardo, mostrare chi sono davvero queste persone».


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA