Formazione

Sbrissa: «La formazione professionale, chiave per ridurre il mismatch tra scuola e lavoro»

«Parliamo di lavoro del futuro, ma quel lavoro è già qui. Per capirlo, basta guardare il modello vincente della formazione professionale», spiega l'amministratore delegato di Enaip Veneto. Più che un disequilibrio tra domanda e offerta, aggiunge, c'è una percezione errata da parte di chi «ancora pensa che i tecnici siano lavoratori di serie B, mentre numeri e dati dimostrano il contrario»

di Marco Dotti

«La tecnica è bellezza e il lavoro professionale è il mix vincente di tecnica, bellezza e competenza». Giorgio Sbrissa è Amministratore delegato di Enaip Veneto e dal marzo, scorso, presidente di Forma Veneto, l’associazione regionale degli enti di formazione professionale di ispirazione cristiana, di cui fanno oggi parte Cnos-Fap Veneto (Salesiani), Ficiap Veneto, Enaip Veneto, Fondazione San Nicolò, Fedform Veneto, Ciofs-FP, Irigem e Centro Produttività Veneto. Sbrissa parla con grande passione di «quell’enorme bacino di capacità di generare futuro che è la formazione professionale». Un tema, questo, che accanto al rapporto tra scuola e società, tra scuola e formazione e tra formazione e lavoro è al centro del numero di settembre di Vita.

Oggi si parla molti di mismatch tra formazione e lavoro. È una narrazione sbagliata?
Come in tutte le narrazioni c’è del vero e c’è del falso. Io ritengo, però, che spesso si parli senza conoscere bene la realtà. La realtà ci dice, ad esempio, che la maggior parte delle volte non è la formazione ad essere carente, ma sono le imprese a non essere ancora pronte a cogliere l’enorme competenza che si sta formando. Detto questo, il problema di rappresentazione permane.

In che modo permane?
Parliamo del lavoro del futuro, ma ci rapportiamo al lavoro del presente come se il lavoro del presente fosse… quello di trent’anni fa! Facciamo un piccolo esperimento mentale: chiudiamo gli occhi. Ora riapriamoli. Che cosa vediamo? Vediamo un cellulare, un computer, una stampante, una scrivania. Chi ha realizzato i progetti, chi elaborato i dettagli, chi ha realizzato tutto questo? Quasi sempre ragazzi e ragazze usciti dalla formazione professionale. Una formazione professionale altamente specializzante. Oggi, se vai su un tornio, non fai più il lavoro di trent’anni fa… Sei quasi un ingegnere… Per questo dico che la formazione professionale è davvero la forza propulsiva del domani. Ma è una forza che si radica nell’oggi e in tutti quei percorsi che dobbiamo contribuire a rendere più inclusivi….

Lei accennava alle ragazze, c’è una questione di genere?
Certamente, perché in Italia quando si ragione ad esempio di meccanica si stenta a immaginare una professionalizzazione delle ragazze. In altri Paesi è la normalità.

Dove sta il problema?
Ancora una volta nell’immaginario. Un immaginario che dobbiamo rovesciare, anche partendo dalle famiglie.

Talvolta ancora si crede che la formazione professionale porti scarsa remunerazione e lavoro poco gratificante o qualificante…
Assolutamente falso, oltretutto chi si forma professionalmente non ha problemi a trovare collocazione anche all'estero. I problemi di lavoro li ha chi punta su competenze generaliste. Il problema che ha la formazione professionale casomai è un altro.

Riguarda lo specifoco del quarto anno è molto banale: sono figure così richieste che già al terzo anno le aziende puntano a portare i ragazzi con sé. Siamo noi a insistere affinché i ragazzi finiscano il percoso anche con il quarto anno. Questo è già un indice di quanto le aziende ricerchino i nostri ragazzi e le nostre ragazze.

L'abbandono scolastico, tema riemerso con drammaticità, tocca anche la formazione professionale?
Dove c'è formazione professionale l'abbandono scolastico è bassissimo.Se penso alla mia Regione, il Veneto, noto tassi di abbandono scolastico inferiori alla Svezia: sotto il 10%.

Come se lo spiega?
La formazione professionale fa un 50% di pratica e l'altra di teoria. Questo permette di giocare tra le molteplici intelligenze che abbiamo. Una scuola di tipo tradizionale punta a un'unica intelligenza e, su quella, articola i propri giudizi. Ma noi sappiamo che le intelligenze sono almeno di dodici tipi. Un ragazzo che "non va bene a scuola" può avere, semplicemente, un'intelligenza di tipo diverso.

C'è un metodo e una didattica che, nella scuola professionale, mettono in gioco molti aspetti della vita dei ragazzi. Questo permette loro di sentirsi inclusi. Per questo mi piace ribadire che l'inclusione si fa partendo… dalla formazione professionale. Il tema dell'abbandono scolastico è, oggi, la sfida decisiva. Siamo in una fase di calo demografico dei giovani e sprecare queste risorse è un delitto.

Nella scelta del percorso scolastico e professionale riscontra dei problemi?
Dobbiamo indirizzare i ragazzi secondo percorsi vocazionali corretti. La scelta della persona deve essere consapevole, ma serve un'alleanza del sistema educativo con le famiglie e il mondo della formazione professionale. Talvolta le famiglie non conoscono il sistema della formazione professionale e, talantra, le scuole tendono a tenersi i ragazzi per questioni di organico, più che per loro necessità. I ragazzi si ritrovano, così, sfiduciati e "parcheggiati" mentre potrebbero dare una scossa alla loro vita generando energie per il Paese.

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