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Sbarchi, la rabbia di Lampedusa

Trasferimenti in nave, rimpatri forzati, l'Italia non vuole i profughi

di Franco Bomprezzi

Sale la tensione a Lampedusa per l’emergenza determinata dai continui sbarchi. Stamattina è stato occupato il municipio, mentre la risposta umanitaria tarda a organizzarsi. Oggi il dramma dei profughi contende i titoli di apertura dei giornali allo show di Berlusconi davanti al tribunale di Milano.

“Immigrati, via da Lampedusa con le navi”, apre così il CORRIERE DELLA SERA. In occhiello: “Nell’isola rivolta contro gli sbarchi. Per gli stranieri 13 aree, ma può scattare anche il respingimento di massa in Tunisia”: Solo nel sommario gli sviluppi delle operazioni in Libia: “Videoconferenza a 4 sulla Libia senza l’Italia. Frattini: non ci sentiamo esclusi”. L’editoriale di Franco Venturini: “Schiaffo ingiustificato”, e fra gli altri titoli della prima, “I barconi che l’Europa non vede”, richiamo del pezzo di Fiorenza Sarzanini a pagina 5. Ecco il pensiero di Venturini: “Ma qui, dopo la sacrosanta indignazione, viene il momento di riflettere su noi stessi. Sapevamo da prima che il peso dell’Italia odierna sulla scena internazionale non è dei più rilevanti e del resto non è mai stato, anche in passato, tale da metterci tra i Grandi. A guardar bene, però, la crisi libica ha aggiunto qualcosa. I maggiori Paesi occidentali (Germania inclusa?) concordano nell’auspicare e nel ricercare a suon di bombe la caduta di Gheddafi. Berlusconi invece prima si dice addolorato per il Raìs e annuncia che i nostri aerei non spareranno, poi rinuncia all’iniziale idea della mediazione e per bocca del ministro Frattini cerca un dialogo negoziale simile a quello che cercano gli altri, perché non considera possibile la permanenza di Gheddafi al potere. Una situazione di stallo militare sul terreno può ancora dare ragione ai primi istinti del governo. Ma, avendoli poi modificati, oggi diamo l’impressione di stare in altalena, cosa che in guerra non ispira fiducia. La speranza è che la conferenza di Londra serva da chiarimento anche della posizione italiana. Anche se Frattini avrà motivi più che sufficienti per far presente che l’emarginazione dell’Italia dal pre-vertice, benché agevolata da errori che si potevano evitare, rimane un autentico schiaffo”. La questione politica è ripresa a pagina 2 nella nota di Massimo Franco: “Il caos immigrati e la videoconferenza. L’Italia resta da sola”. Leggiamo: “Il tema diventa quello di evitare proteste clamorose della popolazione di Lampedusa, già in incubazione; distribuire il carico degli immigrati nelle regioni; e rimandare dall’altra parte del Mediterraneo le barche cariche di disperati: se non altro per ricevere l’attenzione dell’Europa. Il governo italiano sta maturando la convinzione che oltre confine l’emergenza lasci indifferenti. In più, cresce la consapevolezza che svuotare una Lampedusa al collasso e attuare la politica dei respingimenti non basterà. Il Consiglio dei ministri di domani cercherà di valutare se e come funzioni l’accordo con la Tunisia per limitare le partenze dal Nord Africa; e accelererà lo smistamento dei clandestini oggi a Lampedusa. Si parla di tredici possibili soluzioni. Il Viminale spera di creare nuovi centri in Campania, Liguria, Veneto, Toscana: operazione osteggiata dagli enti locali che temono scelte definitive, con il voto amministrativo alle porte. È miope e perfino pericoloso ricorrere a quelle che il presidente della Repubblica ha definito ieri all’Onu «soluzioni sbrigative»” . Felice Cavallaro racconta il clima che si respira nell’isola invasa, a pagina 3: “Le donne in prima fila: li abbiamo aiutati ma ora abbiamo paura”. Mentre Virginia Piccolillo fa il punto della situazione: “Barricate a Lampedusa «Sei navi per svuotare l’isola»”. “Mamme e pescatori che fanno barricate contro i profughi. Più di duemila sbarchi in un giorno – scrive – In una Lampedusa allo stremo esplode la guerra tra poveri. E il governo promette: entro due giorni via tutti. Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, attende segnali da Tunisi. Se non arriveranno entro domani, dice, «sarò in grado di valutare se gli impegni presi saranno mantenuti» e di «prendere decisioni» sui rimpatri forzosi. Ne ha parlato ieri con Umberto Bossi, favorevole alla linea dura e contrario agli incentivi ai rimpatri. Ora attende il via libera dal Consiglio dei ministri straordinario, convocato per domani. Non appena arriverà, gli immigrati saranno imbarcati sulla San Marco e su sei traghetti passeggeri e trasferiti, come annunciato dal prefetto straordinario per l’immigrazione, Giuseppe Caruso. Ma dove? Ieri sono stati allestiti due campi: a Manduria (Taranto) e nell’ex aeroporto di Kinisia (Trapani). Altri ne sorgeranno. Ma per il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, Lampedusa «è come un lavandino. Oltre a svuotarlo occorre chiudere il rubinetto»” . E a pagina 5 Fiorenza Sarzanini scrive: “Il Viminale studia il «respingimento di massa»”. Leggiamo un passo:   “La linea che il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha già illustrato al presidente del Consiglio e agli altri esponenti di governo prevede un’azione di forza se le autorità di Tunisi decidessero di non dare seguito all’impegno preso venerdì scorso di intensificare i controlli sulle proprie coste per fermare le partenze. «Procederemo con i rimpatri forzosi» , ha affermato due giorni fa il titolare del Viminale. E poi ha predisposto questo piano alternativo partendo dal presupposto che i migranti si trovano ancora in una zona di frontiera dove sono sottoposti alle procedure di identificazione e dunque possono essere «respinti» . Un avvertimento alla Tunisia, ma anche una sfida nei confronti dell’Unione Europea che non ha fornito alcuna risposta agli appelli dell’Italia. Un’iniziativa che — come avvenne per i respingimenti concordati con la Libia— rischia di provocare nuove e durissime polemiche a livello internazionale. Anche perché si tratterebbe di una decisione presa senza l’assenso del Paese d’origine. Il primo ostacolo da affrontare riguarda la guida delle navi, perché si tratta di mezzi civili e dunque è difficile che si possa obbligarli non soltanto a entrare in acque internazionali, ma soprattutto a sconfinare in quelle tunisine. E poi bisogna stabilire a chi spetti il compito di effettuare le scorte. Nonmeno complicato da risolvere è il problema dell’ordine pubblico che vedrà impegnati la polizia, i carabinieri e la Guardia di Finanza già chiamati a tenere sotto controllo la situazione di Lampedusa”. Ma a pie’ di pagina il monito del cardinale Bagnasco: “Continuare a ritenere interi popoli poveri come fastidiosi non porterà lontano”, come riferisce Gian Guido Vecchi a proposito dell’intervento del cardinale in apertura del Consiglio permanente della Cei.

LA REPUBBLICA fa una doppia apertura: interna a sinistra (“Responsabilità dei giudici i dubbi di Napolitano Berlusconi, predellino bis”), dedicata all’emergenza migranti a destra: “Libia, profughi in tutta Italia”. All’interno i servizi che partono dalla rivolta a Lampedusa: la rabbia degli abitanti, le proteste delle donne, le minacce degli uomini. Una situazione esplosiva che l’inviato Francesco Viviano descrive mettendo in luce le ragioni degli isolani e quelle dei migranti: abbandonati a se stessi, i 6 mila soprattutto tunisini vivono una situazione di grande disagio. Circa 3mila vivono in un «centro di accoglienza di cui si è chiesta la chiusura. Un letamaio. Si teme per le condizioni igieniche generali». Il ministro della salute, Fazio, ha inviato una task force. Anche dalla parte dei cittadini italiani, condizioni di assoluta invivibilità. Nel frattempo dovrebbe partire il piano di trasferimento: in Sicilia e a Pisa le nuove tendopoli. Cinque navi dovrebbero portare via 10mila migranti ma sui porti di destinazione c’è ancora incertezza. Maroni ci sta lavorando. «Il primo nodo urgente da sciogliere», scrive Alessandra Ziniti, «è quello della disponibilità immediata dei siti individuati per ospitare le tendopoli». Problema rispetto al quale emerge una certa insofferenza locale: «Da Manduria a Trapani, esplode la protesta. Il sindaco di Trapani chiede un ripensamento per non compromettere l’economia già penalizzata dalla chiusura dell’aeroporto civile. Oggi in programma una marcia su Birgi. Protesta anche il governatore Vendola». Sul fronte diplomatico LA REPUBBLICA dà ampio risalto al mancato invito alla video-conferenza di ieri sera fra Usa, Francia, Gran Bretagna e Germania: «Una conferma» scrive Andrea Bonanni, «che l’Italia non è considerata un interlocutore credibile per gestire l’uscita di scena del suo ex alleato di Tripoli».

“Salviamo gli italiani” strilla IL GIORNALE  un appello che parte dal fondo di Cristiano Gatti «Adesso è il momento  di cambiare visuale. L’eterna e irrisolta  emergenza Lampedusa che dagli anni Ottanta siamo soliti inquadrare con le spalle all’isola va ribaltata e guardiamo la povera isola. Lo spettacolo è spettrale: una chiatta sudicia che va alla deriva». Maria Teresa Conti racconta di abitanti in rivolta  che dicono « siamo stati abbandonati da tutti», di pescatori che bloccano il porto, di scuole aperte ma deserte, della paura di epidemie, dell’ira dei ristoratori. Una infografica mostra che a Lampedusa  nei giorni scorsi sono arrivati 5.500 persone, a Villaggio Mineo 2000, al Cie di Bari, Foggia e Crotone 1.700, nella tendopoli di Mandria 1.400. Intervista a Antonio Tajani, vicepresidente Ue che dice: «L’Africa è un problema dell’Europa, anche se ce ne siamo dimenticati in passato. Il nostro obiettivo deve essere quello di accompagnare i regimi democratici. Noi europei e in primis noi italiani abbiamo  più interesse di tutti alla crescita del continente africano». Tafani aggiunge che : «Serve sostenere i piccoli imprenditori locali anche con joint venture. Il modello è lo “Small business act” adottato per l’Europa».

“Incivili” questa parola dà il tono del MANIFESTO di oggi che in prima pagina presenta la foto delle proteste a Tunisi delle famiglie dei naufraghi dispersi. «”Basta con l’Isola dei famosi, l’Italia ci aiuti”, dalla Tunisia il grido dei parenti dei profughi: è scomparso un barcone con quaranta persone a bordo. A Lampedusa situazione esplosiva. Ma per il ministro Maroni l’unica soluzione sono i “rimpatri forzati”» riassume il richiamo alle pagine 2 e 3 in cui si trovano gli articoli dedicati agli sbarchi visti anche dal punto di vista tunisino. A pagina 2 si trova anche un documento del Forum tunisino dei diritti dal titolo “Noi accogliamo, l’Europa faccia la sua parte”. Sul problema sbarchi anche il commento di Giuliana Sgrena dall’eloquente titolo: “Sindrome leghista”. «Il ministro dell’interno Roberto Maroni, tra delirio di onnipotenza e sindrome dell’accerchiamento, minaccia la Tunisia: se non agirà per impedire la partenza di migranti procederà ai rimpatri forzati. E le regioni italiane: se non accetteranno i profughi li imporrà d’imperio. (…) Quattro giorni fa in Tunisia aveva invece minacciato la Francia sostenendo di essere pronto a concedere 5.000 visti Schengen ai migranti di Lampedusa che avrebbero così potuto raggiungere la meta oltre frontiera senza essere bloccati a Ventimiglia. Un’escalation di inciviltà e indifferenza umana. (…)» e prosegue: « (…) Di fronte all’avanzata delle rivolte contro i despoti al potere, l’Italia ha dovuto abbandonare i vecchi alleati. Esemplare il caso della Libia. Siamo nella coalizione che sostiene gli oppositori di Gheddafi, prima osannato. Ma con la caduta del raìs crolla la barriera contro la migrazione. Da qui l’isteria leghista, fatta propria da Maroni. (…) Le rivoluzioni in corso sono frutto di una grande maturazione delle masse di giovani sempre più istruiti, informati e connessi con il mondo esterno – attraverso i social network e le tv satellitari: avete notato che tutti i tunisini parlano italiano perché vedono la Rai? – al passo con la modernità. La libertà e la democrazia non si fermano ai confini della Tunisia o dell’Egitto, i giovani che scappano non sono solo disperati in cerca di un pezzo di pane, sono giovani in cerca di un futuro migliore, che hanno speso mille euro per un passaggio su una carretta del mare. (…) Purtroppo in occidente non troveranno una soluzione alla precarietà, perché questa è una condizione che accomuna nord e sud del Mediterraneo». A pagina 3 si può leggere il “diario da Lampedusa” del Presidio Welcome sull’isola di Lampedusa in cui si afferma che gli abitanti «(…) Non ce l’hanno con chi arriva, ma con chi ha organizzato questa gabbia per le loro vite (…)». Il diario si chiude con la storia di un tunisino che ha un fratello a Parigi che è la sua meta «(…) con Ahmed e gli altri sfideremo se necessario il confine interno dell’Europa. Perché la libertà di scegliere o per tutti o non è per nessuno» conclude. 
 
La questione sbarchi trova spazio a pagina 9 sul SOLE 24 ORE. Di taglio basso un pezzo firmato da Karima Moual da Lampedusa che raccoglie le voci dei tunisini “L’Italia è un ponte, sogniamo la Francia”: «Lyon, Paris, Marseilles, vive la France». Non è uno slogan pubblicitario per chi vuole scegliere dove passare le prossime vacanze, ma sono solo alcune delle destinazioni dei centinaia di tunisini sbarcati in questi giorni a Lampedusa. E l’Italia? Neanche per sogno, a sentirli parlare dietro la recinzione del centro di Lampedusa. L’Italia è solo il ponte per arrivare altrove in Europa: in Francia, la meta più ambita, la loro America. Proprio quel paese che li ha delusi quando, nella rivolta contro Ben Ali, si aspettavano dalla France di «liberté, égalité, fraternité» un aiuto concreto. Niente, Parigi fece orecchie da mercante. Ma tant’è: oggi questi tunisini sono pronti a bussare alla sua porta. Vogliono raggiungere i loro parenti già presenti sul territorio francese. “Siamo qui solo di passaggio”, si affretta a spiegare una voce dei tanti volti dei giovani della Tunisia. “Appena usciamo da qui c’è già chi ci aspetta” continua, sicura di sé. Parlano uno sull’altro, questi ragazzi, in un dialetto tunisino molto stretto, alle volte incomprensibile. Spiegano di arrivare da zone molto povere della Tunisia: “Dove una vita normale non c’è mai stata nemmeno di passaggio. Puoi nascere in un modo e per generazioni morire allo stesso modo”». (…) Prima della rivolta il viaggio costava molto ed emigrare illegalmente, in Tunisia, era un reato che costava tre anni di carcere.  Oggi tutto questo è stato cancellato e, nella fase di transizione, il desiderio si trasforma in realtà: “Siamo arrivati con una barca, facendo una colletta tutti insieme anche con il Raiss (il comandante) per pagarci solo la benzina che sarebbe servita per il viaggio – racconta Ahmad –. Non abbiamo pagato niente”. Qualcuno non è stato così fortunato e dice di aver pagato, ma sempre poco rispetto ai vecchi prezzi. Il viaggio Tunisia-Lampedusa, a sentirli parlare, sembra essersi trasformato in un viaggio lowcost».

 “Ora di consapevole solidarietà” è il titolo  a tutta pagina di AVVENIRE che richiama le parole chiave della prolusione del cardinale Bagnasco in apertura del Consiglio permanente Cei. Dopo l’appello del Papa perché in Libia tacciano le armi e si avvii un dialogo diplomatico, il presidente della Cei sollecita risposte e aiuti alle popolazioni colpite. Alle pagine 4, 5 e 6 AVVENIRE parla dell’emergenza a Lampedusa e della rivolta anti-migranti scoppiata sull’isola. La prima pagina però è dedicata alla “buona” notizia del piccolo africano Yeabsera (il nome significa “Dio lavora” oppure “dono di Dio”) venuto al mondo sabato notte tra le onde del Mediterraneo: «Nel capoluogo siciliano i genitori del piccolo sono stati circondati subito dall’amicizia affettuosa di tante persone. La mamma raggiante: mio figlio è italiano perché è nato in Italia. Qui ci aspetta una vita migliore». Per la famiglia del piccolo etiope una casa dei Comboniani e solidarietà da tutta Italia; da Milano l’offerta di una somma di denaro; dalle infermiere e dai medici dell’ospedale vestiti e corredini. Un articolo di taglio basso ricorda invece l’allarme minori: «Da febbraio sono arrivati a Lampedusa oltre 600 minori, per la maggior parte non accompagnati. E mentre la metà di loro sono stati trasferiti e collocati nelle comunità d’accoglienza “dedicate” in Sicilia, oltre 200 sarebbero ancora fermi sull’isola… L’allarme lanciato nelle ultime ore dalle organizzazioni che si occupano della tutela dei minori è serio a partire da quello di Save the Children per arrivare al Cnca». Il presidente della Federazione italiana Comunità terapeutiche si dice pronto ad aprire le porte delle comunità «per accogliere qualcuna di queste vite partite dall’Africa». A Lampedusa intanto si sta aprendo un nuovo fronte umanitario: secondo Oliviero Forti, responsabile dell’ufficio immigrazione della Caritas italiana «stanno iniziando ad arrivare gli eritrei che erano bloccati da anni in Libia, i quali, diversamente dagli immigrati tunisini, quasi tutti partiti per cause economiche, potrebbero godere dello status di rifugiati. Non possono stare sull’isola in queste condizioni, ormai il modello Lampedusa è definitivamente tramontato». La pagina 6 parla dell’ultimatum di Maroni alla Tunisia,“Rispetti gli accordi, o da domani cominciano i rimpatri forzati”, e del piano del governo per l’accoglienza che punta a distinguere tra “irregolari” e “profughi”. Il tutto sotto il fuoco di fila delle opposizioni che accusano Palazzo Chigi di gestire Lampedusa in modo “inefficace”, “disumano” e “contraddittorio”

In prima pagina, sotto la foto di un immigrato che fugge da un centro di accoglienza, LA STAMPA associa nello stesso titolo l’emergenza Lampedusa e la guerra in Libia: “Sbarchi, Lampedusa in rivolta”. E nel sommario: “Arrivati duemila immigrati in 24 ore. Gli abitanti bloccano il porto. Libia, summit Usa-Francia-Germania-Gran Bretagna senza l’Italia”. Nelle prime pagine LA STAMPA dà i dettagli del piano per svuotare Lampedusa: sei navi per imbarcare i migranti arrivati in questi giorni, che verranno trasportati in località per ora non rivelate. A piede a pagina 3 l’appello della Chiesa: “Bagnasco: serve l’intervento dell’Europa”, che ha esortato il mondo politico a «farsi guidare del criterio della concretezza che dà credibilità» e la società italiana ad essere «solidale con i popoli arabi stremati». Da segnalare sulla Libia l’intervista del corrispondente negli Usa Molinari all’ex vice del Pentagono Dov Zakheim. Il titolo è eloquente: “Non sappiamo niente degli insorti libici che stiamo aiutando”. «Non sappiamo chi sono, cosa vogliono e come operano» afferma Zakheim nell’intervista, «Stiamo facendo un intervento militare a sostegno di un alleato che non conosciamo e questo ci espone a molti rischi». La previsione dell’ex vice del Pentagono è che «La difficoltà dell’operazione “Odyssey Dawn” potrebbero portare la Francia a mandare truppe di terra». Difficile invece da prevedere quello che farà Gheddafi, c’è solo da credergli, dice Zakheim, quando dice che combatterà fino alla fine, anche perché in caso di resa rischierebbe di essere arrestato dal Tribunale penale internazionale finendo i suoi giorni in cella.

E inoltre sui giornali di oggi:

BERLUSCONI
LA REPUBBLICA – “L’invenzione della realtà”: è il titolo dell’editoriale del direttore Ezio Mauro dedicato allo show mediatico del premier, recatosi ieri al tribunale di Milano, sapendo che non avrebbe dovuto parlare. «Dunque la presenza in aula ha una semplice funzione civetta, serve da richiamo. Il vero evento politico riguarda quell’aula, nel senso che è concepito e messo in scena per condizionarla, ma avviene fuori: prima, e dopo», scrive Mauro. La manifestazione organizzata da Mantovano, sottosegretario di Stato (ma solo dal martedì, come ha precisato) ha avuto uno scopo di consentire a Cavaliere di fare la sua «dichiarazione titanica, vittimistica e vindice, come accade in queste grandi occasioni: “il processo è un tentativo per eliminarmi”. Poi Berlusconi è andato in aula, ne è uscito ed è salito sul predellino. «È un ribaltamento politico della realtà, costruita a tavolino come in un reality, e recitato sulla pubblica piazza… Una manifestazione di debolezza estrema spacciata per prova di forza, con il populismo che mette in scena se stesso nella fase più estrema e radicale, perché tecnicamente eversiva». «Forse», conclude Mauro, «è il momento per gli spettatori di tornare cittadini, riportando la politica – Presidente del consiglio compreso – a fare i conti con la realtà».

GIAPPONE
IL MANIFESTO – Richiamo in prima pagina per Fukushima che “perde acqua tossica”. A pagina 7 l’articolo di apertura è intitolato “Tracce di plutonio Esce acqua radioattiva”. «Tracce di plutonio sono state rinvenute in cinque diversi punti dell’impianto di Fukushima. È una pessima notizia, naturalmente, anche se era in parte attesa. Le rilevazioni condotte fino a ora avevano infatti considerato come indicatori della radioattività dell’aria e dell’acqua principalmente cesio e iodio, ma che tracce di altre sostanze potessero essere fuoriuscite dai reattori non era in nessun caso da escludere (…) Alla bellezza di quasi venti giorni dall’incidente anche il governo giapponese ha ammesso quanto in molti vanno dicendo ormai da tempo, e cioè che anche nel reattore numero due le barre di combustibile sono fuse. Impossibile altrimenti spiegare livelli di radiazioni così alti nell’acqua, che continua a fuoriuscire, e questo è il secondo problema, dagli impianti o direttamente dai vessel, o più probabilmente da qualcuno dei tubi di collegamento. E fusione significa che il raffreddamento può rivelarsi impossibile, lo smaltimento pure, la dismissione anche (…)». In una colonna di testo parla il sismologo che aveva predetto l’alta probabilità di un terremoto e di un conseguente tsunami: «A quasi tre settimane dallo tsunami che ha spazzato via 500 kilometri quadrati di costa, ecco che saltano fuori le «cassandre» che avevano predetto il terremoto e l’onda assassina. Secondo quanto riportato dall’agenzia giapponese Kyodo, il team di Yukinobu Okamura, direttore del Centro di ricerca terremoti e faglie attive dell’Istituto nazionale di scienza industriale e tecnologia avanzata (Aist), aveva avvertito del pericolo “incombente” già nel 2009 (…)» e conclude: «(…) A due anni dai primi avvertimenti, Okamura ha criticato aspramente l’atteggiamento superficiale della Tepco. “La sicurezza di una centrale è qualcosa che va considerata con largo anticipo – ha detto – è assurdo non considerare anche quei fattori di cui non si è assolutamente sicuri”. Il vicepresidente della Tepco gli ha risposto seccamente: “Lo tsunami non era prevedibile”. Ma Okamura non ha dubbi: “Ho insistito a lungo sui rischi per la centrale… Dire che lo tsunami era imprevedibile è solo una scusa”. Per la Tepco, ancora una volta, le scuse stanno a zero.»

EXPO
LA REPUBBLICA – R2 dedica un focus all’appuntamento del 2015: “Expo il fantasma delle opere”. Un quadro imbarazzante, quello descritto: tre anni di litigi furibondi, soldi che dovevano esserci e non arrivano, lavori fermi. Altissimo il rischio flop, mentre per l’immediato futuro le elezioni per il comune bloccheranno ulteriormente ogni attività.

BORRELLI
CORRIERE DELLA SERA – “La nuova vita del giudice Borrelli: sarò un mediatore”: a pagina 17 una notizia a dir poco curiosa, la racconta Isidoro Trovato. “Quando, nel 2002, aveva pronunciato quel famoso «resistere, resistere, resistere» , era considerato il «capo delle toghe rosse» . Oggi che è in pensione, Francesco Saverio Borrelli ha deciso di svolgere il corso di formazione per diventare mediatore, condividendo in pieno la riforma della giustizia civile fortemente voluta dal ministro della Giustizia Angelino Alfano, considerato il delfino di Berlusconi. «È l’ennesima dimostrazione che le mie valutazioni non sono mai state dettate da ragioni politiche — sorride Borrelli —. Inizierò il corso a maggio e non conosco ancora i passaggi tecnici di questa riforma ma approvo la filosofia e gli obiettivi della mediazione civile. In Italia esiste un tasso di litigiosità molto alto e per riportare i tempi della giustizia in parametri ragionevoli serve un cambiamento profondo e credo che questo in corso sia un valido tentativo»” .


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