Famiglia

Save the children: 8,4 milioni di minori vivono in schiavit

Presentato uno studio in collaborazione con Ires

di Redazione

Nel mondo sarebbero 191 milioni i minori con meno di 15 anni economicamente attivi, di cui 165 milioni coinvolti in situazioni di lavoro minorile vero e proprio e 75 milioni nelle forme peggiori di sfruttamento. 8,4 milioni di minori, poi, vivono in condizione di schiavitù .

Ires Cgil e Save the Children hanno voluto ribadire il proprio impegno sulla tematica del lavoro minorile, approfondendo una sfera particolarmente complessa, relativa ai minori stranieri che vivono nel nostro paese, attraverso lo studio ?Minori al lavoro. Il caso dei minori migranti?.

In apertura dei lavori dell?incontro di presentazione della pubblicazione, Agostino Megale – Presidente dell?Ires Cgil – sottolinea che: ?In Italia la stima dei minori di 15 anni che lavorano ammonta tra i 480.000 e i 500.000, di cui circa 70.000-80.000 minori stranieri (2). Tra i prossimi obiettivi istituzionali, promossi anche dalle parti sociali, emerge la proposta di attivare un monitoraggio sul tema, coordinato dall?Istat e finalizzato a superare l?incertezza sul dimensionamento del fenomeno; questo è anche previsto nella nuova edizione della Carta di impegni per promuovere i diritti dell?infanzia e dell?adolescenza ed eliminare lo sfruttamento del lavoro minorile, che sarà varata nel 2008, a 10 anni dalla prima?.

Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children Italia, presentando la ricerca partecipata realizzata dalla sua organizzazione e basata sul diretto coinvolgimento di un gruppo di minori migranti afferma che: ?Sono emersi dei nodi cruciali relativi al lavoro minorile e allo sfruttamento del lavoro dei minori stranieri, quali la necessità dei ragazzi di contribuire all?economia familiare, la sovrapposizione che esiste tra lavoro minorile e lavoro nero, il considerare come lavorative attività illegali e, infine, la difficoltà di conciliare il lavoro con la scuola, ma anche con il tempo libero. È su queste problematiche che deve concretizzarsi il nostro impegno, affinché vi sia una ricaduta positiva anche su un altro elemento emerso nelle interviste: la mancanza di un approccio al lavoro basato sui diritti e di una progettualità futura. Il metodo seguito nella ricerca di Save the Children si basa sul diritto alla partecipazione, sancito dalla Convenzione ONU per i Diritti dell?Infanzia e dell?Adolescenza: questo lavoro ha rappresentato senza dubbio un?occasione sia per i ragazzi ricercatori che per quelli intervistati per far ascoltare la propria voce?.

Il lavoro minorile in Italia e il focus sui minori stranieri
Nella parte dell?indagine condotta dall?Ires Cgil è stata elaborata una matrice dei fattori di rischio associabili al lavoro minorile, ovvero quell?insieme di condizioni di base che tendono a far aumentare la probabilità che un minore si trovi precocemente inserito nel mondo del lavoro. Tra i più esposti al lavoro minorile sono risultati: i minori maschi, in un età compresa tra gli 11 ed i 14 anni, con un?incidenza maggiore all?aumentare dell?età in questo intervallo, di nazionalità straniera, che vivono in una famiglia mono-genitoriale o in un nucleo familiare con più minori, e risiedono in un territorio con un alto tasso di disoccupazione. Altri ?indicatori di rischio? sono rappresentati dall?appartenere a famiglie con un solo reddito o, comunque, dal vivere in zone con alte percentuali di famiglie con redditi inferiori al 50% della media nazionale.

Dall?indagine, inoltre, emerge che il tratto principale e più frequente che caratterizza il profilo dei minori che lavorano precocemente è quello dell?intensità dell?esperienza: quando un minore è coinvolto in un?attività di lavoro precoce, la sua non è un?esperienza residuale, ma spesso totalizzante, elemento che il più delle volte determina rischi di marginalità sociale soprattutto tra i minori stranieri.

È su questo sottogruppo, che rappresenta un aspetto particolarmente complesso e controverso nell?ambito del fenomeno del lavoro minorile, che si concentra la nuova indagine Ires Cgil e Save the Children ?Minori al lavoro, il caso dei minori migranti? (3), presentata oggi a Roma.
Tra i minori nella fascia di età tra gli 11 e i 14 anni, ben il 25,5% di quelli stranieri ha avuto un?esperienza lavorativa, di contro al 20,9% dei minori italiani (4).

Le esperienze di lavoro dei minori migranti si realizzano prevalentemente all?interno del gruppo familiare: quasi tutti i minori cinesi (90%) collaborano con la famiglia, mentre nel gruppo dei minori stranieri di diverse nazionalità la quota di coloro che aiutano i genitori è del 56%, a cui si deve aggiungere un 9% che ha dichiarato di lavorare in casa svolgendo attività di aiuto familiare, per un totale pari al 65%. Al contrario, tra i minori italiani si registra la quota più alta di lavoro presso terzi, segno probabilmente di un maggior legame con il tessuto socio-economico e con il mercato del lavoro locale.

La famiglia spesso rappresenta anche il principale canale d?accesso al mondo del lavoro per i minori stranieri, mantenendo un?influenza nell?orientamento al lavoro precoce che assume talvolta, ed in ogni caso più spesso che per quelli italiani, la forma di una collaborazione finalizzata al sostegno economico familiare nel suo complesso, sia esso di supporto alla micro-impresa familiare o di più generale integrazione del reddito dei genitori.

Secondo la ricerca, esiste una forte diversità anche tra i luoghi di lavoro dei minori stranieri rispetto a quelli degli italiani: tra i primi, 1 su 3 lavora in strada come venditore ambulante o in alcuni casi svolgendo attività di accattonaggio, mentre i secondi dichiarano di lavorare prevalentemente in ambienti ?più protetti? quali negozi, bar, ristoranti (40%), con un residuale 12% che lavora in strada. Peculiare il caso dei minori cinesi, il 61% dei quali lavora prevalentemente in laboratori artigianali tessili o di pelletteria nelle diverse città italiane e che risultano esposti a condizioni di lavoro a rischio sia per l?utilizzo di macchinari pericolosi che per i ritmi di lavoro intenso.

Una differenza di fondo tra minori italiani e stranieri che lavorano emerge anche in relazione all?entità dell?impegno e alla periodicità del lavoro svolto: il 59% dei cinesi, così come il 42% degli altri minori stranieri lavora tutto l?anno, mentre la maggior parte di quelli italiani lo fa saltuariamente, con un 42% che dichiara di farlo quando capita e un altro 33% solo in alcuni periodi, soprattutto d?estate.

Circa il 20% dei minori italiani che lavorano non riceve alcun compenso per la propria attività, percentuale che sale ad un terzo per i minori stranieri. In ogni caso la mancata retribuzione è quasi sempre legata al supporto che i minori forniscono alla micro-impresa familiare o comunque alle attività lavorative svolte per e con i genitori ed evidentemente percepite come una corresponsabilizzazione dei minori al miglioramento dello status socio-economico familiare.

I minori stranieri che lavorano, il più delle volte, continuano ad andare a scuola, mentre per quelli italiani si nota una maggiore tendenza ad assentarsi da scuola a lungo o addirittura ad interrompere la frequenza. Ciò avviene probabilmente perché le stesse famiglie dei minori migranti cercano di garantire ai ragazzi una frequenza più o meno costante della scuola, affinché possano imparare sempre di più e fungere da mediatori linguistici e culturali, aspetto valido soprattutto per i minori cinesi.

Una frequenza costante, in ogni caso, non assicura una tenuta della qualità del percorso formativo, così come evidenziato dagli stessi minori che riconoscono non solo un peggioramento del loro rendimento quando vengono coinvolti in esperienze di lavoro precoce, ma anche una più generale percezione di ?fatica? nel conciliare i due tipi di esperienza; e in questo caso si evidenzia una maggiore difficoltà dei minori stranieri rispetto a quelli italiani.

Lazio: l?indagine monografica sui minori stranieri non accompagnati
A questo quadro generale, si aggiunge una indagine monografica condotta dall?Ires Cgil sulle caratteristiche dei lavori dei minori migranti non accompagnati, in alcune aree del Lazio, che ha evidenziato come esistano tre sottogruppi di minori stranieri non accompagnati con esperienze diverse di lavoro precoce (5).

I minori provenienti dall?Europa dell?Est, che vivono le loro prime esperienze di lavoro in Italia, prevalentemente in bar, pizzerie o come venditori ambulanti e per sostenere economicamente la famiglia; quelli provenienti dall?Africa settentrionale che arrivano in Italia con un vissuto lavorativo nel proprio paese d?origine, dove per la maggior parte sono stati impiegati nel settore agricolo o artigianale e per assecondare la volontà dei genitori; ed infine, i minori asiatici che si caratterizzano per aver svolto attività lavorative nei paesi di transito, spesso in fabbrica, prima di arrivare in Italia e alla ricerca di un?autonomia personale.

Comune a tutti i ragazzi intervistati sembra essere una grande incertezza sui progetti futuri e sulle possibilità concrete di trovare un lavoro come strumento di autonomia e di integrazione e soprattutto, nelle aspirazioni future trova poco spazio l?investimento in percorsi di istruzione e formazione.

La ricerca partecipata a Roma: per i minori stranieri le esperienze lavorative si svolgono nell?ambito di un?economia informale

Approfondire il tema del lavoro minorile con specifica attenzione ai minori stranieri significa esplorare situazioni potenzialmente più esposte al rischio d?invisibilità e di vulnerabilità.

Save the Children Italia ha approfondito le condizioni di lavoro dei minori migranti a Roma attraverso una ricerca partecipata, basata sul diretto coinvolgimento di un gruppo di minori migranti lavoratori che hanno condotto l?indagine in prima persona, ascoltando altri ragazzi (6). La peculiarità di questo studio è data dalla centralità della partecipazione dei minori e dalla valorizzazione del loro punto di vista nel cercare di cogliere i significati e le caratteristiche che il lavoro può avere per i minori migranti.

I ragazzi intervistati dai ricercatori alla pari, coadiuvati dagli operatori di Save the Children, provengono da paesi diversi e presentano dei percorsi migratori variegati. Alcuni sono arrivati in Italia da pochi mesi, altri da anni, mentre pochi sono quelli nati nel nostro paese. La maggior parte dei minori intervistati nella capitale provengono da famiglie monoparentali o ?spezzate?, in cui cioè alcuni membri vivono ancora nel paese d?origine. Ad essi si aggiungono i minori stranieri non accompagnati, che vivono in case famiglie, con amici o direttamente presso il datore di lavoro.

I minori intervistati hanno dai 12 ai 18 anni, con una prevalenza di sedici-diciassettenni. La scelta di ricostruire anche le esperienze pregresse dei minori intervistati, ha consentito di individuare minori che hanno iniziato a lavorare prima dei 15 anni. In particolare, nella fascia d?età che va dagli 8 ai 13 anni, si tratta per la maggior parte di bambini rumeni, mentre tra i quattordicenni troviamo anche indiani, bengalesi e ucraini.

Dalle testimonianze dei minori stranieri non emerge una tipologia unica di lavoro, ma le più svariate che, anche quando si inseriscono all?interno di un mercato formale, il più delle volte vengono svolte irregolarmente. I principali settori sono la ristorazione, l?edilizia, l?agricoltura, l?assistenza domiciliare e i servizi. Alcuni dei minori intervistati chiedono l?elemosina o rubano, e, in alcuni casi, considerano tali attività come un vero e proprio lavoro.

Altra peculiarità scaturita dalla ricerca partecipata di Save the Children, è il fatto che i minori intervistati non abbiano piena consapevolezza dei propri diritti in ambito lavorativo. I ragazzi hanno ravvisato situazioni di sfruttamento quando si lavora troppo o ancora quando vengono costretti a lavorare con percosse fisiche, ma soprattutto quando la retribuzione è inadeguata al lavoro svolto e al numero delle ore lavorate.

Uno dei punti cruciali da affrontare quando si parla di lavoro minorile è quello del rapporto tra scuola e lavoro: tra i minori migranti intervistati dai ricercatori alla pari di Save the Children, da un lato c?è chi non è mai andato a scuola in Italia o chi l?ha interrotta, che sommati corrispondono a più della metà, e dall?altro chi invece frequenta regolarmente conciliando scuola e lavoro. Nella maggior parte dei casi, i ragazzi comunque concludono i percorsi scolastici con la licenza media.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA