Cultura

Sartori, il cattivo maestro

Paolo Branca risponde al nuovo affondo dell'editorialista del «Corriere»

di Paolo Branca

Quale interesse si ha per sostenere la visione irrealistica dell’eccezionalismo musulmano? Un intellettuale che parla il linguaggio di tutti è persino simpatico? ma la coerenza richiederebbe che valutazioni tanto sbrigative non pretendessero subito dopo di avvalorarsi alludendo alla storia. Che, fra l’altro, dimostra il contrario
Il professor Sartori ha di recente ribadito la tesi dell’eccezionalismo musulmano: «La questione non è tra bianchi, neri e gialli, non è sul colore della pelle, ma invece sull’integrabilità dell’islamico». Anche i musulmani sono bianchi, neri e gialli? ma essi avrebbero la caratteristica singolare (appunto «eccezionale») di venire unicamente definiti e determinati dalla propria fede.
Quale interesse abbiamo a sostenere una simile irrealistica visione? Un intellettuale che parla il linguaggio di tutti è persino simpatico? ma la coerenza richiederebbe che valutazioni tanto sbrigative non pretendessero subito dopo di avvalorarsi alludendo alla Storia: «La domanda è allora se la Storia ci racconti di casi, dal 630 d.C. in poi, di integrazione degli islamici, o comunque di una loro riuscita incorporazione etico-politica (nei valori del sistema politico), in società non islamiche. La risposta è sconfortante: no». Tornati professori, non si dovrebbe continuare a parlare come l’uomo della strada fornendo agli sprovveduti conferma ai loro pregiudizi. Potremmo citare intere dinastie di califfi che aderirono sostanzialmente a valori etico-politici d’altra origine: già a Damasco, quindi a Bagdad e fino a Istanbul le loro corti ebbero medici e astrologi, poeti e musici, danzatrici e cortigiani ereditati e mantenuti, non solo quali status symbol ma come elementi dell’ingranaggio del potere, dalle precedenti tradizioni imperiali mediterranea, iranica e dell’Estremo Oriente.
Se il professore lamentasse, insieme a noi, che ciò resti in gran parte ignoto agli stessi musulmani, privati della ricchezza della loro storia dalla propaganda dei loro ignobili regimi che usano una certa visone della religione per legittimare spudoratamente le proprie inettitudine e corruzione e il loro esecrabile dispotismo, non potremmo che rallegrarcene. Eccolo invece compiacere la vox populi come quasi mai un vero maestro dovrebbe fare.
Per restare al solo esempio ch’egli adduce: l’India conobbe effettivamente il dominio islamico durante il periodo Moghul, ma non divenne mai maggioritariamente musulmana. Non soltanto per la capacità di buddhisti ed indù di resistere, ma anche perché coloro che si convertirono – similmente a quanti son divenuti cristiani – lo fecero a fatica, per liberarsi dal disumano sistema delle caste che li inchiodava per sempre a ruoli subalterni dai quali il nuovo credo li emancipava. Che poi la creazione del Pakistan sia stata quasi un atto di filantropia occidentale è affermazione assai bizzarra, visto che gli Inglesi non avevano mai rinunciato ad opporre le varie comunità per meglio dominarle e visti gli effetti devastanti che l’esportazione dello sciagurato principio europeo “un solo popolo in una sola nazione” ebbe e ancora ha nell’Asia e nell’Africa post coloniali.
Simili considerazioni potrebbero esser fatte per il parziale fallimento dello “stato laico” in Indonesia e in Turchia: come possiamo constatare anche dalle nostre parti esso scricchiola sinistramente dopo la crisi delle grandi ideologie che battono poco dignitosamente in ritirata di fronte agli effetti dei loro stessi fallimenti a favore di mitiche identità-rifugio che anzi alimentano a “beneficio” dei soliti polli del solito Renzo.
Quanto infine alla mancata integrazione delle nuove generazioni musulmane in Francia e in Gran Bretagna, ci sarebbe molto da dire sulle rispettive politiche “assimilazionista” e “comunitarista”, opposte ma egualmente fallimentari, e non solo nei riguardi dei musulmani. Anche se da noi gli unici quartieri-ghetto sono le nostre Chinatown, anche se i problemi di sicurezza sorgono più a causa dei latinoamericani che nelle notti del week end si danno all’alcol o che lasciano totalmente soli i propri figli che si aggregano in bande (cosa che non succede ai musulmani, visto il ruolo domestico prevalente ancora riservato alle donne) l’unico vero problema resterebbe l’incompatibilità ideologica tra l’islam teocratico e la democrazia laica.
Poco importa se il primo è invece in realtà piuttosto vittima di cesaropapismo a casa sua e potrebbe trovare qui le condizioni ideali per una radicale riforma, poco importa se la seconda rischia di snaturarsi assecondando allarmismi fondati prevalentemente sulla sua scarsa efficienza invece che sulle presunte incomprensibili tattiche di Fini o sull’ingenuo buonismo della Chiesa.

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