Sostenibilità
Sarroch, Italia
La tragedia della raffineria e il documentario “Oil" riportano alla ribalta, oltre ai problemi di sicurezza dei lavoratori, quelli legati a inquinamento e danni per la salute. Intervista al presidente del WWF Italia Stefano Leoni
Le immagini del funerale di un giovane operaio che lavorava in un’azienda esterna, morto di cancro a 31 anni, alternate ai fotogrammi di un Massimo Moratti sorridente. È uno dei momenti più forti del film Oil, di Massimiliano Mazzotta, il documentario denuncia sulla Saras tornato prepotentemente d’attualità in questi giorni, dopo la morte di tre operai all’interno dell’impianto (cliccando qui accanto, se ne può scaricare un’ampia sintesi).
Nel film, oltre ai rischi per la sicurezza dei lavoratori (legati soprattutto alla logica degli appalti), vengono denunciati i danni ambientali e alla salute che sarebbero provocati dall’impianto, attraverso immagini e testimonianze. Un ricercatore fiorentino, Annibale Biggeri mette in relazione la percentuale dei decessi dovuti a malattie tumorali nella zona industriale attorno alla raffineria con l’attività degli stabilimenti.
La famiglia Moratti, proprietaria dell’impianto, ha sempre respinto le accuse, sottolineando di essere assolutamente in regola sul fronte dell’applicazione delle leggi in materia di sicurezza ambientale. E chiedendo, per questo motivo, il sequestro giudiziario del film.
Ma essere in regola sul fronte delle norme può essere sufficiente per poter garantire che un impianto industriale non danneggi ambiente e salute? È una domanda che circola in molti luoghi d’Italia, da Brindisi a Porto Marghera, da Manfredonia a Gela: in tutti i luoghi dove lo sviluppo industriale ha avuto un impatto rilevante sull’ambiente e sul territorio. Vita.it ne ha parlato con Stefano Leoni, neo-presidente del WWF, esperto di normativa ambientale.
Vita: È possibile che, come sembra, Saras produca danno ad ambiente e persone senza dolo. Più semplicemente che rispetti le regole ma inquini pesantemente lo stesso?
Stefano Leoni: Certo che si. Purtroppo in Italia abbiamo normative per quello che riguarda le acque superficiali, con dei valori di qualità ecologica. Per tutte le altre matrici ambientali non c’è nessuna regola purtroppo. Non ci sono riferimenti comunitari e come tutti sappiamo se l’Italia, su queste tematiche, non è obbligata dall’Europa non è particolarmente solerte. Oltre a questo c’è una scarsa preparazione della struttura professionale privata e pubblica. Ad esempio abbiamo una disciplina che riguarda la responsabilità per danno all’ambiente. Non è semplicemente riparatoria ma anche preventiva. Questo se io sono a conoscenza del danno che procuro, a chi o cosa lo procuro e cosa devo fare per evitarlo. In Italia questo tipo di conoscenza non c’è. Per quel che riguarda le industrie, quindi anche la Saras, esiste una disciplina che mette un tetto al livello accettabile d’inquinamento. Purtroppo non tiene conto dell’inquinamento a cui quello industriale va a sommarsi. La Saras cioè produce inquinamento nella norma, ma in quella situazione, sommato all’inquinamento locale già esistente supera e di molto i limiti. Questo è un problema diffuso in Italia e vale anche per le città. Ad esempio sul raccordo anulare romano ci sono valori di amianto fuori da ogni limite a causa dei freni delle automobili degli anni 80. Se fosse un luogo di lavoro verrebbe chiuso all’istante. Non essendolo e non esistendo normative la situazione rimane così.
Vita: Dunque il problema sono le regole, le leggi e le discipline. Ma cosa si può fare?
Leoni: Prima di tutto occorre che le amministrazione sappiano fare monitoraggio. Che significa saper gestire le banche dati. Purtroppo in molti casi i dati non vengono raccolti o conservati perchè risultano scomodi. Occorre avere punti di riferimenti fermi. Cito il caso dell’atrazina, usata come diserbante, che percolava nel terreno e finiva nelle faglie. Il valore ad un certo punto superò quello ammesso dalla normativa. A quel punto la soluzione fu di alzare i livelli di accettabilità. Questo succede spessissimo. Un altro mezzo che andrebbe usato è la «Valutazione del rischio sanitario», che è una metodologia valutativa del rischio che valuta con stime di approssimazione come l’inquinante possa raggiungere livelli rischiosi per l’uomo.
Vita: Denunce, regolamenti fumosi, riferimenti che cambiano. Nella battaglia ambientale quali sono i principali scogli da superare?
Leoni: Sono diversi. Il ricatto occupazionale come a Porto Marghera dove l’azienda minaccia di chiudere e spostare lo stabilimento facendo perdere il posto di lavoro ai dipendenti. Un’altra scusa è quella della competitività internazionale. Ma negli altri Paesi, con normative magari meno severe. le regole vengono rispettate. In Italia le regole si adeguano ai bisogni e alle esigenze di chi dovrebbe esserne soggetto. Gli industriali poi fanno scudo contro tutto ciò che possa migliorare l’impatto ambientale perchè non conviene.
Vita: Avete intenzione di intervenire a Sarroch?
Leoni: Terremo certamente la situazione sotto osservazione e nel caso di cali di tensione faremo in modo che non si abbassi la guardia. Tutto questo sperando che i sindacati per una volta non ci ritengano dei nemici ma degli alleati.
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