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Sarò un presidente-sentinella

Giovanni Paolo Ramonda lancia il nuovo corso: "Su 194, immigrazione e dipendenze alzeremo la voce". La prima ad accorgersene sarà Livia Turco. "Le abbiamo già chiesto un incontro".

di Stefano Arduini

Galetto fu il servizio civile. Correva l?anno 1979 e l?obiettore di coscienza Giovanni Paolo Ramonda dalla sua Fossano prese armi e bagagli e per 20 mesi fece servizio presso una comunità di accoglienza di Rimini, «ho assistito a cose strabilianti e ho trovato quel senso di giustizia che stavo cercando». Oggi che ha preso il suo posto, Ramonda non dimentica quei mesi vissuti nella frontiera di don Oreste Benzi. Per i prossimi sei anni toccherà infatti proprio a lui raccogliere il testimone del prete antitratta. Lo ha stabilito l?assemblea dei votanti (156 delegati più 46 responsabili di zona) che lo hanno scelto con il 79% delle preferenze davanti al medico riminese Mara Rossi. Nel 1981, Ramonda con la sua futura moglie Tiziana, che due anni prima lo aveva accompagnato nella ?trasferta? romagnola, inaugurano la loro prima casa-famiglia. Oggi con i 12 figli (tre naturali e nove in affido) continuano ad abitare in una struttura simile a Sant?Albano Stura, sempre in provincia di Cuneo. «A Rimini andrò spesso, ma continuerò a vivere con la mia famiglia», precisa a Vita. L?impronta di Benzi ha dunque lasciato un segno indelebile. Come inevitabilmente lo lascerà nei prossimi sei anni di presidenza. In cima alla lista delle priorità, Ramonda mette infatti «la cura, mi auguro sempre migliore, nei confronti delle 39mila persone in tutti gli angoli del mondo con cui condividiamo ogni giorno, 2mila delle quali trascorrono con noi anche la notte». Lo sguardo verso l?associazione non esaurirà però l?impegno di Ramonda. La Papa Giovanni, infatti, sarà destinata sempre di più a giocare un ruolo da protagonista nel dibattito pubblico. L?orizzonte fissato da Ramonda è chiaro. La prima a sperimentarlo sarà il ministro della Salute Livia Turco, a cui Ramonda, a pochi giorni dalla nomina, ha già chiesto un incontro «in modo che la nostra posizione sulla 194 sia chiara». Il pedagogista cuneese non arriva a chiedere l?abolizione della legge sull?aborto, «ma occorre che siano potenziati gli strumenti a sostegno della madre, in modo che sappia che una volta dato alla luce il bambino ci sono persone e strutture disposte ad accoglierlo nel caso lei non si sentisse in grado». Ramonda dimostra di non disdegnare gli slogan («l?embrione è uno di noi») e le proposte ad effetto («la revisione della 194 dovrà essere finanziata a scapito delle spese sanitarie»). Scuola don Benzi (di cui non a caso è stato vice per quasi 10 anni). Non sorprende dunque che per spiegare il suo niet alla sperimentazione delle stanze del buco nella sua Torino (dove ha conseguito la laurea in Pedagogia con indirizzo psicologico) ricorra a una massima del suo maestro, «il male non si tollera». Ma anche su questo terreno, come su quello dell?immigrazione che tocca il nervo sensibile della lotta alla tratta, Ramonda dimostra di essere un personaggio al di fuori degli inquadramenti politici. Niente stanze del buco, «ma la legge sulle tossicodipendenze e la Bossi-Fini vanno comunque riviste». Tenendo però ben saldo il principio della severità «che è un caposaldo del nostro modello educativo». Tradotto significa «strada spianata ai percorsi di inclusione», ma anche «nessuno sconto verso chi viola le norme».

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