Politica
Sarkozy. E la francia avrà un presidente americano…
Sarkozy interpreta la versione europea del «conservatorismo compassionevole» di Bush. Ma anche Ségolène Royal ha fatto ricorso a una strategia molto stile Casa Bianca...
Alla fine, è andata come previsto? Solo in parte. Se è vero che i due candidati maggiori, Nicolas Sarkozy e Ségolène Royal, sono arrivati al ballottaggio distaccando di parecchio i loro avversari (Sarkozy ha avuto sei punti percentuali più di Ségolène e quest?ultima lascia a cinque punti di distacco François Bayrou) è anche vero che questa campagna ha portato varie novità. In un certo senso, la Francia si è ?americanizzata?.
Il primo elemento di imitazione delle campagne elettorali made in Usa è stata l?ossessione di ciascun candidato nel presentarsi come ?uomo nuovo?. I tre primi arrivati hanno tutti fra 55 e 53 anni, un cambio generazionale rispetto alle campagne presidenziali degli ultimi vent?anni, di cui erano stati protagonisti uomini politici attivi già negli anni 60 (Chirac), o addirittura durante la seconda guerra mondiale (Mitterrand).
Sarkozy, il compassionevole
Sarkozy doveva apparire come un uomo politico di polso ma nello stesso tempo compassionevole, liberista ma aperto a riconoscere i meriti di tutti, capace di sormontare la crisi del proprio matrimonio come di dare speranza ai francesi rompendo con il passato: una versione europea del compassionate conservatism di Bush. La sceneggiatura ha funzionato, benché la diffidenza culturale degli elettori francesi verso gli Stati Uniti sia ben più profonda di quella degli italiani.
Americana è stata anche la strategia di Ségolène: donna, come Hillary Clinton, madre di quattro figli ma non sposata (nella laica Francia questo è ammesso), governatore di una regione e quindi meno ?parigina? degli altri candidati benché in vita sua abbia sempre fatto politica. Ségolène, nemmeno fra i primi dieci nella gerarchia del partito socialista, ha corteggiato insistentemente la stampa popolare e usato internet per aggirare i suoi concorrenti all?interno del partito.
Le vere primarie sono state condotte sui media e i più titolati Jospin, Fabius e Strauss-Kahn hanno pagato duramente il loro maschilismo. Tutto bene nella sceneggiatura, con Ségolène nella parte dell?outsider che si impone alle macchine burocratiche della capitale, come fece Bill Clinton nel 1992.
Poi è venuto il turno di Bayrou, la cui arma principale è stata quella di voler «superare le contrapposizioni destra-sinistra» che negli Stati Uniti si chiama ?politica bipartisan? e periodicamente si affaccia alla ribalta nelle campagne elettorali, per venire dimenticata poche settimane dopo. La cultura politica francese si è dimostrata sensibile allo slogan e il successo di Bayrou, passato dal 6% ottenuto nel 2002 al 18% di domenica 22 aprile è stato innegabile. Le polemiche di Bayrou contro il ?sistema?, inoltre, ricordavano quelle di un altro candidato centrista antipolitico: l?americano Ross Perot nel 1992 (il quale, per una singolare coincidenza, ottenne praticamente la sua stessa percentuale: 18%). Almeno per poche ore, la ricetta americana è sembrata in grado di curare la disaffezione profondissima dei cittadini verso la classe politica, un distacco che si era espresso nel 2002 con la disintegrazione della sinistra e il passaggio al secondo turno delle presidenziali di Jean-Marie Le Pen.
Tradizionalmente, l?estrema destra di Le Pen (rimasto inchiodato al 10%) e i conservatori come Chirac o Giscard d?Estaing erano separati da un muro invalicabile. Benché le proposte politiche fossero spesso simili, la tradizione di riferimento era opposta: la Francia che aveva resistito al nazismo con de Gaulle in un caso, la Francia collaborazionista di Vichy nella seconda. La Francia che aveva saputo fare la pace in Algeria nel 1962 e la Francia che aveva cercato di opporsi a questa scelta con il terrorismo dell?Oas. Jean-Marie Le Pen, in politica dal 1956, era il rappresentante di questa tradizione e il suo successo del 2002 aveva fatto tremare le vene ai polsi.
Oggi, le due destre sono fra loro più vicine perché Sarkozy non ha complessi e Le Pen sta per uscire di scena, passando il testimone alla figlia Marina. Anche in questo caso registriamo un?evoluzione simile a quella americana, dove il ?nuovo? partito repubblicano di George W. Bush ha inglobato anche frange estremiste considerate in precedenza ai margini dello spettro politico.
Ségolène come Giovanna
Infine, l?immagine dei candidati ha dominato su tutto il resto, come in America. Ségolène Royal ha parlato ben poco di politica, più preoccupata di confezionare l?immagine di una nuova Giovanna d?Arco alla riconquista di Parigi dopo 13 secoli di dominio maschile (la monarchia francese non prevedeva donne sul trono, al contrario di quella inglese).
Sarkozy, conscio di avere un?immagine da Napoleone in sedicesimo, ha arruolato consulenti di ogni tipo per confezionarsi un?apparenza da uomo del popolo che però è anche un leader, con il risultato di parlare pochissimo di programmi anche lui. In compenso, si sono viste delle belle foto mentre cavalcava un bianco destriero.
Bayrou, un ex ministro dell?educazione nazionale nei governi di centrodestra, ha avuto il suo quarto d?ora di gloria presentandosi come un ?rivoluzionario liberale?, fino ad adottare come colore della sua campagna l?arancione, colore che ha assunto un valore politico solo qualche anno fa, quando i consulenti (americani) delle forze di opposizione in Georgia, in Ucraina e, più recentemente, in Serbia, lo hanno adottato con successo. Anche lui, però, non è riuscito a sottrarsi all?afasia degli altri due candidati, che insieme hanno dato vita a una campagna elettorale in cui il vuoto di idee era palese.
La seconda fase, quella del ballottaggio, sarà differente? Sarkozy e Royal si sono affrettati a promettere un ?vero dibattito? ma il momento decisivo sarà anch?esso un format americano: il confronto televisivo previsto a pochi giorni dal voto. Dibattito preparato nei minimi particolari da entrambi, ?battute spontanee? comprese.
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