Volontariato

Sardegna, le colpe del sistema e quelle dei cittadini

Carmine Lizza, geologo e responsabile Protezione civile di Anpas, punta il dito contro la scarsa coscienza civica, problema che riguarda non solo la politica ma anche tutti i cittadini italiani

di Francesco Mattana

Abbiamo interpellato Carmine Lizza, geologo e responsabile nazionale Anpas. L’associazione è in prima fila, coi suoi 1500 volontari, per fronteggiare l’emergenza alluvione in Sardegna. Al di là dei racconti a alto impatto emotivo, è fondamentale sentire l’opinione di uno studioso in materia sulle ragioni per cui il Ciclone si è abbattuto con tanta violenza sull’isola. La domanda più frequente che l’opinione pubblica si pone in questi giorni è questa: si poteva evitare questa sciagura con una campagna di comunicazione più accurata? Lizza risponde, a questa e a altre domande, nelle righe seguenti. 
 
Perché Cleopatra si è scatenata così violentemente?
«In larga parte queste piogge intense erano state previste nell’intensità. Il ciclone mediterraneo  creatosi due giorni fa lasciava intravedere precipitazioni consistenti. Poi c’è stato il blocco dell’alta pressione che ha permesso al ciclone di posizionarsi sulla Sardegna e di autoalimentarsi, ecco perché si è creata questa situazione così critica. Questi cicloni mediterranei sono normali per il periodo, però quest’anno si è abbiamo avuto una continuazione dell’estate con temperature molto alte: la temperatura del mare elevata a contrasto con l’aria fredda ha creato il vortice che si è posato prima sulla Spagna poi in Sardegna. La settimana scorsa c’è stato un evento atmosferico  simile ma  aveva scaricato tutto sul mare il quantitativo di acqua. Questa volta, purtroppo, siamo stati più sfortunati». 
Il problema però, si badi bene, non è della natura. Da un lato c’è la questione assodata, ovvero che si è costruito dove non si doveva. Ma c’è un altro punto: nonostante la catena di comunicazione fosse partita bene dal Dipartimento come sempre, la catena si è bloccata e non è arrivata fino ai cittadini; non c’è stata una comunicazione corretta, sia prima dell’approssimarsi dell’evento sia durante l’emergenza. I morti dunque ci sono stati per cattivi comportamenti -ad esempio padre e figlio vicini ad un canale senza protezione. In una corretta pianificazione e informazione quelle zone dovevano risultare protette».
 
Chi sono i colpevoli?
«Non esiste un vero responsabile, bisogna fare un cambio culturale. Dobbiamo acquisire le norme di autoprotezione: non basta semplicemente avere un piano di protezione civile che indica quali sono le aree inondabili, bisogna piuttosto che queste pratiche diventino patrimonio comune di tutti i cittadini. Nelle zone a rischio, sapere che devono limitare le uscite e mettersi in posizione di sicurezza. Dunque di chi è la colpa? Della collettività. Noi siamo partiti con la campagna nazionale Terremoto-Io non rischio insieme al Dipartimento Nazionale e siamo anche in partenza con la campagna sulle norme comportamentali da tenere prima, durante e dopo eventi alluvionali: percorsi molto lenti, che dovrebbero dare risultati nei prossimi anni. C’è un’altra questione: quegli stessi cittadini che ora si mordono le mani per aver costruito dove non dovevano in passato hanno fatto pressioni sulla politica per ottenere permessi edificabili». 
 
In questo momento si trova  in Sardegna?
«Non sono fisicamente in Sardegna anche se ho dieci collegamenti all’ora dall’isola. Oggi, nella prima fase dell’emergenza finita i volontari si sono organizzati in squadre, si stanno spostando da una parte all’altra  per far rientrare la popolazione nel più breve tempo possibile alla normalità della gestione. Obiettivo: aiutare le famiglie nello sgombero, nella pulizia delle abitazioni, nella sistemazione per quanto ci è possibile delle strade, della corretta regimentazione delle acque sulle strade, togliere detriti, macerie e quant’altro». 
 
Alcuni lamentano che sarebbero state utili più idrovore grandi…
Chiariamo, facciamo un ragionamento tecnico. L’impiego delle idrovore può essere pericoloso  se la permeabilità del terreno, la porosità non è commisurata alla capacità di ritiro dell’acqua da parte delle idrovore . Le pompe idrovore devono essere utilizzate da tecnici che hanno competenze sulla capacità di assorbimento dei terreni e di circolazione idrica all’interno della falda dei terreni, perché si possono davvero creare danni ancora più grossi di quelli dell’alluvione.
È già capitato in altre situazioni: errato pompaggio dell’acqua ha creato problemi sulle fondazioni dei fabbricati, oppure le spinte idrauliche sui muri perimetrali  hanno fatto danni agli stabili abbastanza importanti. Ad esempio, nell'alluvione a Vibo Valentia o a Palagiano nel tarantino. Anche la polemica sulle idrovore più grandi è pericolosa: questi strumenti vanno utilizzati in maniera intelligente e accurata».
 
 

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