Sardegna, comunità terapeutiche allo stremo: “Pronti alla chiusura”

Il Coordinamento Ceas ha pubblicato su un quotidiano sardo uno spazio a pagamento: le più importanti realtà del settore isolano accusano la Giunta e il Consiglio regionale di inerzia. Da anni chiedono (inascoltati) l'adeguamento delle rette, ferme al 2012. Tra caro energia e misure anti-Covid, non sono più in grado di portare avanti un lavoro essenziale: in oltre 40 anni sono stati accolti e curati 30mila ospiti. La solidarietà del Centro servizi per il volontariato

di Luigi Alfonso

«Ancora una volta la politica non svolge il ruolo per cui è nata. Non comprendono che il potere dev’essere messo al servizio dei cittadini e per contrastare le difficoltà che le persone incontrano quotidianamente». Giovanna Grillo, coordinatrice delle comunità terapeutiche della Sardegna, è un fiume in piena. Il Ceas (costituito nel 1993, è composto dalle comunità di: Associazione Mondo X – Sardegna; Associazione L’Aquilone; Comunità La Crucca; Casa Emmaus società cooperativa sociale; Associazione Madonna del Rosario; Associazione Arcobaleno; Centro di accoglienza Don Vito Sguotti Odv; Dianova cooperativa sociale arl) per la prima volta alza la voce, per protestare contro la Regione e l’inconsistenza delle rette giornaliere, ferme al 2012. Lo fa pubblicando uno spazio a pagamento sul quotidiano L’Unione Sarda (lo stesso sarà fatto sulla Nuova Sardegna), con le motivazioni e le fotografie dei responsabili delle più importanti realtà di questo settore nevralgico dell’Isola. In poche parole, mettendoci la faccia.

Non c’è solo il caro energia a mettere a rischio chiusura le comunità terapeutiche. Così, dopo la recente protesta dei sindacati confederali sardi, di Federsolidarietà, Legacoopsociali e Agci Solidarietà, si aggiunge questa clamorosa presa di posizione che mai in passato era stata registrata. «Siamo abituati a lavorare dietro le quinte, lontano dai riflettori», spiega Grillo. «Lo facciamo per coerenza, per stile e per il rispetto dovuto ai nostri ospiti. Ma ora la misura è colma, non possiamo più stare zitti. Tempo fa, una cosa del genere non sarebbe mai successa perché c’era una sensibilità differente. Ma quando si mettono i propri interessi e il proprio narcisismo sopra il mandato istituzionale, accade questo: nessuno, all’interno della Giunta e del Consiglio regionale, è riuscito a darci una risposta. Abbiamo inviato valanghe di Pec a tutti, senza distinzione, perché i nostri problemi non appartengono a una parte politica. Abbiamo prodotto perizie giurate di esperti professionisti che hanno dichiarato, di fronte al giudice, che le rette della Regione Sardegna non coprono neppure le ore di lavoro del personale obbligatorio che dobbiamo impiegare: ce lo impone la legge, se vogliamo avere l’accreditamento regionale. Gli anni passano come se nulla fosse. In più, nel periodo della pandemia, non ci è stato dato un euro per far fronte alle spese sui dispositivi anti-Covid: mascherine, tamponi, camici. Altre Regioni, come Veneto, Lombardia e Marche, sono intervenute con risorse straordinarie. Noi chiediamo il rimborso delle spese sostenute e l’adeguamento delle rette».

Giovanna Grillo ricorda che «negli ultimi dieci anni sono aumentate due volte sia le rette per la salute mentale, sia quelle per l’assistenza sociosanitaria. Le nostre sono rimaste invariate. Se parli con i politici, c’è un continuo rimpallo di responsabilità. Siamo esasperati, ma sono contenta che la decisione di uscire allo scoperto con questa protesta sia stata adottata all’unanimità. Siamo davvero a un bivio, per la prima volta esiste la concreta possibilità che si debbano chiudere le nostre strutture. E questo problema sta emergendo in maniera evidente anche nel settore pubblico, dove si avverte una marcata assenza di personale medico e paramedico».

La coordinatrice del Ceas parla anche di un altro problema: la spesa delle risorse messe a disposizione dalla Regione. «La legge 309/90 prevede che ogni paziente possa decidere dove farsi curare. I nostri ospiti, però, dopo essere passati dai SerD, non possono esercitare questo diritto perché è stata istituita un’ulteriore Commissione, che si riunisce una volta ogni due settimane e stabilisce dove queste persone debbano recarsi. Ma ci sono alcuni pazienti che attendono una risposta da sei mesi. Non capiscono che in ballo c’è la vita o la morte, che un drogato che fa uso di 4 dosi di cocaina al giorno può morire da un momento all’altro. Non esiste una struttura pubblica che svolga il nostro lavoro (i SerD fanno tutt’altro). Inoltre, svolgiamo servizi essenziali: senza di noi, nessun tossicodipendente in carcere potrebbe beneficiare delle misure alternative previste dalla legge 309/90. È gravissimo che si leda il diritto di un detenuto di potersi curare nelle strutture terapeutiche».

Padre Salvatore Morittu, fondatore dell’associazione Mondo X-Sardegna e della prima comunità terapeutica dell’Isola (nel 1980, a Cagliari), riassume il pensiero di tutti i responsabili sardi: «Tutte le strutture rimaste aperte nel territorio regionale saranno costrette a chiudere entro pochi mesi. Sottolineo che, all’interno delle strutture accreditate, accogliamo persone inviate dal servizio pubblico che presentano problemi di dipendenza da sostanze stupefacenti, alcol, gioco d’azzardo, ma anche detenuti in misure alternative, spesso con disturbi mentali e comunque a forte rischio di emarginazione sociale. Centinaia di pazienti dai prossimi mesi non avrebbero più un luogo sicuro e protetto dove curarsi e rientrerebbero quindi nei loro territori, con un grande rischio sia per le famiglie che per i Comuni di residenza. Le comunità sarde in oltre 40 anni di attività hanno accolto e curato più di 30mila persone, supportando le loro famiglie e i servizi sociali, dando lavoro a oltre 600 persone. In due anni e mezzo di pandemia non abbiamo visto un centesimo, abbiamo dovuto far fronte da soli a questo aggravio di spese che non sono più sostenibili».

Intanto la presidente del Centro Servizi per il Volontariato, Lucia Coi, ha espresso la vicinanza e la solidarietà di tutto il CSV della Sardegna nei confronti delle comunità terapeutiche sarde che aderiscono al Ceas.

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