Non profit
Sarajevo rinasce grazie a 1000 mici
Centinaia di ragazzi che, contagiati dallenergia di don Renzo Scapolo, continuano a spendersi e a lavorare per la pace.
E chi se li ricordava più la Bosnia e Sarajevo? Spostati i riflettori da un?altra parte, sull?ennesima emergenza, delle centinaia di volontari che ancora oggi si recano periodicamente nella martoriata capitale della Bosnia non parla più nessuno. Poi il silenzio è stato squarciato da un incidente sulle ghiacciate strade della Lombardia, nel quale hanno perso la vita tre giovani volontari: Annalisa, Katia e Gabriele. «Sessantun anni in tre! meno dei miei anni… Spezzati dalla solidarietà», ha scritto don Renzo Scapolo il fondatore e animatore dell?associazione con la quale i tre ragazzi di Figino Semenza, piccolo comune del comasco, si erano recati a Sarajevo per un viaggio di solidarietà.
E così in tanti hanno scoperto che l?emergenza non è mai finita, che il flusso della solidarietà non si è interrotto seguendo la disattenzione dei media. Anzi, in questi anni i viaggi e le vacanze di solidarietà hanno coinvolto centinaia di ragazzi e ragazze, il lavoro è continuato e porta i suoi frutti. Quali? «Da Sarajevo mi hanno fatto sapere che i gruppi familiari, serbi e musulmani, hanno deciso insieme di fare una cassa comune, in una città come quella dove la paura e il non fidarsi sono il pane quotidiano ti fa pensare che la Provvidenza esiste davvero», scherza don Renzo Scapolo, ma è un sorriso amaro il suo «Fino a ieri ci credevo anch?io, poi dopo quella sberla (l?incidente dei tre volontari) ti viene voglia di gridare… ma è un mistero micidiale».
Per quattro anni don Renzo Scapolo si è fermato a Sarajevo dove ha curato la sede bosniaca dell?associazione e coordinato il lavoro di ricostruzione. «Nel maggio del ?95 dopo tre anni di viaggi di solidarietà, Adriano Martin, un ragazzo di 27 anni, ha deciso di rimanere lì e con lui mi sono fermato anch?io, ma ero senza l?autorizzazione del mio vescovo», racconta seduto in mezzo a tre dei suoi ragazzi, Stefano Tomaselli e Claudia Cozza di Figino e Lorenzo Dalle Ave con lui da prima che nascesse l?associazione; «Ho scritto una lettera al vescovo Maggiolini e dopo aver rinunciato alla parrocchia sono partito con ?la non proibizione del vescovo?». Da pochi mesi è ritornato in Italia e gli è stata assegnata una nuova parrocchia, in montagna a Plesio. In Italia senza abbandonare la sua opera, perché come ama ricordare «tutti i conflitti nascono nei paesi in pace e le radici della povertà sono nei paesi ricchi».
Tutto cominciò con un gemellaggio
Quella di don Renzo è stata una scelta radicale. «Sprofondo, non parte da Sarajevo, tutto nasce durante la guerra in Croazia», racconta Lorenzo Dalle Ave «con la Caritas della zona pastorale Prealpi era stato fatto un gemellaggio con la diocesi di Hvar, abbiamo organizzato i primi tir di aiuti, alla fine abbiamo contato un?ottantina di container inviati». Ma non ci si è fermati solo all?invio. «Con la Caritas locale abbiamo messo in piedi un allevamento di maiali, uno di capre e un altro di galline ovaiole poi un forno per cuocere mille chili di pane al giorno per i 10, 15 mila profughi presenti», spiega don Renzo. «Abbiamo dato una mano ai profughi di Vukovar e con lo scoppio della guerra in Bosnia siamo andati là». I primi viaggi di pace vengono fatti con i Beati Costruttori di Pace, poi dal ?94 come associazione Sprofondo. Sono stati inviati aiuti in modo sistematico, un convoglio al mese. E con l?attività ecco arrivare il coinvolgimento dei giovani, quasi 400 quelli registrati dall?associazione per arrivare a poco più di 800 calcolando anche quelli che si sono aggregati come i gruppi scout. «Il nostro sistema è quello di andare per ?permanere? cioè andiamo in città, in mezzo alla gente. I ragazzi sono ospiti delle famiglie che seguiamo, alcune le abbiamo seguite nei tre diversi campi profughi dove sono state accolte e ora nel quartiere di Grbavica, una volta serbo e oggi occupato dalle famiglie musulmane».
I ragazzi stanno nelle famiglie che partecipano ai progetti dell?associazione: «La fase ?Babbo Natale? l?abbiamo conclusa e siamo passati a quella della promozione umana: troppo spesso gli aiuti umanitari diventano ?disumanitari?», taglia corto don Renzo, con la sua croce al collo, ricavata da una granata. Ed eccolo il metodo di battaglia: ?aiutiamoli a lavorare per sé e per gli altri?. Non ci si ferma all?assistenza, si punta alla promozione sociale e tutto questo attraverso la ?Banca del lavoro?. Gli interventi programmati si svolgono nei quartieri di Vraca e Grbovica nella federazione Croata Musulmana e di Lukavica nella repubblica federale Serba di Bosnia: i quartieri più poveri della città dove vengono seguite 200 famiglie riunite in gruppi di lavoro che si impegnano nello sgombero di macerie, nella ricostruzione delle case e delle strutture sociali. «La Bosnia è mantenuta volutamente in uno stato di dipendenza umanitaria, noi operiamo in modo diverso: diamo un valore al lavoro, il nostro aiuto diventa un lavoro uno scopo per tutti», spiega don Renzo. «Quest?anno ho trovato una Sarajevo diversa rispetto a quella vista tre anni fa», racconta Claudia Cozza, che ha trascorso l?ultimo Natale a Sarajevo «c?è gente per strada, non solo i militari e poi si sta ricostruendo e ?colorando? le case». «Per me è stato un contagio, sono stato contagiato da don Renzo» racconta Stefano Tomaselli, animatore dell?associazione a Figino «una volta che vai là diventa automatico ritornare. A Sarajevo si creano amicizie tra persone diverse ed è uno dei segnali che ti dice che vale la pena fare quello che fai. Poi torni, fai vedere le diapositive racconti ai ragazzi che al mattino sono indecisi tra mettersi le Nike o le Adidas che là i loro coetanei con mezzo metro di neve vanno in giro in ciabatte. Magari non colpisci subito, però quel ragazzo ci pensa e quando diventa grande ci pensa un po di più e…». Così in questi anni è scattato il ?contagio? della solidarietà, un passa parola tra giovani dell?oratorio e non, tra chi era stato in Bosnia e diceva all?amico «vieni, ne vale la pena».
Progetti e realizzazioni
E c?è il lavoro di sensibilizzazione fatto in Italia. «Anche il lavoro qui è fondamentale», spiega Lorenzo Dalle Ave «prima si organizzavano soprattutto i convogli, oggi si tengono i contatti, si gestiscono i progetti. Ci sono attività meno eroiche, come gestire la contabilità, ma quando ricevi delle donazioni deve rendere conto dei soldi che ti donano». E di progetti ne sono stati realizzati molti dall?adozione a distanza degli orfani (300 seguiti per due anni e mezzo), dei nonni, degli ammalati cronici (400 per tre anni). E c?è tutto il lavoro di informazione e diffusione. Perché è importante anche il lavoro culturale. «Il nostro è un ecumenismo concreto e il convento francescano di Grbavica, bruciato durante la guerra, è un segno potente del nostro progetto trinitario», spiega don Renzo «sorge al confine dei tre quartieri, è il punto di incontro del mondo cristiano, ortodosso e cattolico e di quello musulmano». Il convento è destinato a diventare un Centro multietnico, culturale, sociale e sportivo. Dopo l?incidente un?aula, quella della meditazione e della preghiera interreligiosa, verrà dedicata ai tre ragazzi di Figino.
E ora c?è il nuovo progetto peKosovo. E il contagio continua…
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