Non profit
Sappe: «Anche gli agenti sono allo stremo»
Dopo il suicidio di oggi a Siracusa, la denuncia del sindacato di polizia penitenziaria
di Redazione
«Come può un agente, da solo, controllare 80/100 detenuti? Come si può lavorare in un carcere in cui vi sono 567 detenuti per 309 posti letto regolari come a Siracusa? Con un sovraffollamento di quasi 69mila detenuti in carceri che ne possono contenere a mala pena 43mila, accadono purtroppo anche questi tragici episodi. E se la situazione non si aggrava ulteriormente è grazie alle donne e agli uomini del Corpo che, in media, sventano ogni mese 10 tentativi di suicidio (molte centinaia ogni anno) di detenuti nei penitenziari italiani».
Così, Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, commenta l’ultimo suicidio avvenuto nel carcere di Siracusa. Capece sottolinea che «i dati parlano chiaro. Lo scorso anno 2009, in cui nelle carceri italiane ci furono 58 suicidi di detenuti e 100 decessi per cause naturali di detenuti, ci sono stati anche 5.941 atti di autolesionismo nelle carceri italiane che non hanno avuto gravi conseguenze solamente grazie al tempestivo intervento e alla professionalità delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria. Così come nei 944 tentativi di suicidio di altrettanti reclusi».
Per Capece, è «grave che la classe politica, dopo aver visitato in massa le carceri il 15 agosto dello scorso anno, non sia ancora stata in grado di trovare soluzioni politiche e amministrative al tracollo del sistema penitenziario italiano come invece trovò nel 2006 con la legge fallimentare dell’indulto. Rinnoviamo oggi ai tanti rappresentanti dei cittadini, in particolare a quelli che si sono recati in visita nelle carceri – aggiunge – l’invito e il monito a non sottovalutare la portata storica del loro gesto». Il sindacalista fa poi notare come il Corpo di Polizia Penitenziaria «ha mantenuto fino ad ora l’ordine e la sicurezza negli oltre duecento Istituti penitenziari a costo di enormi sacrifici personali, mettendo a rischio la propria incolumità fisica, senza perdere il senso del dovere e dello Stato nonostante vessati da continue umiliazioni ed aggressioni, da parte di una popolazione detenuta esasperata dal sovraffollamento e da politiche repressive».
Politiche «che non hanno avuto il coraggio e l’onestà politica ed intellettuale di riconoscere i dati statistici e gli studi Universitari indipendenti su come il ricorso alle misure alternative e politiche di serio reinserimento delle persone detenute attraverso il lavoro siano l’unico strumento valido, efficace, sicuro ed economicamente vantaggioso per attuare il tanto citato quanto non applicato articolo 27 della nostra Costituzione. L’intero Corpo – conclude Capece – è allo stremo, ma oggi servono iniziative concrete sia da parte dell’Esecutivo che della sovrana attività Parlamentare sulle criticità penitenziarie».
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