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Sapelli: «Questa emergenza va affrontata con l’ingegneria sociale»

Per l'economista sia Governo che Regioni stanno guardando al problema solo dal punto di vista medica. «Serve un commissario con un think tank, sul modello della Corea del Sud, che gestisca il problema con un governo d'eccezione»

di Lorenzo Maria Alvaro

Da due giorni sono state varate le nuove disposizioni che limitano la circolazione e la socialità. Ma la Regione Lombardia, insieme alla Regione Veneto e ai sindaci del territorio, hanno già chiesto un intervento più massiccio per fronteggiare il contagio, immaginando un vero lockdown sul modello cinese. Il Governo tentenna e mentre annuncia di aver reperito con il via libero dell'Ue 25 miliardi per aiutare famiglie e imprese, scoppia il caso mascherine e continuano sotto traccia le trattative, tra maggioranza e opposizione, sulla figura di un super commissario. Un caos su cui ci siamo confrontati con l'economista Giulio Sapelli.


Il Governo è alle prese con un'emergenza tra le più gravi della nostra storia. Come si sta muovendo a suo giudizio?
Penso che la cosa che si è sottovalutato è che si dovesse prendere delle misure severe sin dall'inizio affidate a un commissario straordinario con l'esempio della Corea del Sud, affiancato da think tank multidisciplinare con pieni poteri. Penso al modello della Protezione Civile di Zamberletti e Bertolaso che poi però è stata smantellata. Il lavoro andava fatto in cooperazione e dialogo con le rappresentanze dei datori di lavoro che con i sindacati. Bisogna rendersi conto che le imprese italiane già 15 anni fa avevano superato tutti i protocolli di Kyoto, c'era la possibilità di lavorare online da subito e poi di sanitizzare le strade come fanno nei paesi asiatici. Sintetizzando si è risposto solo con una visione medica mentre sarebbe servita una visione di ingegneria sociale. La parola d'ordine di restare a casa in questo contesto è sbagliata, non difende dall'epidemia e rischia di portare alla distruzione del patrimonio economico. Riflette l'immagine che la classe politica ha dell'Italia: un mondo in cui non esistono lavoratori dipendenti e in cui le persone possono stare a casa quando vogliono. La prova che tra la classe di sopra e quella di sotto non c'è più alcun rapporto.

A proposito del super commissario, il presidente Conte lo ha escluso ma i media parlano di una corsa atre tra Bertolaso, De Gennaro e Arcuri. Che ne pensa?
Non voglio dare giudizi sulle persone. Posso dire che deve essere un civil servant che ascolti i medici ma che abbia una grande conoscenza delle tecnologie. Solo così si può fare bene il commissario. E poi non penso a un commissario unico ma ad un governo di eccezione. Un think thank sul modello coreano in cui ci siano esperti in vari settori. Un governo d'eccezione.

Intanto però Regione Lombardia chiede un vero e proprio lockdown. Che ne pensa?
Penso che i governatori conoscono bene le proprie economie. Ma anche loro hanno pensato poco all'ingegneria sociale e impostato il discorso solo sul fronte sanitario. Si doveva attivare le forze economiche e del lavoro e fare in modo che ci fossero interventi anche più draconiani. Speriamo che applicando misure economiche si possa fare anche ora.

Parla dei 25 miliardi annunciati dal governo?
Sì ma solo a patto che siano fatti attraverso il debito. Non passando dal Meccanismo europeo di stabilità (detto anche Fondo salva-Stati ndr). Se ricorressimo al Mes ci verrebbero dati a tassi d'interesse molto più bassi è vero. Ma il prezzo sarebbe che ci prenderebbero in mano l'economia e la prima cosa che ci imporrebbe sarebbe la ristrutturazione del debito. Sarebbe la fine delle banche italiane e del nostro sistema economico.

Mentre però viviamo questo dramma sanitario la scuola e le aziende stanno dimostrando di poter operare grazie alla tecnologia…
È una cosa positiva. Dovremo tenerlo come risultato inaspettato, controintuitivo si diceva una volta. Come ci insegna San Paolo, in ogni momento buio può risorgere la speranza.

Intanto il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, ha scritto un editoriale su Vanity Fair in cui si legge che «è tempo che le istituzioni lascino i loro palazzi e, insieme alle migliori espressioni della creatività, dell’industria e del terzo settore, tornino sul territorio per costruire un futuro di una crescita meno fragile perché inclusiva e sostenibile». Che ne pensa?
È chiaro che Milano è un'economia fragile. L'economia lombarda che può crescere inizia a Monza, passa per la Brianza e va verso il Veneto. Milano si regge su due fiere: il salone del Mobile e la Moda. Non ha più una struttura economica solida. Una fragilità che c'era anche ai tempi di Expo, evento che ci si è inventati proprio per coprirla. Ci si è illusi che quell'evento avrebbe risanato la città. Ma non è possibile. Oggi Milano vive di un'economia profondamente classista: tutto quello che si fa a Milano divide i lavoratori dipendenti e i poveri da una ristretta classe ricca che vive nel centro storico e che sono gli elettori del sindaco Sala. Mi stupisce che oggi scriva queste cose

Perché?
Perché è lui il fautore della politica che ha portato a questo punto. Il progetto di questa città nasce con il governo Moratti di cui lui era city manager. Che adesso si presenti come sostenitore di un'economia inclusiva fa capire che la politica ormai sia solo spettacolo, un spettacolo per altro molto simile a Zelig. Che poi scriva un editoriale su Vanity Fair significa che siamo alla frutta. In un momento come questo non mi sembra il luogo per mandare messaggi alla città. È offensivo. Speriamo che gli Zelig si volatilizzino.

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