Politica

Santoro? Ci ha pensato Lei

La Rai chiude Annozero, il conduttore forse passerà a La 7

di Franco Bomprezzi

Strano Paese quello nel quale il contratto di un anchor-man televisivo diventa il titolo di apertura dei giornali: ma qui si parla di Michele Santoro, di Annozero, della lunga guerra mediatica con Silvio Berlusconi, del servizio pubblico della Rai, del conflitto fra l’interesse aziendale (profitti che si basano sugli ascolti) e l’interesse politico. Quanto basta per rendere l’argomento il caso del giorno.

“Il caso Santoro scuote la tv”: apre così il CORRIERE DELLA SERA, collocando solo nel sommario il tema dell’incontro Lega-Pdl ad Arcore. Risolto consensualmente il contratto con la Rai, finisce, con la puntata in onda giovedì, Annozero, il programma di Michele Santoro che tuttora detiene il record di ascolti e dunque di pubblicità fra i programmi di informazione del servizio pubblico. La svolta determinata dal nuovo direttore generale, Lorenza Lei. Le notizie le troviamo a pagina 2, nel pezzo di taglio, firmato da Paolo Conti: “Ha firmato ieri mattina, intorno alle 10, poco prima che si riunisse il Consiglio di amministrazione. Michele Santoro ha detto addio alla Rai con una «risoluzione consensuale» del rapporto. Alla fine di una trattativa cominciata nelle ore dell’insediamento di Lorenza Lei alla direzione generale, cioè dal 3 maggio. I due hanno ottimi rapporti personali da anni e stavolta la consegna del silenzio assoluto ha funzionato: tra trattamento di fine rapporto, «scivolo» di 24 mesi, chiusura del contenzioso legale, ferie arretrate, La Rai ha liquidato Santoro con circa due milioni e 300 mila euro. Appena poco di più e il contratto sarebbe passato sul tavolo del Consiglio di amministrazione, col pericolo di ripetere il bis dell’anno scorso quando una identica trattativa con Mauro Masi naufragò proprio perché il «pacchetto » prevedeva una collaborazione esterna più la buonuscita, roba da sette milioni di euro”. A pagina 3 il futuro di Santoro: “Il conduttore a «La7». Mentana: lo aspetto a braccia aperte”. Scrive Maria Volpe: “Questa volta forse il terzo polo esiste davvero. E non è tutto merito di Michele Santoro, naturalmente. È merito di una squadra che da anni ci crede. Del resto La7, dalle ceneri di Telemontecarlo, nasceva esattamente dieci anni fa, il 24 giugno 2001. Vicende alterne, certo. Successi e insuccessi. Eppure la sensazione che tra i due colossi — Rai e Mediaset — ci fosse spazio per un altro tipo di televisione non è mai venuta meno. E la conferma è venuta con l’arrivo di Enrico Mentana. Che non solo ha portato gli ascolti del suo tg oltre il 10%, ma che ha coeso ancor di più una squadra sempre più forte, sempre più consapevole della propria identità (Daria Bignardi parla sempre di «senso di appartenenza che a La7 si sente in modo intenso» ). Se a questo si aggiunge il forte impatto tecnologico di cui La7 può godere grazie al suo editore— gruppo Telecom — il cerchio si chiude. Una tecnologia che oltre alla televisione comprende Internet, la tv via cavo, i multiplex del digitale terrestre: tutte possibilità che la pongono avanti nel mercato. E che rendono la sfida interessante”. Di qualità il commento, sempre a pagina 3, di Aldo Grasso, che parte dalla prima del CORRIERE: “La tv di Stato ha scelto il suicidio. Nessun network licenzierebbe uno così”. Ecco cosa scrive il critico televisivo: “La situazione ha comunque del paradossale, dell’inverosimile: qualunque network, in qualunque parte del mondo, non licenzierebbe mai uno come Santoro. Bisogna essere autolesionisti per liquidare un programma che veleggia sui 5 o 6 milioni a puntata, con picchi che superano i 7 milioni e uno share che va oltre il 20%. Tutte le volte che si atteggia a Masaniello, Santoro è insopportabile, ma nessuno può negare che sappia fare bene il suo mestiere. Lo sa fare, eccome! Nel tempo si è atteggiato a ideologo unico delle nostre coscienze, si è comportato come un televenditore di libertà, ha sviluppato il suo ego in maniera ipertrofica, si è circondato del peggior giustizialismo, si è convinto di «essere la perla del Servizio pubblico», ha agito spesso con disinvoltura intellettuale, ma ha sempre garantito all’azienda profitti e ascolti: avere una trasmissione che rende all’azienda il doppio di incasso rispetto ai costi e chiuderla è una follia. Il divorzio sarà anche stato consensuale, ma la Rai lancia un segnale di debolezza, di insicurezza, di sudditanza psicologica e ideologica. Lo abbiamo scritto mille volte: sul piano della comunicazione c’era un solo modo per combattere Santoro, fare una trasmissione più interessante della sua. Tentativi ne sono stati fatti, gli esiti li conosciamo: fallimentari”.

LA REPUBBLICA apre con la dichiarazione del presidente (“Napolitano: al referendum voterò”) e di spalla dà la notizia del divorzio consensuale (con buon trattamento di fine rapporto: quasi 2 milioni al giornalista): “La Rai liquida Santoro «Andrà a La 7»”. “Missione compiuta” è il titolo invece del commento di Curzio Maltese che dalla cover rimbalza a pagina 31. «Lorenza Lei in un mese è riuscita dove l’incapace Mauro Masi aveva fallito. Berlusconi l’aveva anticipato, anzi ordinato, e sarà finalmente contento». È una vittoria politica per il «vendicativo» Berlusconi, «il primo obiettivo centrato in tre anni», scrive Maltese, ma è anche una vittoria aziendale (di Mediaset, ovviamente). «Santoro avrebbe firmato la resa già l’estate scorsa, se l’astuto Masi non avesse festeggiato pubblicamente troppo presto… Non è facile lavorare dentro un’azienda di servi che ti fanno la guerriglia ogni giorno, arrivando al grottesco dispetto di non pagare i collaboratori». Il punto centrale è che «la Rai, come servizio pubblico, non esiste più». A pagina 10 invece Leandro Palestini riferisce le diverse reazioni snocciolando il «profondo rispetto per il diritto di ciascuno di essere artefice del proprio destino» espresso dal presidente Rai, Paolo Garimberti, e passando ai consiglieri Giorgio Van Straten e Nino Rizzo Nervo (l’uscita di Santoro avviene «a totale insaputa del cda» ed è «un danno»). L’ineffabile Stracquadanio ammette: «sì, penso proprio che Berlusconi sia contento». Sull’altro fronte, quello de La 7, divertente il commento dell’amministratore delegato, Giovanni Stella. «Santoro a La 7? I fatti parlano da soli, non crede?», premette; poi, temendo di non essere compreso, aggiunge una poetica metafora: «quando una donna si spoglia e si stende sul letto, c’è bisogno di fare altre domande? No. In certe situazioni non si parla. Ti togli la giacca, ti sfili la camicia e la smetti di chiacchierare».

IL GIORNALE apre col titolone a tutta pagina “Azzerato Annozero”. Luigi Mascheroni firma l’editoriale «La notizia del giorno è che Michele Santoro ha risolto il proprio rappor­to di lavoro con la Rai. Insomma, se ne va. Scontentando probabilmen­te la metà dell’Italia che lo considera un eroe della libertà di pensiero, e facendo felice l’altra metà che lo ritiene un tribu­no insopportabile. Comunque si giudi­chi Santoro, bravo ma fazioso o fazioso ma bravo, è una buona notizia. Per due ragioni. La prima è che si tratta di una scelta condivisa, una decisione comu­ne. Anzi, a dirla tutta è stata più che altro una decisione sua», la seconda «sta nel fatto che in questo modo si risolve un grandissimo equivoco, alla base di tutte le zuffe sul teletribuno di Salerno: un fastidioso malinteso di ordine etico ­amministrativo che si chiama “cano­ne”, cioè l’imposta che si paga per vede­re i programmi della tv di Stato e che la rende, appunto, “servizio pubblico”. Cioè di tutti. Cioè non solo di una parte. Perché se avesse voce solo una parte, il pubblico – come è ovvio – avrebbe qual­cosa di meno. E invece il celebre slogan, che ha fatto scuola, recita: “Rai. Di tutto, di più”. Se Michele Santoro farà di tutto, di me­no o di più su un’altra rete, da un’altra parte, non possiamo ancora saperlo. È un professionista. Militante e schierato, ma un professionista. Sapere che la voce di “Santorescu” non si possa più sentire, sarebbe una disgrazia. Sapere che si sen­tirà ancora, e più forte, su un canale tele­visivo di gruppo privato, è una benedi­zione. Ora le cose sono finalmente chiare». Paolo Bracalini invece firma “Va ora in onda Telekabul. Gli anti Cav si ritrovano su La7” in cui il giornalista attacca «la rete ha scoperto che sparare su Berlusconi costa poco e rende molto. Perciò punta su un’informazione radical chic, terzopolista e di trincea». In taglio basso Laura Rio si occupa della questione contrattuale di Santoro. “L’ultima trattativa: 2,5 milioni per dire addio”. Maurizio Caverzan invece firma “Così si chiude la seconda Repubblica della Tv”. «The End. Sulla seconda Tele-Repubblica scorrono i titoli di coda. Finisce un’epoca. Una lunga, formidabile, stagione. Tramonta un intero sistema politico e mediatico, rappresentato dall’inesausta e rovente sfida tra Michele Santoro e il premier Silvio Berlusconi. Il più istrionico e influente degli uomini di televisione. Il più carismatico e innovativo dei leader politici dell’ultimo ventennio. Avversari e nemici acerrimi. Faccia a faccia, anche se sempre a distanza. Come in Face off. O come in Duel: un combattimento frontale, senza titubanze. Ora cambierà tutto (ci auguriamo). Ieri il conduttore di Annozero ha firmato il divorzio consensuale dalla Rai e forse già oggi annuncerà il trasloco a La7, con la quale è in corso una trattativa giunta in fase molto avanzata. Vedremo. Restando ai fatti certi, si può dire fin d’ora che la scena politica e mediatica del Paese cambia. Cambierà sia se Santoro rimanesse alla Rai, con un rapporto di collaborazione da definire, sia se approdasse nella tv di Telecom Italia Media, un canale che non è finanziato da denaro pubblico». 

“Lui, Lei, l’altro” è questo il titolo di apertura del MANIFESTO. «Annozero cancellato, Michele Santoro lascia la Rai. Lorenza Lei porta a termine il lavoro di Masi. Berlusconi è servito: aveva accusato il giornalista di avergli fatto perdere le elezioni» sintetizza il sommario che rimanda a pagina 4 dove il tema è affrontato nell’articolo di apertura “Annozero, missione compiuta”. Sempre in prima inizia il commento di Norma Rangeri “Colpi di coda”: «Il primo colpo di coda del Cavaliere azzoppato arriva secco e micidiale. Via Michele Santoro dalla Rai. Santoro sarebbe potuto rimanere in Rai solo in virtù di una sentenza della Cassazione (come ai tempi di Masi) prevista per domani. Piuttosto che andare in onda con gli avvocati, il popolare conduttore ha detto basta (…) L’azienda, pagata dai cittadini, perde soldi, prestigio, pubblico con una decisione utile solo al presidente del consiglio e al concorrente Mediaset. Mutilano la Rai, mortificano l’audience, privano le sofferenti casse dell’azienda di sontuosi contratti pubblicitari, umiliano i telespettatori per tenere a galla un leader bollito. L’agonia di un regime mediatico si manifesta innanzitutto nelle immagini, nella necessità di stringere le maglie della comunicazione (…) » e ancora: «All’indomani del catastrofico risultato elettorale, Berlusconi aveva accusato Annozero di essere la causa principale (“micidiale”) della sua personale batosta politica. Annunciando interventi legislativi per toglierlo di mezzo. Non ce n’è stato bisogno, al lavoro sporco ha pensato Lorenza Lei, arrivata alla poltrona della direzione generale della Rai con una missione precisa. Portare a termine finalmente l’editto bulgaro, chiudere la partita televisiva ripulendo la Rai dal giornalista considerato da Berlusconi il suo principale competitore. (…)». L’articolo di apertura a pagina 4 è affidato a Micaela Bongi che oltre a sviscerare il caso Santoro guarda anche agli altri programmi Rai in bilico: «(…) E il destino degli altri conduttori a rischio? Che tempo che fa? di Fabio Fazio resta confermato al sabato e alla domenica, ma va a vuoto il tentativo del direttore di Raitre Paolo Ruffini di allungarlo al lunedì. Conferme, al momento, anche per Ballarò, Report e Parla con me. Ma i contratti non sono ancora definiti e non è escluso che – al di là della decisione del cda che domani voterà i palinsesti – Santoro possa fare da apripista almeno per Fazio. Chi andrà il giovedì in prima serata su Raidue? Lo spazio in palinsesto è ancora vuoto, ma si ipotizza la promozione di Gianluigi Paragone.(…)»

“Santoro lascia la Rai: è divorzio”. IL SOLE 24 ORE apre la pagina 17 sulla vicenda del giornalista a cui affianca un’analisi di Carmine Fotia “Torna la suggestione del terzo polo”, inteso come polo televisivo: «Ieri, dopo averlo già fatto sabato scorso, Telecom Italia è tornata a precisare parte dei contenuti di un colloquio dell’a.d. di Ti Media, Giovanni Stella, con “Il Fatto Quotidiano”. «Si tratta allo stato di mere ipotesi di lavoro» è il riferimento a un riassetto al termine del quale Ti Media avrebbe un azionista di maggioranza relativa con il 40% del capitale, il 37% resterebbe all’attuale proprietà e il 23% andrebbe sul mercato. Schema che ieri ha acceso il titolo a Piazza Affari (+5,5% a metà mattinata prima della precisazione) ma soprattutto ha riaperto scenari “terzopolisti” che da anni scaldano il mondo della televisione, anche all’insegna di un riequilibrio politico. Di qui – smentite a parte – la suggestione di un ingresso del gruppo Espresso-Repubblica a scompigliare l’attuale assetto che ruota intorno ai poli Rai e Mediaset (con Sky in campo nella “pay”). Nomi a parte, del resto, basta sondare gli umori del settore per capire che il momento sembrerebbe propizio a cavalcare il successo che La 7 sta mettendo a segno nel campo dell’informazione, trainata dall’effetto Mentana. A maggior ragione se  si andasse davvero verso un “dream team” che, oltre a Santoro, includesse anche uno tra Fabio Fazio e Giovanni Floris, con contratti Rai in scadenza il 30 giugno. Nel primo caso sarebbe in fin dei conti un ritorno a un vecchio progetto, quando Fazio era stato prescelto per una tv di alternativa vagheggiata durante la gestione Seat-Telecom di Colaninno e Pelliccioli».

“Si avvera il telesogno di Santoro” è questo il titolo a pagina 4 che ITALIA OGGI dedica al caso Santoro senza nessun richiamo in prima pagina, dove i richiami agli argomenti di Media ed Editoria sono dedicati rispettivamente ai periodici Rcs e alla trattativa di Feltri con “Il Giornale”. Scrive Marco Castoro che il conduttore «(…) Ha sfruttato l’incentivo a uscire e ha salutato baracca e burattini. Accontentandosi, si fa per dire, di 2,5 milioni, buonuscita contenuta nella procura del direttore generale che gli permette di evitare le forche caudine del cda. Ma che nello stesso tempo gli dà la possibilità di ricominciare subito da un’altra parte (chissà perché a tutti viene in mente La7), senza nessuna clausola né vincolo di concorrenza (…)». Per Castoro Santoro «si è preso una gran bella soddisfazione. Se n’è andato con le proprie gambe e dopo che, prima di lui, era stato il suo ultimo antagonista Mauro Masi, a lasciare viale Mazzini». Guardando ai palinsesti Rai osserva che «Non ci sarà il ritorno di Monca Setta su Raidue (e qui non è da escludere una coda in tribunale)», ma non solo si sottolinea la cancellazione del programma pomeridiano su Rainuo di Paola Perego e tolti pure «gli spazi di Domenica In affidati a Lorella Cuccarini e Sonia Grey» 
 
AVVENIRE apre con la politica e il vertice Pdl-Lega (il titolo è “Patto senza fisco”) che conferma la linea del rigore. Al divorzio “consensuale” tra Santoro e la Rai un piccolo richiamo di spalla rimanda all’articolo di pagina 8, con dovizia di commenti e reazioni dal mondo politico. Scrive Giovanni Grasso: «Pd e Idv mettono in relazione l’uscita di Santoro con le recenti parole di Berlusconi che ha affermato di voler regolare in Parlamento i conti con una informazione, a suo dire, ostile al governo:  “Non ci interessano le motivazioni tecniche che hanno portato alla chiusura di Annozero. Sappiamo solo che tale richiesta era stata avanzata qualche giorno fa da Berlusconi”, dicono Vincenzo Vita (Pd) e Giuseppe Giulietti. Mentre l’Idv con Pardi parla di “nuova edizione dell’editto bulgaro”. Nel centro destra il primo commento è del ministro Carlo Giovanardi, con un sonoro “Non me ne può fregare di meno, erano anni che non faceva più servizio pubblico”».  Se il presidente della Rai Garimberti ha dichiarato «Spiace sempre perdere un professionista come Santoro ma ho profondo rispetto per il diritto di ciascuno di essere artefice del proprio destino», per Marco Travaglio «è stata affondata la nave ammiraglia», mentre il deputato Stracquadanio del Pdl ritiene che «il servizio pubblico ci guadagnerà sicuramente». Invece Paolo Gentiloni (Pd), ex ministro delle Comunicazioni nel secondo governo Prodi, spiega in un’intervista di taglio alto che si tratta di “un autogol per la tv di Stato”: «Ancora una volta ho la sensazione che si continuino a privilegiare gli interessi di governo e maggioranza piuttosto che quelli degli abbonati… In un’azienda normale i dirigenti si chiederebbero dove hanno sbagliato».

LA STAMPA dedica un commento di Marcello Sorgi e i servizi a pagina 5 e 6 alla questione “Santoro-Rai”. Un divorzio, quello fra il conduttore di “Anno zero” e la rete pubblica di cui si vociferava da tempo, e che solo sotto le direzione di Lorenza Lei, appena nominata a capo della Rai in sostituzione di Mauro Masi, si è materializzato. Gli amici giurano: non ha ancora firmato nessun altro contratto. Ma sono certe trattative con La7: nulla ancora di definitivo, non c’è la firma nero su bianco, ma sono talmente avanzate che si parla già della possibile disposizione oraria, una prima serata e due seconde serate. E a darne conferma interviene lo stesso direttore del Tg de La7, Enrico Mentana, in apertura del telegiornale di ieri sera: «Con la nostra emittente le trattative, i rapporti, i discorsi ci sono stati: ora spetta a Santoro prendere la decisione definitiva». Sorgi punta il dito sull’ennesima anomalia tutta italiana: «In nessun Paese del mondo l’uscita di un conduttore da una tv e il suo probabile passaggio a un’altra rete hanno mai provocato quel che è accaduto ieri in Italia all’annuncio della separazione consensuale tra Michele Santoro e la Rai». E spiega: «Quella della Rai è la storia di una guerra infinita, e anche il caso Santoro, c’è da scommetterci, non finisce qui. Ci sarà un contrattacco, non sarà il primo né l’ultimo. Ma dopo mesi, per non dire anni, di mediocre gestione e di andamento inconcludente, è possibile che dall’inatteso blitz di ieri pomeriggio al settimo piano di viale Mazzini venga un segno di cambiamento». 

E inoltre sui giornali di oggi:

POSTE
LA REPUBBLICA – Tilt nazionale per l’azienda guidata e diversificata da Massimo Sarmi: le assicurazioni e i servizi bancari vanno bene, ma i terminali da qualche giorno funzionano a singhiozzo da Roma a Trieste. Lunghe code, nervosismo alle stelle. Il nuovo cervellone è il responsabile della debacle. L’azienda ha diramato una nota ieri sera: «l’operatività degli uffici postali è ormai prossima alla completa normalità». Intanto apre alla richiesta delle associazioni di consumatori per il risarcimento degli utenti danneggiati che non sono riusciti a fare operazioni con scadenza (tipo bollette, fatture e contravvenzioni).

BATTERIO KILLER
AVVENIRE – “Batterio killer, soia innocente. E l’Europa apre ai rimborsi” è il titolo del richiamo in prima sul giallo che continua: in Germania le prime analisi smontano anche l’ultima ipotesi sulla fonte dell’infezione che ha causato 24 vittime e 2mila contagi in Europa. Oggi il vertice europeo dei ministri dell’agricoltura per fare il punto e stabilire la forma delle compensazioni al settore.

REFERENDUM
IL MANIFESTO – Al di là del caso Santoro la falsa apertura della prima pagina è dedicata ai referendum con il titolo “Il presidente Napolitano batte un colpo, al quorum”, mentre l’editoriale di Guido Viale (che si conclude a pagina 15)  “L’acqua inonda la politica” lega il caso referendario alle recenti elezioni amministrative. «Che cosa lega i risultati dei referendum – se riusciranno a scavalcare i cavalli di Frisia della Corte Costituzionale e del quorum – al “vento che cambia” delle ultime elezioni amministrative (un vento sempre più simile a quello che riempie le piazze di Atene e della Spagna contro l’azzeramento di ogni aspettativa per le nuove – e le vecchie – generazioni, ma che ha un preciso riscontro nelle rivolte che stanno cambiando il panorama politico del Mediterraneo e del Medio Oriente)? (…) Il quesito investe tutti i servizi pubblici locali e non solo l’acqua, anche se l’acqua esemplifica bene la svolta possibile. Perché si tratta di trasformare migliaia e migliaia di cittadini che hanno promosso o sostenuto la campagna referendaria il referente obbligato di una nuova modalità di gestione delle risorse: bilanci trasparenti, dibattito pubblico sugli indirizzi a livelli quanto più decentrati, diritto di ispezione e controllo su tutti gli aspetti della gestione. A queste forme di bilancio partecipativo dovranno essere chiamati tutti i soggetti che disposti a mettere a disposizione le competenze necessarie alla gestione della risorsa (…)» Si fanno diversi esempi di servizi pubblici locali, dalla mobilità ai rifiuti. Si passa poi all’analisi delle obiezioni sottolineando che: «(…) Il fatto è che soltanto pubblicità e trasparenza (di bilanci e stipendi), potere di indirizzo e controllo da parte della cittadinanza attiva possono garantire le gestioni dei servizi pubblici dal malaffare e trasformarli in qualcosa che non rientra né nella proprietà privata né in quella pubblica» e infine si osserva che la non capacità del pubblico di avere risorse per la gestione è una «conseguenza di un falso federalismo che negli ultimi vent’anni ha strangolato sempre più la finanza locale per ingrassare le clientele della Cricca e della malavita organizzata, ormai presente al Nord quanto al Sud. È ora di riprendere in mano, come cittadini, il governo dei nostri territori». Alle pagine 2 e 3 si va a fondo del tema e in un commento Marco Bersani di Attac Italia, del Comitato referendario 2 sì per l’acqua pubblica scrive nell’articolo “Comunque vada, sarà una vittoria” «”C’è vita sul pianeta Italia” hanno affermato in molti dopo i risultati delle recenti elezioni amministrative. Pochi tra loro hanno fatto il collegamento più logico: c’è vita perché c’è l’acqua. E l’acqua c’è, trasparente e in movimento, da anni». Osserva anche che: «È stata una grande esperienza di alfabetizzazione popolare, un’autoformazione collettiva che ha dato nuovo significato alle parole diritti, beni comuni, democrazia, partecipazione. È stata una grande esperienza di inclusione sociale, che, attorno a obiettivi radicali – fuori l’acqua dal mercato, fuori i profitti dall’acqua – ha messo insieme storie e culture differenti dentro un grande laboratorio di intelligenze collettive, dentro una nuova agorà di partecipazione diretta. (…)». 

TERZO SETTORE
IL SOLE 24 ORE – “Un trust chiamato Onlus”: «Anche il trust può essere Onlus e pertanto beneficiare del trattamento tributario riservato alle Onlus. È quanto affermato in un “atto di indirizzo” dell’Agenzia del Terzo settore del 25 maggio. L’Agenzia parte dal presupposto che l’articolo 10 del decreto legislativo 460/1997 nell’elencare i soggetti che possono essere Onlus, dopo aver richiamato le figure giuridiche disciplinate dal Codice civile (associazioni, fondazioni e comitati) menziona in via generale e residuale anche «gli altri enti di carattere privato», categoria nella quale l’Agenzia ritiene possa essere ricompreso anche il trust. L’Agenzia inoltre sottolinea che, per ottenere la qualifica di Onlus, l’atto istitutivo del trust deve essere redatto nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata e che esso deve contenere le clausole richieste dall’articolo 10 del decreto legislativo 460/199»

COMUNI
ITALIA OGGI – In prima pagina viene lanciato l’articolo dedicato ai neosindaci di Milano, Bologna e Torino “alleati contro il Cav e per mettere in riga il Pd” si legge nel richiamo: «Nord, alleanza dei Supersindaci. I primi cittadini di Milano, Torino e Bologna, Giuliano Pisapia, Piero Fassino e Virginio Merola, sono pronti ad allearsi per colpir al cuore la Lega, mettere il pepe sulla coda di Pier Ferdinando Casini, relegare in un cantuccio Nichi Vendola, stuzzicare il governo e soprattutto il suo leader, Silvio Berlusconi. I tre si vedranno subito dopo i referendum per fare partire un’alleanza organica che dovrebbe appunto avere i suoi effetti fuori e dentro il Pd (…)» a pagina 10 poi al tema è dedicata mezza pagina.

CALCIOSCOMMESSE
IL MANIFESTO – Relegata la cronaca dello scandalo scommesse nel calcio in un box a piè di pagina 6 è interessante leggere il corsivo firmato Fucik “Un calcio al segreto”: «Un numero davvero eccessivo di commentatori sta gridando «salviamo il calcio». E danno sinceramente un po’ fastidio, perché queste storie di scommesse e partite truccate è vecchia quanto gli omicidi in famiglia. Ma soprattutto perché, nei commenti, non si riesce a trovare un rimedio diverso dal “ritorno alla moralità”. La quale, poverina, cammina sulla coscienza degli uomini. E negli anni della Arcore by night non le si può chiedere molto. (…)» E si cita la storia di Michael Jordan che finita la carriera si era dato al golf dilettantistico, ma un giorno si vede arrivare i federali con in mano un suo assegno: «Michael aveva scommesso su se stesso, s’era dato ovviamente «vincente». Nessun trucco, nessuna combine. Semplicemente, come giocatore, anche se amatoriale, non poteva farlo. Un allarme era scattato da qualche parte, nei meandri dei movimenti di conto corrente; e qualcuno aveva fatto due più due. Qui da noi, dice l’inchiesta, un nullatenente ufficiale può movimentare centinaia di migliaia di euro in un solo giorno, senza che scatti almeno la curiosità, se non un allarme. Qui da noi, infatti, c’è il segreto bancario. A proposito di moralità…».

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