Non profit

sant’antonio va in prigione e i detenuti applaudono

Un ospite tutto speciale al Due Palazzi di Padova

di Gabriella Meroni

I frati della Basilica e la cooperativa Giotto hanno organizzato una singolare processione cella per cella, a cui hanno partecipato anche i reclusi di religione islamica. Padre Enzo Poiana: «Il santo sta con
chi soffre» «Una cosa impressionante: decine di braccia che uscivano dalle sbarre, braccia di diverso colore, tutte protese verso il busto del santo, portato in giro per il carcere e poi davanti a ogni cella. Lo toccavano, e pregavano: cattolici, ortodossi, musulmani…». Padre Enzo Poiana, 50 anni, dal 2005 rettore della Basilica di Sant’Antonio a Padova, descrive emozionato la scena, come l’avesse ancora davanti agli occhi. Martedì 9 giugno ha portato, per il secondo anno consecutivo, le reliquie del Santo al carcere Due Palazzi, quasi mille detenuti in totale di cui il 90% stranieri (record italiano), per un «pellegrinaggio tra chi soffre». Nella città veneta questi sono i giorni della «Tredicina», la solenne celebrazione che dura appunto 13 giorni e culmina il 13 giugno, festa del patrono: «Ma non volevamo fosse solo una festa liturgica», continua padre Enzo, «così l’anno scorso, da un incontro con Nicola Boscoletto, presidente della cooperativa Giotto, molto attiva in carcere, ci è venuta l’idea di portare il Santo dai detenuti, visto che non potevamo portare loro da lui».
Questo è il secondo anno dunque di questa iniziativa unica che, stando al rettore della Basilica, ha lasciato un segno in tutti coloro che vi hanno preso parte. «I direttori del Due Palazzi, Salvatore Pirruccio e Antonella Reale, hanno capito subito il nostro desiderio che la festa fosse anche del carcere», racconta padre Enzo, «e la loro disponibilità è stata totale. Così abbiamo potuto celebrare prima una Messa in basilica per gli agenti di polizia penitenziaria, il personale amministrativo, i volontari e alcuni detenuti. Gli altri reclusi l’hanno seguita in tv grazie alle riprese di Telechiara e Telepace. Poi ci hanno aperto le porte del carcere, e la reliquia ha fatto il suo ingresso in tutti i bracci».
Una vera processione, cella per cella, con i detenuti che allungavano le braccia per toccare sant’Antonio e recitare una preghiera che i frati hanno stampato in italiano, inglese, francese, rumeno e arabo. «Prima di organizzare questa iniziativa ci siamo posti il problema se il passaggio delle reliquie potesse dare fastidio a qualcuno», ammette il rettore, «ma poi abbiamo considerato che Antonio è venerato anche nel mondo islamico (il santo soggiornò in Marocco, e secondo alcuni storici parlava l’arabo, ndr), e in effetti non ci sono stati problemi, anzi». È un accenno, nel racconto, ma qualcosa filtra dalla discrezione del frate: detenuti che si accostano alla confessione dopo anni, altri che per la prima volta ammettono, prima di tutto a se stessi, la gravità dei delitti che li hanno condotti dietro le sbarre.
Ai religiosi, i reclusi hanno detto tante cose: «Si sono affidati alla nostra preghiera, chiedendoci di essere aiutati a portare il peso della pena e, in alcuni casi, della coscienza», racconta ancora padre Enzo. «Oggi sono in tanti a disprezzare chi ha sbagliato, c’è chi dice “buttate la chiave”. Questo non è giusto, oltre a non essere cristiano. Bisogna aiutare queste persone a redimersi anche attraverso la nostra vicinanza, fisica quando è possibile, ma soprattutto spirituale. Noi frati preghiamo sempre per i detenuti, e abbiamo voluto dirglielo, pur senza nulla togliere alla necessità della giustizia umana». “Vigilando redimere”: è questo d’altra parte il titolo di una fortunata mostra, che ha girato tutta l’Italia, e che racconta molte storie di vita e recupero dei detenuti del Due Palazzi che hanno incontrato in carcere una possibilità di riscatto attraverso il lavoro del laboratorio dolciario della cooperativa Giotto. Tra l’altro, ai pluripremiati prodotti del forno (il Piatto d’Argento dell’Accademia italiana della cucina e i complimenti di Paolo Massobrio e dello star-chef Albert Adrià) si è aggiunta di recente La noce del Santo, specialità dolce a base dei frutti dell’albero su cui Antonio aveva fatto costruire la sua cella negli ultimi anni di vita. «La vendita di questi prodotti finanzierà le opere della Caritas antoniana», conclude padre Poiana. «Il nostro obiettivo per il 2009 è costruire una casa famiglia per gli orfani dell’Aids e per le mamme abbandonate a Mbarara, in Uganda».


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