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Sanremo è Sanremo, la realtà è un’altra cosa

Dopo la politica, ora anche Sanremo, per ritrovare senso e successo, sussume i temi del sociale...

di Riccardo Bonacina

Dopo la politica, ora anche Sanremo, per ritrovare senso e successo, sussume i temi del sociale, letteralmente li mangia per sopravvivere, sussume in sé tutti i festival Tenco e della canzone impegnata e d?autore. Fabrizio Moro con il brano Pensa, rap antimafia, e Simone Cristicchi con Ti regalerò una rosa, sulla malattia mentale, sbancano il Festival vincendo nelle rispettive categorie e mettendo d?accordo, è la prima volta che accade, pubblica e critica. Oltre a loro, i temi sociali sono stati protagonisti anche in Antonella Ruggiero con la sua Canzone fra le guerre, e in Fabio Concato con Oltre il giardino, dedicata all?espulsione precoce dal mercato del lavoro. Non è la prima volta che i temi sociali e impegnati irrompono a Sanremo, ma è la prima volta che il sociale si fa pensiero unico sul più famoso palco canzonettaro d?Italia, quello dell?Ariston. Un trionfo che ha fatto dire a Fiorello: «Ti deprimi così tanto all?impegno delle canzonette di quest?anno (matti, guerre, mafia, disoccupazione), che una puntata di ?Chi l?ha visto?? sembra uno show comico».

Le canzoni ?impegnate? fecero la loro apparizione già nel 1966, quando Celentano con Il ragazzo della via Gluck (prima vera canzone ambientalista), venne escluso dalla finale tra i fischi del pubblico. Andò meglio a Luca Barbarossa con L?amore rubato, su una storia di violenza sessuale, che arrivò terzo. Anche nel 1991, Marco Masini con la sua canzone Perché lo fai, dedicata ad un tossicodipendente, si classificò terzo, e subito dietro arrivò Umberto Tozzi con Gli altri siamo noi, un inno alla solidarietà. La scalata della canzone impegnata ebbe il suo apice con il secondo posto di Giorgio Faletti nel 1994, con Signor tenente, sulla strage di Capaci. Da segnalare, nell?edizione del 1999, anche Aria, canzone di Daniele Silvestri sui suicidi in carcere. Insomma, le canzone toste, di denuncia, di racconto di biografie difficili ed emarginate, o impegnate sui temi civili, hanno sempre avuto un posto nel festival sanremese, ma erano, appunto, canzoni di ?rottura?, rottura del monopolio della spensieratezza, rottura della rima cuore-amore. Ci si poteva arrabbiare perché il televoto, le giurie demoscopiche o di qualità non premiavano queste canzoni, lasciandoci il gusto di sentirci un po? più impegnati, intelligenti, meno omologati e un po? meno stupidi della media degli italiani. Ora, invece, le canzoni di Moro e Cristicchi hanno messo d?accordo tutti: da Magalli a Ghini, dalla Palombelli ad Alba Parietti, da Curzi a Giulietti. L?Unità e Liberazione, il Corriere e Repubblica hanno osannato Baudo, investendolo di una vera missione (scuotere i politici affinché salvino la Rai dalla privatizzazione e da Mediaset).

La scossa etica che il governo Prodi doveva dare al Paese ha infine debuttato, non nel Paese e neppure in Parlamento ma all?Ariston, grazie al Pippo nazionale e a due bravi cantautori. Il sociale trionfa e grazie a Sanremo diventa argomento dominante sui media e nei salotti. Tutto bene, quindi? No, per niente. Spenta la ribalta del Festival, smontato il costoso teatro, come ha cantato Milva, The show must go on. Ma lo show che non si ferma è quello della realtà e dei suoi problemi, ed è tutt?altra cosa. E chi sul terreno del sociale è impegnato quotidianamente, ora, forse, si sentirà, un po? più solo, un po? più marziano. Lo Stato etico ha dato spettacolo, ma la risposta ai problemi reali è tutt?altro show.

Coraggio, meglio non illudersi: fischiettando La paranza, rimbocchiamoci le maniche.


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