Cultura
Sanremo e quel grido di Tenco rimasto inascoltato
A 49 anni dal suicidio con cui il compositore e cantautore si tolse la vita, proprio durante una kermesse sanremese, sembra più importante veicolare l’accaduto come un mistero che prendere in considerazione quello che fu il suo lascito
Guardando la forzata abbronzatura di Carlo Conti, o la malcelata goffaggine di Gabriel Garko o, ancor di più, ascoltando le canzoni in gara al Festival di Sanremo 2016 viene un po’ di malinconia.
La risposta naturalmente ce l’hanno pronta tutti: «Ma sta andando fortissimo», «sta facendo grandi ascolti», «che ti aspetti da uno show televisivo», o anche «la musica a Sanremo è l’ultima cosa».
E poco vale ricordare che la dizione completa dell’evento sarebbe “Festival della canzone italiana”. E che è un bel po’ curioso che la festa per eccellenza della musica italiana non centri nulla con la musica.
Poi la memoria corre veloce al 1967. A queste poche righe che sancivano la fine di uno dei più grandi compositori, cantautori e poeti italiani: Luigi Tenco.
Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt'altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda Io tu e le rose in finale e ad una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi
Per anni, ancora oggi, si è dibattuto, sempre più stancamente, sull’originalità di queste righe. Sul fatto che invece che un suicidio quello di Tenco sarebbe un omicidio mascherato. In Italia spesso vogliamo vedere misteri anche dove non ci sono. Perché invece non prendere queste ultime frasi che componevano il suo biglietto di addio seriamente? Gli amici di Tenco le reputano troppo poco profonde e troppo banali per essere sue. Quello che invece sorprende è che, lette oggi, quelle righe sono tutt’altro che superficiali. E in qualche modo hanno anticipato quello che oggi è l’evidente e deprimente realtà. Quello di Tenco forse allora, negli anni ’60 con l’emergere dei De André, dei Dalla, dei Lauzi, dei Paoli, dei Gaber in un infinita lista di grandissimi artisti, sembrava solo un capriccio insensato. Il tempo però gli ha dato ragione. Il Festival di oggi rende quelle sue parole come pietre. Perché quel qualcuno non si è chiarito le idee. E se ieri avevamo la “scuola genovese”, i cantautori milanesi e una grandissima tradizione oggi ci rimangono artisti
emergenti senza nerbo (Arisa, Caccamo Zero Assoluto…) e antichi riesumati (Patty Pravo, Pooh, Ruggeri). Eppure, di fronte ad uno spettacolo fuori dal tempo ed al mondo, grottesco e deprimente, si assiste ai record di ascolti e ai toni entusiasti. Non solo del popolo, ma anche degli addetti ai lavori.
Uno scenario mesto, di fronte a cui vien voglia di pensare che Luigi Tenco sia morto invano.
L'unica consolazione è spegnere la televisione, accendere il giradischi (ma anche YouTube va bene) e riasoltarsi uno degli incredibili capolavori che Luigi Tenco ci ha regalato.
O magari grandi canzoni che gli sono state dedicate. Come quella di Francesco De Gregori…
… e quella di Fabrizio di Andrè.
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