Una buona notizia in quel di Sanremo. Tra disoccupati che minacciano il suicidio, polemiche politiche, canzoni e gag varie c’è spazio anche per la ricerca scientifica. Accade nella serata inaugurale del Festival, il 18 febbraio intorno alle 22.30. Davanti a dieci milioni di telespettatori sintonizzati su Raiuno, lo scienziato Luigi Naldini fa la sua comparsa sul palco. Nel presentarlo Fabio Fazio ricorda di quando, era il 1999, un altro ricercatore gli fece addirittura da spalla durante la sua prima conduzione. Era il premio Nobel Renato Dulbecco.
Naldini non è famoso come Dulbecco, ma potrebbe presto diventarlo. Si occupa di terapia genica, vale a dire di riparare i geni mal funzionanti e di reintrodurli nell’organismo attraverso le cellule staminali del sangue. La sua grande intuizione, che risale ormai a 15 anni fa, è stata quella di utilizzare il virus Hiv (quello dell’Aids) come vettore in grado di trasportare il gene corretto all’interno delle cellule. Un virus depotenziato e “addomesticato”, ma capace meglio di altri di infettare e, in questo caso, di curare. Con questa tecnica, Naldini e il suo staff dell’Istituto San Raffaele Telethon di Milano hanno arrestato la progressione di due gravi e rare malattie genetiche fino ad oggi considerate incurabili. Una dozzina di bambini, provenienti da tutte le parti del mondo, oggi sta bene, va a scuola e gioca con i suoi coetanei. La prospettiva è ora di applicare la stessa tecnica ad altre malattie, anche meno rare.
Sul palco di Sanremo, Naldini è riuscito a dire poco o nulla di tutto questo. Così come capitò a Dulbecco nel 1999, che pure aveva un ruolo più importante nella trasmissione. Di quella partecipazione è rimasta però una traccia importante. Perché Dulbecco volle devolvere il suo cachet (50 milioni di lire) alla Fondazione Telethon, che con quei soldi avrebbe creato un istituto di ricerca, il Dulbecco Telethon Institute, con lo scopo di favorire le carriere in Italia di giovani e promettenti scienziati altrimenti costretti a lavorare all’estero. A Naldini invece non è stato dato nessun compenso. Cosa resta, quindi, di quei due minuti?
Poco, a leggere i commenti su Twitter. Una decina quelli che contengono il nome dello scienziato, nulla in confronto alle migliaia dedicati alle canzoni. E su Facebook, il giorno dopo non mancano le critiche di chi si lamenta perché allo scienziato è stato dato poco spazio e perché è assurdo che la scienza, in Italia, conti così poco.
Io la vedo all’opposto. Proprio perché gli scienziati, in Italia, fanno così fatica a farsi conoscere ed apprezzare, iniziative come quella di Sanremo vanno applaudite e replicate. Se la gente non conosce la ricerca questa deve imparare a parlare alla gente. A scuola, prima di tutto. Nei palazzi della politica, sui giornali. E, perché no, in televisione, tra una canzone e un’altra. Certo, la presenza non basta. Bisogna saper comunicare, coinvolgere, emozionare. Ma nell’era della comunicazione chi non appare non esiste. Anche se fa cose straordinarie.
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