Cultura

Sanità, un dossier choc. La palestina sta male da morire

L’autorità palestinese in guerra continua a tagliare le spese per la sanità. E così la situazione già disastrosa peggiora sempre più. di Gianluca Bruttomesso

di Redazione

Gli F16 e gli elicotteri Apache scaricano bombe e missili sugli obiettivi palestinesi. Gaza, Jenin, Ramallah subiscono un duro bombardamento in risposta all?ennesima uccisione di coloni. Ma è un giorno come un altro, in Palestina. Ora, con gli impianti in parte distrutti, l?emittente La voce della Palestina si può ascoltare solo in Fm e la tv non arriva più in tutta la Cisgiordania. Ma, come si può intuire, il black out informativo è solo una delle tante emergenze in Medio Oriente. Non ultima, forse la più drammatica, quella che coinvolge la sanità. Una condizione di cui ancora poco è fatto conoscere dai media via etere e cartacei. Ecco perché Vita è andata oltre, cercando di rispondere a domande di base. Per esempio: in quale stato sociosanitario versano gli arabi dei Territori? Di quali risorse possono valersi? Pochi sanno, per esempio, che in termini di entità, per il ministero della Sanità dello Stato palestinese il maggior capitolo di spesa, dopo i salari ai dipendenti, è costituito dalla spesa farmaceutica, che arriva a drenare il 21,5% delle risorse, e che una voce importante è rappresentata dalle spese per i trattamenti sanitari all?estero, arrivando ad assorbire il 18% della spesa sanitaria globale. Ma esaminiamo, punto per punto, la situazione. Un?altissima domanda Lo stato di guerra non può che peggiorare il quadro, precario già prima dell?escalation di questi giorni. In Palestina l?accesso ai servizi è carente, specialmente per la popolazione rurale, anche se la disponibilità di servizi di base (Primary health care, Phc) è migliore rispetto alla maggior parte dei Paesi della regione. Ma peggio sta chi deve ricorrere a cure appena più sofisticate: come si legge in The Palestinian health system: an updated overview, di Mustafa Barghouthi, Atef Shubita e Laura Fragiacomo (Ed. Hdip, Ramallah, Palestina, 2000), è soprattutto la qualità dei servizi di secondo e terzo livello e degli ospedali a essere carente. Ci si trova di fronte a una domanda molto elevata di varie alte specialità: oncologia, centri ustionati, neonatologia, chirurgia cardiovascolare e neurochirurgia, tant?è che spesso i pazienti vengono trasferiti oltremare per le cure specialistiche. Insufficienti, è facile immaginarlo, sono anche i servizi di emergenza. Carente è la qualità dell?assistenza: il personale sanitario richiede miglior addestramento, e così i pianificatori, specialmente in materia di management, anche se sono in corso programmi di formazione, alcuni alle università di Birzeit, di Al-Quds e presso la Upmrc (ong palestinese di esperienza, ndr). Col fiato corto sono gli ospedali locali non governativi, che rappresentano il 53,6% delle disponibilità di cure. Per il resto, al 5,9% provvedono ospedali in Israele, al 28,7 ospedali in Giordania e per l?11,9% ospedali in Egitto. Il costo di queste cure è altissimo: prosciuga il 14% del bilancio della sanità palestinese, anche se il ministero della Sanità palestinese (MoH) calcola che l?invio all?estero ora costa meno dell?impianto di analoghi servizi all?interno. A ricevere i pochi dollari disponibili, in quanto fornitori di servizi sanitari sono il governo, l?Unrwa (l?Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, attiva dal 1949, ndr), le ong e i privati. Il tutto in presenza di un terribile gap tra domanda e offerta di servizi, tempi di attesa, specialmente per i trasferimenti al di fuori di strutture del MoH, e di una carenza di programmazione quali e quantitativa oltre alla tragica carenza di risorse. Tra rifiuti e urbanizzazione Ma per meglio comprendere l?emergenza sanità è bene ricordare alcuni dati, resi disponibili dall?Autorità nazionale palestinese (Pna). Tra gli adulti le cause di morte più frequenti sono gli accidenti cerebrovascolari, le coronaropatie, il diabete, l?ipertensione e il cancro. Tra i bambini polmoniti e altre malattie respiratorie. La mortalità infantile è stimata di 40 su mille nati vivi. La mortalità materna sta fra 70 e 80 su 100mila nati vivi. Il tasso di fertilità è di 6,01 nascite per donna. La speranza di vita è di 66 anni per i maschi e 67 per le femmine. Va aggiunto che lo stato di salute dei palestinesi è influenzato in larga misura da fattori ambientali tra cui la qualità e la quantità di acqua, la gestione dei rifiuti liquidi e solidi, la rapida urbanizzazione, il sovraffollamento, l?igiene e la sicurezza degli alimenti. Una condizione poco invidiabile. Di cui però non tutti i palestinesi percepiscono la gravità. La domanda di assistenza sanitaria è infatti influenzata dalla percezione della severità della malattia, dalle possibilità geografiche di accesso e dalle capacità economiche. Da un lato, nel 1997, ben 611.112 persone si sono rivolte ai centri di cure primarie, e ben 885.851 persone hanno fatto richiesta di ricovero in ospedale. Dall?altro, la richiesta di screening medici si è rivelata molto bassa. Ma c?è un altro dato che sconcerta ancor più. Da un?inchiesta svolta da più fonti risulta che il 49% delle famiglie ritiene «buoni» i servizi disponibili: il problema più avvertito (37%) è la mancanza dei medicinali richiesti. Il dramma è emerso tuttavia da discussioni di gruppo: è risultato che la gente decide dove rivolgersi più sulla base delle proprie risorse economiche e del livello di servizio fornito che sulla base del tipo di problema sanitario. A ciò va aggiunto che nei Territori e nella Striscia di Gaza non esiste un sistema sanitario omnicomprensivo delle esigenze degli abitanti, e che il trasferimento della copertura sanitaria volontaria da parte del governo israeliano all?Autorità palestinese ha aumentato il numero dei capifamiglia non assicurati al punto da costituire un terzo della popolazione (una proporzione significativa dell?aumento dei capifamiglia senza copertura assistenziale è costituita da dipendenti del governo e da poliziotti). Non si devono in ogni caso ricondurre solo a insolvenze governative i bisogni assistenziali insoddisfatti: solo il 23% dei capifamiglia si assicurano volontariamente, probabilmente perché il sistema assicurativo non rispetta i principi base di copertura sanitaria, a fronte di costi sanitari in aumento. D?altro tenore è la copertura assistenziale offerta dall?Unrwa. L?agenzia garantisce l?operatività full time di 33 cliniche, 13 presidi sanitari part time e di 6 centri per l?assistenza a partorienti e bambini nei Territori e a Gaza, garantendo un ampio livello di servizi nell?ambito di prevenzione e terapia, nonché di assistenza sanitaria in senso lato; i servizi sono dotati di farmaci che vengono somministrati gratuitamente ai rifugiati; analogamente, i servizi di assistenza al parto e pediatrici vengono forniti senza aggravi alla popolazione. Ospedali pieni, città al limite Ma quanti sono, e cosa offrono i nosocomi di Arafat? Eccone una radiografia. Al giugno 1999 esistevano 52 ospedali in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza , situati tutti nelle città maggiori, e funzionanti per tutto il distretto. Di essi, 14 sono gestiti dal MoH, 24 da Ong e 14 da privati. Il totale dei posti letto è di 3792, pari a 1,3 posti letto per mille persone. Vi si trova medicina generale, maternità, psichiatria e riabilitazione. Tra i reparti specialistici, vi è la chirurgia generale con un totale di 493 posti letto, cardiologia con 45, oncologia con 59, e ortopedia con 133 letti. Il tasso di occupazione degli ospedali generali è del 74% in Cisgiordania, e dell?80 in Gaza, mentre considerati tutti i tipi di ospedale l?occupazione è pari al 72% in Cisgiordania e al 79 a Gaza. Nel 38% degli ospedali vi sono comitati per il controllo delle infezioni. Degli 885.851 ricoveri registrati nel 1997, la durata media è stata di 9,3 giorni considerati tutti i tipi di ospedale; in quelli generali la degenza media è stata di 3,3 giorni. Cifre, queste, che vanno inserite in un contesto demografico e sociale ben delineato da altre statistiche. Il numero di abitanti palestinesi in Cisgiordania e nella striscia di Gaza è rispettivamente di 1.873.476 e 1.022.207; in totale 2.895.683 nei Territori occupati (esclusi i 300mila abitanti delle colonie israeliane illegittimamente stabilite). L?area totale dei Territori è di 5.996 chilometri quadrati, con una densità di popolazione di 333 persone per kmq in Cisgiordania e 2.824 nella Striscia di Gaza. Le famiglie sono costituite in media da 6,4 persone. A ciò va aggiunto che la striscia di Gaza è l?area più densamente popolata nel mondo a causa della presenza dei rifugiati nel 1948, soggetti a limitazioni nell?uscire dall?area. E che, con un tasso di crescita annuale del 3,5-4%, i Gazani non possono espandersi a causa delle restrizioni imposte dalla politica israeliana. Inoltre, ricordiamo che al tasso di crescita attuale la popolazione palestinese raggiungerà i 4.528.720 abitanti nel 2010 e che, come è usuale nei Paesi in via di sviluppo, la maggior parte della popolazione vive in aree urbane (il 54%). I palestinesi del Libano Si registra che di tutta la popolazione, il 49% è in età lavorativa (15-65 anni) e che il 28% della forza-lavoro, 137mila persone, corrispondenti al 5% della popolazione, è impiegato nel settore pubblico. Come emerge dalle cronache di questi giorni, invece di un esercito, vi è una polizia palestinese di circa 50mila unità, pari all?1,64% della popolazione. Occorre poi non dimenticare chi, palestinese, vive in territorio libanese. Qui i servizi sanitari sono offerti dall?Unrwa, dall?Unicef, dalla Prcs – Palestine red crescent society e da ong: si tratta di medicina di base e preventiva, di pianificazione delle nascite, di servizi di maternità e pediatria. Qui, l?aspettativa di vita è migliore: 72 anni per gli uomini e 76 per le donne. Per contro, il tallone d?Achille nei territori libanesi è da sempre rappresentato dai servizi ospedalieri e specialistici. Certo, la Palestine red crescent society gestisce diversi ospedali, che però hanno sofferto di pesanti tagli ai budget sin dal 1991, cui è seguita dal 1997 una riduzione del 30% in attrezzature e personale. È poi stata coperta solo una parte dei costi di ospedalizzazione e di trattamenti nelle unità di cura intensiva e grazie ad accordi tra l?Unrwa da un lato e nove ospedali privati e due istituti di assistenza psichiatrica dall?altro. Anche chi rientrava in questo progetto comunque ha dovuto versare di tasca propria dal 50 al 75% dell?importo totale per interventi chirurgici e medici che arrivavano a costare decine di migliaia di dollari, comportando indebitamenti a lungo termine per molte famiglie palestinesi. In Libano, sul piano delle cure ostetriche e neonatali, le cliniche esistenti sembrano coprire una porzione significativa delle necessità abbassando la mortalità neonatale del 30-40%. A ciò va aggiunto che, del resto, i numeri di donne gravide, bambini e adolescenti coperte dalle cliniche dell?Unrwa è in linea con gli indici di natalità propri della popolazione rappresentata dai rifugiati palestinesi: la maggioranza dei parti è assistita da operatori sanitari professionisti, per il 55% presso gli ospedali delle ong e per il 20 presso le cliniche dell?Unrwa; solo l?1,4% delle nascite è assistito da levatrici. D?altronde, che nel Libano i palestinesi godano di condizioni più dignitose che i connazionali della striscia di Gaza è confermato anche dal tasso di fertilità: pari a 4,1 per donna, una cifra contenuta sia per via di standard culturali ed economici più elevati, sia per le condizioni più accettabili in termini di conflittualità sociale: dal 7,1, proprio di donne analfabete, il tasso scende a 2,6 tra le connazionali che hanno potuto ottenere un?istruzione di livello medio. L?emergenza aborti Ma anche in Libano ogni medaglia ha il suo retro. Un recente studio ha messo in luce che il 66% delle donne sposate hanno avuto da 6 a 16 figli, e che in un caso su cinque sono rimaste incinte quand?erano ancora adolescenti: nei due terzi delle conseguenti gravidanze, il concepimento è avvenuto quando ancora la donna stava prendendosi cura di un neonato. Inoltre, la media di aborti è pari a uno per donna, anche se il quadro è a tinte ancora più fosche: il 22% delle donne ha subito da due a 11 interruzioni di gravidanza, e circa il 20% delle gravide ha dato alla luce figli morti. Sono dati che non devono stupire: simili trend, legati a condizioni di povertà, si riscontrano in tutto il pianeta Palestina, in particolar modo nei nuclei familiari dove il capofamiglia è donna. Una realtà sociale, questa, nient?affatto straordinaria: circa due terzi della forza lavoro femminile è costituita da donne con bambini, di cui il 40% è capofamiglia. Non per questo ci si deve attendere un trattamento di riguardo per la Palestina in rosa: l?elargizione di sussidi da parte dell?Autorità palestinese per famiglie indigenti e in particolare per le vedove, è irregolare e spesso viene a mancare per lunghi periodi, mentre l?assistenza da parte dell?Unrwa e delle ong copre non più del 20% delle donne capofamiglia.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA