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Sanità pubblica in ginocchio: 4,5 milioni di italiani rinunciano a curarsi
I dati del rapporto della Fondazione Gimbe raccontano un Servizio sanitario nazionale in forte sofferenza. «La vera emergenza del Paese», dice Nino Cartabellotta presidente della fondazione. I costi a carico delle famiglie esplodono: +10,3% mentre crolla l'impegno per la prevenzione (-18,6%). La spesa pubblica registra un gap di 52,4 miliardi rispetto alla media dei Paesi Ue
«Il Servizio Sanitario Nazionale costituisce una risorsa preziosa ed è pilastro essenziale per la tutela del diritto alla salute, nella sua duplice accezione di fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. La sua efficienza è frutto, naturalmente, delle risorse dedicate e dei modelli organizzativi applicati, responsabilità, quest’ultima, affidata alle Regioni. Per garantire livelli sempre più elevati di qualità nella prevenzione, nella cura e nell’assistenza, è necessaria la costante adozione di misure sinergiche da parte di tutti gli attori coinvolti», sono alcune delle parole del messaggio che il Presidente Sergio Mattarella ha inviato in occasione della presentazione del settimo Rapporto sul Servizio Sanitario nazionale – Ssn di Fondazione Gimbe, presentato nella mattina dell’8 ottobre a Roma.
«Dati, narrative e sondaggi di popolazione dimostrano che oggi la vera emergenza del Paese è il Servizio sanitario nazionale» così esordisce Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe.
Nel rapporto emerge un divario della spesa sanitaria pubblica pro capite di 889 euro rispetto alla media dei paesi Ocse membri dell’Unione Europea, con un gap complessivo che sfiora i 52,4 miliardi di euro. C’è la crisi motivazionale del personale che abbandona il Ssn; il boom della spesa a carico delle famiglie (+10,3%) con quasi 4,5 milioni di persone che nel 2023 hanno rinunciato alle cure, di cui 2,5 milioni per motivi economici. Per non parlare delle inaccettabili diseguaglianze regionali e territoriali; la migrazione sanitaria e i disagi quotidiani sui tempi di attesa e sui pronto soccorso affollati che, continua Cartabellotta «dimostrano che la tenuta del Ssn è prossima al punto di non ritorno, che i princìpi fondanti di universalismo, equità e uguaglianza sono stati ormai traditi e che si sta lentamente sgretolando il diritto costituzionale alla tutela della salute, in particolare per le fasce socio-economiche più deboli, gli anziani e i fragili, chi vive nel Mezzogiorno e nelle aree interne e disagiate».
Definanziamento cronico
Per Cartabellotta, «la grave crisi di sostenibilità del Ssn è frutto anzitutto del definanziamento attuato negli ultimi 15 anni da tutti i Governi, che hanno sempre visto nella spesa sanitaria un costo da tagliare ripetutamente e non una priorità su cui investire in maniera costante: hanno scelto di ridurre il perimetro della tutela pubblica per aumentare i sussidi individuali, con l’obiettivo di mantenere il consenso elettorale, ignorando deliberatamente che qualche decina di euro in più in busta paga non compensano certo le centinaia di euro da sborsare per un accertamento diagnostico o una visita specialistica».
Il Fabbisogno Sanitario Nazionale dal 2010 al 2024 è aumentato complessivamente di 28,4 miliardi, in media 2 miliardi per anno, ma con trend molto diversi. Nel periodo pre-pandemico (2010-2019) alla sanità pubblica sono stati sottratti oltre 37 miliardi di euro tra “tagli” per il risanamento della finanza pubblica e minori risorse assegnate rispetto ai livelli programmati.
Negli anni 2020-2022 il fabbisogno è aumentato di ben 11,6 miliardi, una cifra tuttavia interamente assorbita dai costi della pandemia Covid-19, mentre per gli anni 2023-2024 è aumentato di 8.653 milioni: tuttavia – si legge in una nota – nel 2023 1.400 milioni sono stati assorbiti dalla copertura dei maggiori costi energetici e dal 2024 oltre 2.400 milioni sono destinati ai doverosi rinnovi contrattuali del personale.
Le previsioni per il prossimo futuro non lasciano intravedere alcun rilancio del finanziamento pubblico per la sanità: infatti, secondo il Piano Strutturale di Bilancio deliberato lo scorso 27 settembre in Consiglio dei Ministri – continua la nota – il rapporto spesa sanitaria/Pil si riduce dal 6,3% nel 2024-2025 al 6,2% nel 2026-2027.
«Questi dati – spiega Cartabellotta – confermano il continuo e progressivo definanziamento del Ssn che non tiene conto dell’emergenza sanità e prosegue ostinatamente nella stessa direzione dei Governi precedenti».
Crescita del peso sulle famiglie
Rispetto al 2022, nel 2023 i dati Istat documentano che l’aumento della spesa sanitaria totale (+ 4.286 milioni di euro) è stato sostenuto esclusivamente dalle famiglie come spesa diretta (+ 3.806 milioni) o tramite fondi sanitari e assicurazioni (+ 553 milioni), vista la sostanziale stabilità della spesa pubblica (- 73 milioni).
«Le persone sono costrette a pagare di tasca propria sempre più prestazioni sanitarie, con pesanti ripercussioni sui bilanci familiari», spiega Cartabellotta. «Una situazione in continuo peggioramento, che rischia di lasciare l’universalismo del Ssn solo sulla carta, visto che l’accesso alle prestazioni è sempre più legato alla possibilità di sostenere personalmente le spese o di disporre di un fondo sanitario o una polizza assicurativa. Che, in ogni caso, non potranno mai garantire nemmeno ai più abbienti una copertura totale come quella offerta dal Ssn».
La spesa out-of-pocket – quella pagata direttamente dai cittadini – nel 2023 si è impennata aumentando del 10,3% (+ 3.806 milioni) in un solo anno. «Una cifra enorme e largamente sottostimata, in quanto arginata da vari fenomeni: la limitazione delle spese per la salute, l’indisponibilità economica temporanea e, soprattutto, la rinuncia alle cure».
Secondo l’Istat – ricorda la nota – nel 2023 4,48 milioni di persone hanno rinunciato a visite specialistiche o esami diagnostici pur avendone bisogno, per uno o più motivi: lunghi tempi di attesa, difficoltà di accesso, problemi economici (impossibilità di pagare, costo eccessivo). E per motivi economici nel 2023 hanno rinunciato alle cure quasi 2,5 milioni di persone (4,2% della popolazione), quasi 600mila in più dell’anno precedente.
Rispetto al 2022, nel 2023 la spesa per i “Servizi per la prevenzione delle malattie” si riduce di ben 1.933 milioni (-18,6%). «Tagliare oggi sulla prevenzione avrà un costo altissimo in termini di salute negli anni a venire, documentando la miopia di queste scelte di breve periodo», sottolinea Cartabellotta.
Crisi del personale sanitario
«La sanità pubblica sta sperimentando una crisi del personale sanitario senza precedenti: inizialmente dovuta al definanziamento del Ssn e ad errori di programmazione, oggi, dopo la pandemia, è aggravata da una crescente frustrazione e disaffezione per il Ssn. Turni massacranti, burnout, basse retribuzioni, prospettive di carriera limitate ed escalation dei casi di violenza stanno demolendo la motivazione e la passione dei professionisti, portando la situazione verso il punto del non ritorno» osserva Cartabellotta.
I dati raccolti da organizzazioni sindacali e di categoria documentano infatti il progressivo abbandono del Ssn: secondo la Fondazione Onaosi, tra il 2019 e il 2022 il Ssn ha perso oltre 11mila medici per licenziamenti o conclusione di contratti a tempo determinato e Anaao-Assomed stima ulteriori 2.564 abbandoni nel primo semestre 2023.
L’Italia dispone complessivamente di 4,2 medici ogni 1.000 abitanti, un dato superiore alla media Ocse (3,7), ma sta sperimentando il progressivo abbandono del Ssn e carenze selettive: oltre ai medici di famiglia, alcune specialità mediche fondamentali non sono più attrattive per i giovani medici, che disertano le specializzazioni in medicina d’emergenza-urgenza, medicina nucleare, medicina e cure palliative, patologia clinica e biochimica clinica, microbiologia, e radioterapia.
«Ma la vera crisi riguarda il personale infermieristico: nonostante i crescenti bisogni, anche per la riforma dell’assistenza territoriale, il numero di infermieri è largamente insufficiente e, soprattutto, le iscrizioni al Corso di Laurea sono in continuo calo, con sempre meno laureati», continua il presidente. Con 6,5 infermieri ogni 1.000 abitanti, l’Italia è ben al di sotto della media Ocse (9,8), collocandosi tra i Paesi europei con il più basso rapporto infermieri/medici (1,5 a fronte di una media europea di 2,4).
Inoltre, nel 2022 i laureati in Scienze Infermieristiche sono stati appena 16,4 per 100mila abitanti, rispetto ad una media Ocse di 44,9, lasciando l’Italia in coda alla classifica prima solo del Lussemburgo e della Colombia.
Lea e divario Nord-Sud
Rispetto ai Livelli Essenziali di Assistenza – Lea nel 2022 solo 13 Regioni rispettano gli standard essenziali di cura, con un ulteriore aumento del divario Nord-Sud: Puglia e Basilicata sono le uniche Regioni promosse al Sud, ma comunque in posizioni di coda.
Anche la mobilità sanitaria evidenzia la forte capacità attrattiva delle Regioni del Nord, con i residenti delle Regioni del Centro-Sud spesso costretti a spostarsi in cerca di cure migliori. In particolare nel decennio 2012-2021 le Regioni del Mezzogiorno hanno accumulato un saldo negativo pari a 10,96 miliardi di euro. «L’aumento della migrazione sanitaria ha effetti economici devastanti non solo sulle famiglie ma anche sui bilanci delle Regioni del Mezzogiorno, che risultano ulteriormente impoverite», aggiunge Cartabellotta.
Nel rapporto anche lo stato di avanzamento del Pnrr e si sottolinea il fatto che al 30 giugno 2024 sono stati raggiunti i target europei che condizionano il pagamento delle rate all’Italia e che «tuttavia» osserva Cartabellotta, «effettuata la “messa a terra” dei progetti la loro attuazione già risente delle diseguaglianze regionali, in particolare tra Nord e Sud del Paese».
E aggiunge: «La Missione Salute del Pnrr è una grande opportunità, che rischia di essere vanificata se non integrata in un piano di rafforzamento complessivo della sanità pubblica: non può e non deve diventare una costosa “stampella” per sorreggere un Ssn claudicante».
Tutte le tabelle sono dal 7° Rapporto Gimbe – In apertura Photo by Marcelo Leal on Unsplash
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