Non profit

Sanità leggera, fundraising, social network e business plan. È nata la generazione post crisi

di Redazione

Ormai sono (almeno) 20mila imprese sociali italiane. Con oltre 400mila impiegati (solo quelli censiti nelle 12.716 realtà dalla ricerca Iris Network- Unioncamere sono 356.670) e un’utenza stimata di 5 milioni di persone.

Meno pubblico
Il business sociale è forse l’unico ramo dell’economia nostrana che continua a generare buone prassi e mantenere solidità occupazionale. Ma che i tempi difficili siano dietro l’angolo, lo pensano in molti. «Basta guardare ai tagli che sta sostenendo la spesa pubblica. Molte imprese sociali si reggono su finanziamenti che arrivano da quella parte: se esse non diversificano in breve tempo le loro attività, sono destinate a morire». È duro ma colpisce nel segno il giudizio di Paolo Venturi, direttore di Aiccon, centro studi dell’Università di Bologna sulla cooperazione e il non profit promotore della Fund raising school. Rinnovarsi e innovare sono quindi le parole d’ordine per superare il guado: «Di fronte alle nuove sfide, solo chi saprà cambiare passo reggerà l’urto e farà il salto di qualità», continua Venturi.
Di quali siano queste sfide e quali le strategie per superarle se ne parlerà nella nona edizione del Workshop sull’impresa sociale, che si tiene a Riva del Garda il 15 e il 16 settembre 2011 ed è il punto di riferimento nazionale per l’analisi delle nuove tendenze del settore. Venturi, che coordinerà una delle sessioni del workshop organizzato dall’Istituto di ricerca sull’impresa sociale Iris network, dà a Vita alcune anticipazioni: «L’imprenditoria non profit deve intercettare i nuovi bisogni, lanciandosi sul mercato in particolare nelle aree in cui il pubblico si ritrae», argomenta Venturi. Un’impresa protagonista nella ristrutturazione del welfare locale, «che per esempio si occupi di sanità leggera, di servizi alla famiglia, di gestione delle badanti: è una sorta di innovazione dal basso, che sancisce la nascita di una seconda generazione di imprese sociali».

Nuove frontiere
«Si tratta di cambiare alcuni schemi», aggiunge il direttore di Aiccon (www.aiccon.it), «in primis, il fund raising deve passare da accessorio a necessario: è uno strumento straordinario per guadagnare la fiducia dei partner, degli investitori». Un altro campo da esplorare è il crowdfunding, «il farsi conoscere da più gente possibile utilizzando nuove risorse come i social network: è così che Barack Obama ha vinto le elezioni», sottolinea Venturi. Trovare nuove idee in tempo di crisi dell’economia di mercato. Una mission che, a giudicare dagli ultimi dati raccolti da Unioncamere, gli imprenditori sociali hanno già raccolto: nel 2011, il 45% delle imprese ha realizzato investimenti materiali e il 27% intende finanziare azioni di ricerca e sviluppo. «Tutto sta nel ragionare in modo diverso da prima», interviene Andrea Rapaccini, 50 anni, che dopo una vita da consulente aziendale è, dal 2009, segretario generale dell’ente non profit promotore di imprese sociali “Make a change” (www.makeachange.it). «L’obiettivo è ora stare sul mercato da protagonisti». Per far questo, secondo Rapaccini, «bisogna cambiare impostazione: basta ricercare a tutti i costi volontari e soldi dal pubblico, per essere competitivi le risorse vanno pagate».
“Make a change” organizza da un paio d’anni il concorso “Il lavoro più bello del mondo”, che permette al progetto di start up d’impresa un accompagnamento professionale e un incentivo di 30mila euro. Il primo anno ha vinto una casa famiglia di Cagliari, che ha aperto una locanda gestita dai ragazzi in affido e dalle rispettive madri, che hanno così l’occasione di riavvicinarsi a loro. «Il responsabile della struttura è l’ex cofondatore di Tiscali Ugo Bressanello, che nel 2005 ha lasciato il profit per il sociale», informa Rapaccini. A novembre verrà designato il vincitore 2011 tra i 50 candidati (il primo anno erano 40): i tre progetti finalisti riguardano una raccolta di favole internazionali per bimbi migranti, un birrificio sociale e un software di assistenza oculare low cost: «Tutti casi con un business plan di grande qualità».
Nel 2010 il 20% delle imprese sociali ha introdotto

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