Welfare

Sanità in Sardegna mai così male, “ma ne usciamo così”

Un interessante convegno di Legacoopsociali, che si è tenuto oggi a Cagliari, ha fatto emergere tutte le criticità del sistema sanitario isolano. Critiche ma anche tante proposte, alla presenza di alcuni consiglieri regionali della Commissione Salute e Politiche sociali. Le risorse e gli indirizzi del Pnrr possono aiutare a varare una riforma ormai indispensabile, "ma serve maggiore responsabilità da parte della politica". Proprio oggi, al Policlinico di Monserrato, 28 pazienti in barella per ore al Pronto soccorso

di Luigi Alfonso

Il disastro della sanità sarda emerge tristemente dal resoconto fatto oggi, nel corso del convegno “La cooperazione sociale per una sanità più equa, sostenibile e integrata”, organizzato da Legacoopsociali Sardegna, che si è tenuto oggi al Lazzaretto di Cagliari. Un confronto fatto più di proposte e indicazioni che di piagnistei, alla presenza anche di alcuni esponenti della Commissione Salute e Politiche sociali del Consiglio regionale. La speranza di tutti, operatori e assistiti, è che si tenga conto di questi (dis)appunti per cambiare radicalmente rotta, dopo che la pandemia ha dato la mazzata definitiva a un sistema di per sé in crisi.

«La sfida per un nuovo modello di sviluppo passa non tanto dalla logica della crescita del Pil, quanto dalla capacità di tenere insieme prosperità e benessere, superamento della povertà e affermazione di diritti sociali, partecipazione e protagonismo delle comunità, sostenibilità ambientale per la salvaguardia del pianeta e visione di futuro a garanzia delle nuove generazioni». Così il vicepresidente nazionale di Legacoopsociali, Andrea Pianu, ha aperto i lavori e indicato la traccia per gli interventi a seguire, con numerosi invitati giunti dalla penisola, alcuni dei quali con grandi competenze nel settore.

«La Missione 6 del Pnrr – ha sottolineato Pianu – affronta alcuni nodi: quello delle Reti di prossimità, delle strutture e della telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale, con 7 miliardi di euro; con investimenti per le Case della Comunità (1.288 sparse in Italia, di cui 50 in Sardegna), la telemedicina e il potenziamento dell’Adi per la presa in carico domiciliare del 10% della popolazione di età superiore ai 65 anni e l’istituzione delle Centrali operative territoriali; l’assistenza sanitaria intermedia con gli ospedali di comunità; e poi innovazione, ricerca e digitalizzazione dell’Ssn, con 8,63 miliardi di euro. L’attuazione di queste misure è competenza delle Regioni, alle quali spetta anche di modellare questi disegni normativi nelle specificità dei contesti territoriali, sui bisogni presenti e futuri dei cittadini. Ed è appunto alla Regione Sardegna che rivolgiamo un accorato appello perché si cambi immediatamente rotta. I processi di riforma e riorganizzazione non possono realizzarsi positivamente senza il coinvolgimento attivo dei soggetti che già operano nei territori. E la cooperazione sociale è tra questi, non solo nella gestione di servizi e strutture socioassistenziali, ma anche nell’ambito sociosanitario e sanitario: nell’organizzazione dell’Adi, della salute mentale, delle dipendenze, dei disturbi alimentari, della riabilitazione e residenzialità degli anziani».

Il confronto con altre realtà della penisola ha consentito di guardare a modelli rodati che possono essere presi a modello. Enrico Desideri, presidente della Fondazione per l’innovazione e la sicurezza in sanità, ha ricordato che «le malattie croniche assorbono l’82-84% dei costi della sanità in Italia e sono responsabili del 91% della mortalità (dati Osservatorio Eu, 2018). L’insufficiente presa in carico dei malati cronici è una delle gravi carenze dei sistemi sanitari pubblici e privati dei Paesi occidentali. Case o ospedali di comunità sono pertanto indispensabili, eppure soltanto 9 Regioni su 21 hanno recepito la legge del 2018 che introduce le Aft (Aggregazioni funzionali territoriali), le quali prevedono un più stretto e strutturato raccordo per l’integrazione tra i clinici e i team medici multiprofessionali. E poi la sanità digitale, la condivisione dei dati, l’abbattimento delle liste d’attesa: dove si prescrive, si prenota. Perché persone che non rimpallano, occupano meno spazio. Bisogna fare una corretta valutazione, non solo dei costi intermedi (farmaci, personale, ecc.) ma soprattutto di quelli finali, che definiscono l’intero percorso assistenziale. Tutto questo è possibile soltanto con un’alleanza tra tutti gli attori del sistema, cioè il pubblico e il privato».

Un tema ripreso da Daniela Sitzia, direttrice dell’Anci Sardegna: «Questo è un tema di cui nella nostra isola discutevamo già 15 anni fa. Ma è un tavolo zoppo, manca almeno una gamba, se non due. È inutile parlare di telemedicina, per esempio, se prima non garantiamo la connessione internet a tutti i Comuni, dalle coste alle zone interne. I mondi della sanità, degli enti locali e della cooperazione devono dialogare, ma oggi i Comuni vengono sentiti e non ascoltati: il loro parere non è vincolante. È il vulnus più grande che abbiamo. I livelli di cura sono cambiati, dunque vanno adeguate le risorse. La sostenibilità è stata confusa con l’economicità».

Pianu ha ricordato che «gli uffici tecnici devono avere la loro autonomia, ma non possono adottare dei provvedimenti che spesso sono incomprensibili o non congrui. La politica deve assumersi le responsabilità nel dare indirizzi strategici chiari». A scuotere ancor di più i presenti, due interventi. Anna Melis, presidente del Coordinamento nazionale Comunità di accoglienza, ha detto: «Ci soffermiamo ancora a parlare di tariffari, ed è comprensibile, ma ci sono problemi ancor più grandi. In pochi si sono accorti dell’aumento esponenziale dei casi di suicidio tra i minori. Qui non abbiamo più dei ragazzi che spaccano una panchina al parco, bensì dei giovani che si stanno auto-distruggendo. Opero a Esterzili, un paese dell’interno che sa cos’è l’isolamento: mancano le strade e la connessione alla rete. Per fortuna c’è ancora un senso della comunità solidale. Ma così non si può sopravvivere».

La responsabile del Coordinamento delle comunità terapeutiche, Giovanna Grillo, ha allargato la disamina: «Da cinque anni a questa parte – ha precisato – stiamo assistendo allo smantellamento dei pilastri della sanità sarda. Ho individuato alcune criticità in particolare. I casi di minori psichiatrici sono in forte aumento ma la Regione ha lasciato cadere a vuoto le richieste delle comunità, al punto che l’unico Tavolo istituito in ambito regionale è stato fatto senza coinvolgere le uniche due comunità sarde che si occupavano di queste specificità che, per la cronaca, nel frattempo hanno dovuto chiudere perché non riuscivano più a far fronte ai costi di gestione. Sul fronte delle dipendenze, non solo le tariffe sono ferme a 11 anni fa ma l’Osservatorio regionale non funziona da 20 anni; in più, nel Nord Sardegna, si distinguono per lo sdoppiamento della Commissione di valutazione rispetto al SerD, con un ingiustificabile aumento dei costi e dei tempi d’ingresso. Per i pazienti con disturbi alimentari, altro che curare la cronicità di una patologia con la medicina di prossimità: nel Sud Sardegna non si capisce neppure quale sia il fabbisogno, nonostante le continue richieste di assistenza da parte dei medici di base. Inoltre, le comunità non vengono considerate quando ogni anno viene redatto il Piano di prevenzione e cura del gioco d’azzardo patologico. E ora, con la legge regionale Omnibus, si ritoccano le tariffe del 2023 del 20%, quando tutti hanno fatto notare che, per stare nei costi reali di gestione, bisogna aumentarle del 30%».

Il consigliere regionale Francesco Agus ha ammesso: «Il nostro è un sistema ospedalo-centrico, che poteva andare bene 20 anni fa ma che oggi non funziona più. La diffusione degli ospedali in Sardegna, dove c’è una popolazione di anziani in continuo aumento, non è più adeguata. Da anni si discute di dare più forza ai Plus (Piani locali unitari dei servizi alla persona) però a queste strutture non si danno risorse, personale e autonomia reale. In più, con la riforma degli enti locali, i poteri che un tempo erano attribuiti ai Comuni ora sono passati alle Province, enti ingessati non al passo con i tempi. Si parla tanto di sanità ma il sociale resta sempre marginale, nonostante tutti sappiano che sono due ambiti strettamente collegati».

Poi la notizia che lascia tutti a bocca aperta. La fornisce lo stesso Agus: «Sto per recarmi al Policlinico di Monserrato. Mi ha invitato il personale di quel presidio perché al Pronto soccorso ci sono 28 pazienti fermi in corsia o nelle ambulanze, a causa delle restrizioni Covid. Parliamo per lo più di anziani che non hanno bisogno di ricovero. Basterebbe condurli nelle strutture adeguate, come le Rsa, per non gravare sugli ospedali. È la fotografia di cosa è diventata la sanità in Sardegna».

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