Mondo

Sangue infetto, paure americane

I medici italiani:"Allarme infondato, allora bisognerebbe estendere il divieto a chi è stato in Africa o Asia"

di Cristina Giudici

Tutto si può dire degli americani, ma non certo che manchino del senso dell’umorismo. Almeno a giudicare dal divieto che la Food and drug administration ha imposto a 250 mila cittadini che hanno visitato l’Inghilterra fra il 1990 e il 1997 per un periodo consecutivo di sei mesi e che non potranno più donare il sangue. La bizzarra proibizione è stata provocata dalla paura del morbo della mucca pazza e cioè il «creutzfeldt-jacob», che si presume possa essere trasmesso agli uomini dalla famiglia dei bovini. Il morbo che ha tempi di incubazione lunghissimi, ( fino a vent’anni), è stato identificato solo qualche anno fa ed è apparso per la prima volta nelle cronache italiane due anni fa, durante l’epidemia che ha stroncato centinaia di mucche e ucciso 40 cittadini inglesi. I sintomi sono simili a quelli del morbo di Alzhaimer, perdita di memoria, difficoltà di apprendimento ed è incurabile. Ma del “morbo bovino” si sa poco, come delle modalità di trasmissione,e ancora meno riguardo alla possibilità di contagio attraverso una trasfusione di sangue. Eppure gli americani, nonostante la drastica diminuzione delle riserve ematiche degli ultimi anni, hanno optato per il divieto. E in Italia? Il ministero della sanità si è affrettato a dichiarare che il rischio è solo teorico e non è mai stato dimostrato alcun legame fra il morbo e la trasfusione.
«È giusto proteggere la salute dei trasfusi, ma senza cedere agli allarmismi», dice Igino Arboatti, direttore sanitario del centro di raccolta sangue Avis di Torino. «Fra i Paesi che sono stati più colpiti dal morbo c’è stata sicuramente la Libia, dove fra i piatti tradizionali c’è il montone crudo. Ma sappiamo ancora troppo poco di questa malattia: prima di tutto non esiste neanche un test per individuarlo e poi il periodo di incubazione è lunghissimo. Come si fa a porre dei divieti precisi? Si tratta di una malattia rarissima: si calcola che in Italia ci sia solo un caso su un milione. Inoltre, per tutelare i trasfusi, ci sono già molte precauzioni, ma se ragioniamo in modo così esasperato allora andiamo a tutti a casa. Non bisogna mai dar fiato all’allarmismo, soprattutto per non inquietare chi, per vivere, ha bisogno di trasfusioni». Allora si tratta di una paranoia tutta americana? Non solo. Il governo canadese ha posto lo stesso divieto ai propri cittadini e anche Australia e Giappone ci stanno pensando.
«E allora perché non estendere il divieto di circolazione a tutti i cittadini inglesi», attacca il dottor Fabio Franzetti, infettivologo a Milano,«e ancora perché non tutelarsi da tutti quelli che vanno in Africa o in Asia? Al mondo ci sono migliaia di malattie infettive e altrettanti Paesi a rischio. Non è possibile ragionare in questo modo, bisogna procedere con coerenza. Primo non abbiamo dati epidemiologici sufficienti sui contagi derivati dal contatto con gli animali e poi come si fa a porre un divieto su un morbo che non si può neanche individuare? Mi sembra un paradosso. Riguardo alle sacche di plasma» conclude Franzetti, specialista delle malattie infettive, «il criterio è quello di tutelarsi dai virus più correnti: Hiv, epatite. Inoltre il numero delle persone che vogliono donare il sangue è molto superiore a quello delle persone che poi di fatto possono donarlo: basta che il donatore abbia qualche problema di fegato per essere escluso a priori. Capisce che se estendiamo il divieto anche alla mucca pazza, impazziamo davvero tutti».

La strage degli “effetti collaterali”

Una storia di rischi farmaceutici che viene dagli Stati Uniti e che fa riflettere. A scriverla è il giornalista americano Stephen Fried (nella foto) che, a seguito della forte crisi che ha colpito la moglie per gli effetti collaterali di un antibiotico, si è lanciato in una ricerca sul mondo e gli effetti indesiderati delle cosiddette droghe legali. E i risultati dell’indagine durata cinque anni sono a dir poco preoccupanti: Fried ha scoperto e documentato come le reazioni negative a medicinali prescritti legalmente sono una delle principali cause di morte negli Usa. Il tasso medio di mortalità da “effetti collaterali” è infatti di 100 mila persone ogni anno, un dato che fa ancora più scalpore se confrontato con le 5-10 mila morti all’anno causate dall’assunzione di droghe illecite. La sconcertante conclusione del giornalista, autore di un libro intitolato Bitter pills (“Pillole amare”), è che l’intero sistema sanitario – americano, in questo caso, ma il discorso è valido anche da noi – produce ogni anno 2,5 miliardi di prescrizioni mediche, diverse fra loro. Il che rende difficile, se non impossibile, per le aziende farmaceutiche preparare medicinali che siano davvero garantiti al 100 per cento contro ogni rischio.

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