Welfare

San Vittore scoppia

1400 presenze, a fronte di una capienza regolamentare di 900 persone. Il racconto di una delegazione di Radicali in visita nel carcere: «Condizioni disumane»

di Daniele Biella

San Vittore, la casa circondariale di Milano, non ha mai visto tempi così duri. Almeno è questa l’immagine che ha avuto davanti ai loro occhi la delegazione dei Radicali che ieri ha visitato la casa circondariale. «Sono in 1400, a fronte di una capienza regolamentare di 900 persone», spiegato a Vita.it Federico Valerio, 42 anni, da tre segretario dell’associazione Enzo Tortora e dei Radicali di Milano, «ma quello che preoccupa ancora di più sono le condizioni delle persone». Con lui a San Vittore ieri c’erano il deputato Elisabetta Zamparutti, il membro della direzione nazionale dei Radicali Alessandro Litta Modigliani e il medico chirurgo dell’Humanitas Chiara Oggioni. La delegazione ha poi visitato il Cie (Centro di identificazione ed espulsione) di via Corelli, sempre a Milano.

Quali sono le emergenze di San Vittore?
Il livello di sovraffollamento, mai così pesante in anni di visite al carcere, è tale da creare situazioni insostenibili. Ad esempio, al secondo e al quarto piano del sesto raggio si possono trovare a dormire, in letti a castello quasi attaccati l’uno all’altro, fino a nove detenuti. In una cella di 10 metri quadrati al massimo si trovano anche a dover cucinare in un angolino, e le turche sono a stretto contatto. Un secondo punto assai critico, causato anch’esso dal numero eccessivo di detenuti, riguarda la situazione dei detenuti “protetti”, come colpevoli di reati sessuali, oppure ex appartenenti alle forze dell’ordine: per chiari motivi essi non devono venire a contatto con i detenuti comuni, ma allo stato attuale, il loro regime differenziato è causa di opportunità inferiori, ad esempio diminuisce la loro ora d’aria o il tempo di accesso alla biblioteca. Infine, per tutti, c’è scarsità d’igiene: lenzuola che vengono cambiate anche una sola volta al mese, carta igienica che spesso viene a mancare, insetti che girano nelle celle.

Avete chiesto spiegazioni all’amministrazione penitenziaria?
Certo, abbiamo anche incontrato la direttrice. In generale, si tende a sminuire il problema. Notiamo che loro ci mettono comunque impegno nel cercare di diminuire le difficoltà. Il problema è a monte, è la mancanza di una riforma strutturale della giustizia. Nel sistema attuale, sono in carcere troppe persone che non dovrebbero rimanerci a lungo, che hanno commesso reati di entità ridotta ma che, tra le varie fasi del processo, passano dietro le sbarre tempi davvero lunghi.

Secondo il piano del ministero della Giustizia appena approvato, ci sono nuove carceri in arrivo…
Può andar bene, ma non si risolve il problema. Il sistema è ingolfato, basti pensare ai problemi legati alla lentezza della giustizia che patiscono gran parte delle persone. A oggi in Italia ci sono nove milioni di processi pendenti: in media, un cittadino su tre ne ha uno aperto. Oggi la giustizia funziona solo quando è “di classe”, ovvero quando una persona può disporre di avvocati bravi, e costosi, che portano a termine il processo in tempi rapidi.

Invece, come avete trovato i migranti nel Cie di via Corelli?
Le condizioni lì sono buone, le camere dignitose. I servizi funzionano e non c’è sovraffollamento: a oggi sono ospitate 103 persone, la capienza massima è di 136. Quello che preoccupa sono le singole storie, vittime di leggi inapplicabili. Alcune persone sembrano essere arrivati al Centro per sbaglio, anche secondo alcuni operatori dell’ente gestore, la Croce rossa. Ad esempio, c’è da segnalare il paradosso di due immigrati, uno senegalese che vive a Lecco, l’atro marocchino che vive in Toscana, da poco maggiorenni, che sono arrivati in Italia da piccolissimi, prima delle elementari, e i cui genitori sono regolari, in base a quanto ci hanno comunicato. Si trovano nel Cie in attesa di essere espulsi, rimandati al paese d’origine nonostante laggiù non abbiano parenti né amici, essendo la loro famiglia qui. A ben vedere, è proprio l’opposto del ricongiungimento familiare.


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