Carcere

San Vittore, la direttrice: «Dico grazie ai 900 volontari che sostengono i detenuti»

C'è «un numero elevatissimo di detenuti, in larga maggioranza stranieri, molti giovani adulti. Pochi spazi, carenza di agenti. Mi sento di dover valorizzare quello che di positivo avviene all'interno del carcere, come tutte le esperienze di solidarietà, portate avanti dal non profit e dal privato sociale». A parlare è Elisabetta Palù, direttrice reggente di San Vittore

di Ilaria Dioguardi

A San Vittore «i detenuti sono circa 1.100, a fronte di 700 posti. La maggior parte sono stranieri, in aumento la presenza dei giovani adulti». Le principali criticità da risolvere? «Il sovraffollamento e la mancanza di personale». A margine di un’iniziativa di Regusto, attiva all’interno di San Vittore con un progetto di economia circolare, abbiamo dialogato con Elisabetta Palù, direttrice reggente della casa circondariale milanese da novembre 2024, dopo circa sei anni da vice direttrice dell’istituto di pena.

Palù, ci spiega meglio com’è la situazione a San Vittore?

È una struttura che ospita un numero elevatissimo di detenuti. Capisco che questa non sia una novità, però è un dato di cui tenere conto: ci sono oltre 1.100 detenuti, per una capienza di circa 700 posti. Il dato anche molto significativo è che la maggior parte dei detenuti, intorno al 70%, sono stranieri e per la maggior parte irregolari. Provengono prevalentemente dall’area del Maghreb, quindi Marocco, Egitto, Tunisia.

Per quanto riguarda l’età dei detenuti?

Un altro dato molto significativo è la presenza che, negli ultimi anni, si è intensificata dei giovani adulti, tra 18 e 25 anni, sono circa 200 i ragazzi di questa fascia di età. Sono ragazzi che hanno storie di gravissimi traumi, subiti soprattutto durante il percorso migratorio, e che sono senza riferimenti familiari sul territorio, hanno strumenti relazionali molto limitati e, quindi, una tendenza alla conflittualità molto alta. Questo fa sì che, soprattutto per questi detenuti stranieri, venga a mancare il soddisfacimento dei bisogni primari, quali avere la dotazione di abbigliamento adeguata, avere la disponibilità di tabacco, che non si può immaginare quanto in carcere sia uno strumento prezioso.

Come si cerca di sostenere i bisogni primari di queste persone, che non hanno nessuno e che non hanno niente?

Spesso ci rivolgiamo alle associazioni di volontariato che ci supportano da sempre. A San Vittore entrano oltre 900 volontari per portare un sostegno materiale e per l’assistenza morale verso questa popolazione detenuta che, essendo in una casa circondariale, è nel momento della vita in cui è in attesa del processo. Chi è a San Vittore non va seguito nel recupero dopo la sentenza di condanna perché, in molti casi, la sentenza di condanna ancora deve avvenire. E, come ci dice la nostra Costituzione, la presunzione di non colpevolezza vige fino alla condanna non definitiva. Del carcere purtroppo si parla sempre in termini negativi, rispetto agli eventi critici che si verificano e a tutto quello che è, purtroppo, l’elemento di difficoltà. Però mi sento di dover valorizzare quello che di positivo avviene all’interno del carcere, come tutte le esperienze di solidarietà che vanno sostenute e valorizzate.

Dopo il decreto Caivano, c’è stato un aumento di presenze dei giovani adulti?

Assolutamente sì. Noi abbiamo molti ragazzi che, appena compiono 18 anni, vengono trasferiti, assegnati all’istituto per adulti perché si sono resi protagonisti di eventi di violenza piuttosto che di importanti danneggiamenti e tentativi di evasione dall’istituto minorile. Di conseguenza, siccome il decreto prevede questa possibilità, l’amministrazione penitenziaria li trasferisce. Ed è complicato gestire ragazzi, magari poco più che diciottenni, in un carcere di adulti. Noi cerchiamo sempre di avere un occhio di attenzione verso di loro, di inserirli con priorità in attività trattamentali in modo da far sì che non maturi il loro un atteggiamento di risentimento, di rabbia che, poi, può sfociare in agiti di violenza o di scontro, anche col personale di polizia penitenziaria. Ma è molto difficile perché i ragazzi difficilmente si riescono ad ingaggiare nelle attività, mostrano un po’ di resistenza. Sono indolenti. Bisogna trovare delle attività mirate, calibrate sui loro interessi.

Quali sono attività che sono di interesse per i giovani adulti, in carcere a san Vittore?

L’anno scorso, grazie a dei finanziamenti, siamo riusciti ad avviare delle attività che gli hanno visti coinvolti e che hanno riscosso fortunatamente successo, tipo laboratori di rapper, di podcast, writing. Gradiscono anche le attività sportive. Lo sport, per chi ha problemi di barriera linguistica, diventa più appetibile, facilmente fruibile. Lavoriamo con un grosso impegno da parte di tutti gli operatori, sia dell’area trattamentale che della polizia penitenziaria.

Ci sono gli spazi per fare attività sportive, a San Vittore?

Ogni reparto è dotato di uno spazio all’aperto, dove prevalentemente vengono svolte le attività sportive come calcetto, rugby, pallavolo. Poi all’interno dei reparti abbiamo ricavato dei piccoli spazi dove sono allestite delle palestre, dove si recano a rotazione perché sono molto piccoli.

Quali sono le difficoltà legate al sovraffollamento?

Registriamo una media di 300 ingressi al mese. C’è un turnover elevatissimo a San Vittore. Le condizioni di sovraffollamento acquisiscono una situazione già difficile perché le persone che entrano, che spesso sono portatrici di gravi problematiche di dipendenza da farmaci, da sostanze, difficoltà psichiatriche, già nella condizione di restrizione aggravano le loro condizioni. Che sono ulteriormente aggravate dalla condizione di sovraffollamento, che non ci consente spesso nemmeno di fare delle scelte di opportuna distribuzione delle persone all’interno delle camere di pernottamento. Oltre alle difficoltà di condividere, in un’unica camera, un numero elevato di persone con un unico servizio igienico.

Elisabetta Palù

Su VITA più volte ci è stato raccontato che, nelle carceri, ci sono difficoltà a fare attività perché ci sono problemi di personale. Accade anche a San Vittore?

Noi abbiamo un duplice problema. Intanto, ripeto, un problema di spazi, perché San Vittore nasce come carcere di fine ‘800 pensato solo per la custodia del detenuto, quindi non per tutto quello che è l’aspetto del reinserimento, riabilitativo e trattamentale che si definisce con l’ordinamento penitenziario del ’75. Quindi non ha, nella sua costruzione originaria, spazi per attività. Di conseguenza gli spazi ce li siamo dovuti ricavare e, mi sento di dire, inventare. Abbiamo degli spazi che sono sottratti a camere di pernottamento, che sono state nel tempo destinate a spazi trattamentali, ma chiaramente sono assolutamente insufficienti.

E il secondo problema?

La fortissima carenza di personale. A noi mancano circa 150 agenti di polizia penitenziaria. Quindi, anche la sorveglianza nelle attività e soprattutto gli accompagnamenti (i detenuti per poter accedere alle attività devono essere accompagnati sul luogo) mettono a dura prova il personale. Nonostante questo, per una nostra cultura dell’istituto che si è sempre negli ultimi 20 anni sforzato di tenere in piedi queste attività, grazie anche a tutti gli operatori del privato sociale che accedono all’interno con tantissime progettualità, nonostante le difficoltà lo continuiamo a fare. Ma con grandi sforzi e non nella maniera da poter raggiungere nemmeno un numero adeguato di detenuti, perché molti non riescono ad accedere alle attività. Cerchiamo di fare un po’ di rotazioni, in modo da consentire almeno alla maggior parte di avere uno spazio di uscita dalla camera di pernottamento.

Per molte persone l’ingresso in carcere rappresenta il primo punto di contatto con un servizio pubblico

Quali sono le criticità principali, nel carcere che dirige?

Al primo posto, ridurre il sovraffollamento. Abbiamo sperimentato, con il Covid, che il sovraffollamento si era ridotto moltissimo. Durante la pandemia le persone circolavano di meno, e, quindi, si riducevano i reati e di conseguenza, gli arresti. Seppure all’epoca i detenuti erano chiusi per motivi legati alla sicurezza per la diffusione del virus, abbiamo sperimentato un carcere completamente diverso. Oggi con questi numeri è tutto molto più complicato. Il carcere di San Vittore è caratterizzato dall’elevato numero di ingressi, ci sono dei giorni in cui abbiamo 24 ingressi in 24 ore, vuol dire l’ingresso di un detenuto all’ora.

Molto spesso arrivano persone in condizioni degradate, perché vivono alla stazione centrale oppure condividono degli appartamenti in promiscuità con altre persone. Sono veramente difficili. Se vogliamo vedere un lato positivo, è che per molte persone l’ingresso in carcere rappresenta il primo punto di contatto con un servizio pubblico. Penso soprattutto al servizio sanitario, al servizio psichiatrico, al servizio psicologico. Tante volte, all’interno del carcere viene fatta, per esempio, la prima diagnosi psichiatrica di una patologia e una presa in carico, quindi, anche da parte dei servizi.

La seconda criticità da risolvere?

La carenza di personale. Specialmente nelle fasce pomeridiane e notturne, abbiamo un solo agente che controlla una sezione, che può comprendere dagli 80 ai 90 detenuti. Un solo agente è un po’ poco, soprattutto perché ci può essere la necessità di accompagnamenti al servizio di pronto soccorso piuttosto che altre urgenze: in quel momento la sezione rimane scoperta. Se c’è un evento critico, può assumere dei connotati importanti, possono derivarne delle conseguenze anche molto gravi.

Il Terzo settore, i volontari che ruolo hanno all’interno dell’istituto?

Un ruolo molto importante. Ci sono associazioni storiche che lavorano a San Vittore coi propri volontari e ci sostengono profondamente. Poi c’è tutta l’area del privato sociale, dei volontari che lavorano attraverso i finanziamenti regionali piuttosto che del comune, di altri enti, e che collaborano in maniera fattiva rispetto alle nostre progettualità. Senza Terzo settore, nel nostro carcere mancherebbe una fetta importantissima, sia per il sostegno di tipo materiale che morale. Quando parlo di sostegno materiale io penso a tutta la raccolta degli indumenti usati che ci pervengono da parte delle associazioni e che non bastano mai.

Poi, i prodotti per l’igiene, dagli spazzolini ai dentifrici agli shampoo. Ma penso anche a tutto quello che è il sostegno morale; c’è tutta una fetta di volontariato, anche di matrice religiosa, che conduce tutta un’opera di sostegno ai detenuti, ma anche alle loro famiglie, perché mantengono un contatto e svolgono un po’ una funzione di “ponte”, nei limiti consentiti, trattandosi di persone in attesa di giudizio. Poi ci sono tutte le attività laboratoriali che abbiamo all’interno dell’Istituto, dai corsi di lettura a quelli di lavorazione della creta. E l’arteterapia per le persone che hanno fragilità psichica, le attività istruttive, musicali. Tutto questo è portato avanti dal non profit.

Senza Terzo settore, nel nostro carcere mancherebbe una fetta importantissima, sia per il sostegno di tipo materiale che morale

Il privato sociale che ruolo ha?

Ci aiuta sempre rispetto alle attività, a progetti all’interno del carcere. Noi non abbiamo attività lavorative perché non abbiamo la sezione dei lavoratori all’esterno. Non abbiamo aziende che investano nel carcere per assumere detenuti che continuano, terminata la pena, come può essere Bollate. Ci manca l’aspetto legato al reinserimento lavorativo. Abbiamo la formazione professionale, attivata all’interno dell’istituto con le varie agenzie formative. Anche questa è una fetta importante perché se noi riusciamo a dare alle persone una piccola qualifica, spendibile nel momento in cui poi escono, c’è una chance in più che non ritornino a commettere reato.

In apertura, visite ai detenuti di San Vittore. Foto Claudio Furlan/Lapresse

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