Economia
Salviato: “Il nostro fondo per far decollare l’impact investing”
Intervista al presidente e AD di Sefea Impact SGR, la prima SGR in Italia a gestire fondi chiusi riservati con una strategia di impatto sociale: «C’è un mercato potenziale di 30 miliardi di investimenti socialmente orientati per i quali non esisteva ancora uno strumento dedicato»
«Con “Sì-Social Impact” arriva finalmente lo strumento che fa incontrare domanda e offerta sugli investimenti ad alto impatto sociale», spiega Fabio Salviato, presidente e AD di Sefea Impact SGR. È questa la prima Società di Gestione del Risparmio in Italia a gestire fondi chiusi riservati orientati all’impatto sociale. Il primo fondo presentato martedì alla stampa, potrebbe segnare davvero un cambio di passo per l’impact investing made in Italy. L'intervista.
Perché la decisione di lanciare questo fondo?
Già da alcuni anni la comunità europea sollecita la cosiddetta finanza d’impatto, per promuovere l’economia sociale nella sua accezione più ampia, dalla cooperazione alle piccole e medie imprese che generano valore sociale e ambientale. Tra queste vi sono anche le società impegnate nel settore delle rinnovabili, del turismo responsabile e dell’agricoltura biologica. In questi ultimi dieci anni, nonostante la crisi, l’economia sociale è cresciuta tantissimo ma continua a registrare un deficit cronico di capitale che continua a mancare. In questo mondo le grandi società di venture capital non sono mai entrate e non entreranno mai, poiché funzionano su una logica di profitti che vanno dal 12% al 20%. Le imprese a carattere sociale tendenzialmente hanno un rendimento intorno al 6%, ma nella cui valutazione viene misurato anche l’impatto positivo che generano. Si capisce quindi come sia necessario creare degli strumenti ad hoc per promuovere questo tipo di economia. La creazione di una SGR, Società di Gestione del Risparmio, va esattamente in questa direzione. Sefea Impact è la prima SGR a impatto sociale autorizzata da Banca Italia e Consob.
In che modo questo fondo di impact investing si differenzia da un fondo di venture capital tradizionale?
È una differenza strutturale. In un fondo venture i tagli medi variano dai 5 ai 15 milioni, nel nostro caso invece prevediamo un taglio medio tra i 300mila e i 2milioni. Il fatto che gli investimenti siano minori si traduce però in un lavoro maggiore, perché, rispetto alle società di venture capital tradizionali, ci saranno più aziende da seguire. Inoltre anche la struttura organizzativa è diversa, ad esempio è prevista la figura dell’impact manager, oltre ad un percorso di accompagnamento. Vi è poi un’analisi preventiva dei beneficiari per rilevare gli eventuali deficit, con l’obiettivo di assisterli e aiutarli a migliorarsi. La valorizzazione dell’impatto è stata riconosciuta anche dal Fondo europeo degli investimenti che ha contribuito con 500mila euro a fondo perduto nella fase di startup. D’altronde, se pensiamo anche solo al sud Italia, 300mila euro possono davvero fare la differenza per una piccola impresa.
Si parla tanto di impact investing, eppure questa modalità di investimento non ha ancora preso piede nel nostro Paese. Quali sono i principali ostacoli?
Vi sono stati ostacoli relativi all’adozione di strumenti adeguati. Sicuramente il fatto che la Banca d’Italia abbia riconosciuto la prima SGR a impatto sociale è un enorme passo avanti per l’Italia, le difficoltà di carattere normativo con la creazione di questa prima SGR sono state risolte brillantemente. C’è poi la sfida di trovare un soggetto che decida di rischiare nella fase di startup. Gli investitori sono abituati a percentuali sugli investimenti più alte nell’ottica di massimizzare i profitti. Inoltre vi è la questione della creazione di un’équipe che possa sostenere questo lavoro, in cui non esistono mezzi standard, ogni beneficiario è diverso e per ognuno bisogna valutare l’impatto, per questo abbiamo avviato una collaborazione con il laboratorio Tiresia del Politecnico di Milano, specializzato proprio nella ricerca in ambito di social e impact innovation. Si tratta di un work in progress.
Il primo maggio è nata anche Indaco Venture Partners Sgr, una società di gestione del risparmio che gestirà il più grande fondo di venture capital italiano, il Fondo Indaco Ventures I. A questa iniziativa partecipano anche Fondazione Cariplo e il Gruppo Intesa Sanpaolo. Anche se in questo caso si tratta di venture capital, possiamo interpretare il lancio di queste iniziative come un segnale di vivacizzazione del mercato?
Lo auspico, il fatto che vi siano più soggetti significa maggiori opportunità di diffondere la cultura e le informazioni. Si tratta di un lavoro lungo, noi abbiamo impiegato tre anni per strutturare l’iniziativa. Ci è comunque stato dimostrato interesse da parte di diversi soggetti, tra cui fondazioni di origine bancaria, fondi di categoria e banche. D’altronde c’è un mercato potenziale di 30 miliardi di investimenti socialmente orientati per i quali non esisteva ancora uno strumento dedicato fino ad oggi.
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