Educazione
Salviamo i nostri ragazzi da una società che non dà loro valore
Noi adulti oggi abbiamo la responsabilità morale di capire in che modo vivono tutti quei giovani che si sentono solo scarto. Per Francesco Di Giovanni, coordinatore del Centro Tau di Palermo «non possiamo partire dai nostri modelli, ma da loro. Come si fa a pensare che un ragazzo di 18 possa accettare di essere inutile, di non avere futuro?»
Tante le cause che sono state individuate in queste settimane per spiegare come possa essere accaduto che una ragazza palermitana venisse stuprata da sette suoi coetanei senza che nessuno si accorgesse di quel che stava accadendo. L’indifferenza dei cittadini, la movida che ottenebra la mente con luci psichedeliche, fiumi di alcol e droghe di ogni genere, genitori responsabili di avere generato dei mostri.
Dobbiamo riflettere su come il tempo degli adulti debba trovare un tempo di prossimità con i giovani
Francesco Di Giovanni, coordinatore generale del Centro Tau
Bello sarebbe se ci fosse solo questo alla base della notte di violenza di Palermo, come anche di quanto accaduto alle due tredicenni violentate a Caivano da un altro branco di ragazzi. Per chi con i ragazzi e gli adolescenti di Palermo ci lavora ogni giorno, come Francesco Di Giovanni – coordinatore generale del Centro Tau e dell’associazione Inventare Insieme Onlus, nel quartiere Zisa Danisinni – non è così semplice.
«Penso che l’elemento centrale sia una disattenzione da parte del mondo adulto non tanto nei confronti delle problematiche dei ragazzi quanto verso l’incontro con loro, stando al loro fianco, aiutandoli a riflettere sul loro futuro. La movida è un fenomeno comune a tutte le grandi città dove alcool e droghe alterano il senso delle cose, la percezione della realtà. Se a questo si unisce il branco, si creano miscele in cui quello che può accadere non è più controllabile».
Stiamo, quindi, parlando di un malessere che interessa sempre più i nostri ragazzi. Ma come li stiamo educando?
Non li stiamo educando, abbiamo in qualche modo abbandonato il campo. Lo hanno abbandonato i genitori, le istituzioni, in qualche modo anche la Chiesa, anche se forse è l’unico soggetto rimasto a presidiare il territorio in maniera nuova, adeguata ai bisogni di questi ragazzi. Ci siamo arresi, anche perché l’educazione di giovani è sempre stata faticosa in quanto vogliono fare le loro esperienze anche sbagliando. Noi adulti, però, non possiamo nasconderci. Oggi, a differenza di qualche anno fa, siamo impegnati nel trovare spazi di soddisfazione dei nostri desideri, dando sempre meno tempo al faticoso lavoro dell’educatore.
Come li stiamo educando? Non li stiamo educando, abbiamo abbandonato il campo. Noi adulti siamo impegnati nel trovare spazi di soddisfazione dei nostri desideri, quindi con minor tempo per svolgere il faticoso lavoro dell’educatore
Francesco Di Giovanni
Non è un’accusa nei confronti dei genitori, ma si impone una riflessione su come il tempo degli adulti debba riuscire a trovare anche un tempo di prossimità con i ragazzi. Poi, ci sono dei fattori ai quali dobbiamo fare attenzione: l’uso delle droghe e dell’alcol. A tutto questo aggiungerei la pornografia. Girano sul web e sui diversi social video, basati prevalentemente su una sessualità spinta, violenta, con rapporti multipli. Senza parlare della pedopornografia. I fatti accaduti ci fanno pensare ad atteggiamenti del branco famelico spinto dalle produzioni pornografiche. Per i ragazzi coinvolti inn questi gravi fatti di violenza, il termine stupro non esiste, se lo posti dopo i fatti e senza convinzione. Stavano dentro un film porno, fuori dalla realtà, senza limite, e lo dimostra il fatto che uno degli stupratori diceva che “era meglio di un film”.
Sbagliato pensare che il modello a cui guardare sia quello del patriarcato
– Francesco Di Giovanni
Chi agisce come questi ragazzi esercita senza dubbio la sua forza, il suo potere, incurante della sofferenza. Ma, attenzione, al posto della ragazza poteva esserci anche un uomo. La violenza di un branco potrebbe scatenarsi su qualunque vittima e in qualunque modo e le cronache, purtroppo, ci hanno spesso messo in evidenza comportamenti aberranti che ci lasciano senza parole o ci portano a fare riflessioni “estreme”. Non possiamo permetterci di dare voce e spazio a risposte emotive o emergenziali, dobbiamo affrontare i problemi alla radice, con competenza e convinzione. Prevenzione e cura rimangono le modalità di azione che non dobbiamo perdere di vista e che attengono anche alla competenza e all’intervento politico. Prevenzione e cura sono due modalità di azione che per essere efficaci devono essere supportate dall’obiettivo comune della promozione della persona. Nessuno è inutile, nessuno è scarto, nessuno è irrecuperabile, nessuno va lasciato solo. I giovani ci appartengono, tutti!
Sul banco degli imputati sono stati posti anche i genitori. Cosa manca alle famiglie?
Mettere sul bando degli imputati i genitori era la cosa più ovvia per scaricare le responsabilità sociali e politiche. È alla società che manca qualcosa; manca in generale l’attenzione ai giovani. Ma chi sono questi ragazzi? Dove vivono, come vivono, cosa fanno…probabilmente hanno abbandonato la scuola, si nutrono di noia, cercano spazio, visibilità, “momenti di gloria”, identità. Un’esigenza, quella della visibilità e dell’identità che riguarda tutti i giovani, ragazzi e ragazze. Abbiamo per i ragazzi il modello dell’identità di uomo “macho”, “boss”, costruito anche attraverso fiction e social che alimentano questi modelli e, dall’altro, il modello di donna rappresentato dalle “Bratz” e dallo slogan che le caratterizzano “passion for fashion”.
Ragazzi che sembrano non avere più la capacità di distinguere la realtà…
Non possiamo trovare raziocinio in loro perché hanno sviluppato pensieri, abitudini e atteggiamenti che noi abbiamo difficoltà a capire, sono diversi e lontani. Mi viene in mente il famoso libro Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere… , siamo davanti allo stesso paradigma, dobbiamo conoscerci per comunicare. La riflessione da fare non può partire dai nostri modelli di riferimento, dai nostri modelli di vita. Stiamo parlando di ragazzi che stanno “fuori”, fuori dalla scuola, fuori dai processi formativi, giovani che cercano di sopravvivere, spesso anche lavorando in nero e in situazioni sfruttamento, senza identità, senza prospettive di lavoro, senza futuro.
Sono andati a scuola ma, come ci dicono i dati Invalsi, non hanno raggiunto i livelli minimi e non erano in condizione di andare oltre, anche per difficoltà delle famiglie a mantenerli negli studi. Al Sud, poi, un’altissima percentuale di giovani “molla” la scuola dopo la terza media e rimangono “borderline”: nessuno li ha cercati, non interessano, sono “scarti”, senza valore. I genitori, dal canto loro, non sanno che fare, per evitare conflitti in casa preferiscono sostenerli economicamente anche per evitare che vadano a rubare o a spacciare, ma molti comunque lo fanno. Osservando gli stili di vita dei ragazzi del quartiere ci rendiamo conto che “vivono la notte”, la strada, con quello che incontrano, prendendo tutto ciò che possa in quell’arco di tempo “farli sentire vivi”. E poi, la mattina dormono. Molti genitori non sanno cosa fare, si interrogano, si struggono. Della loro sofferenza e della loro difficoltà a comunicare con i ragazzi ne sono testimone, così come delle loro richieste di aiuto. Ma non è facile attivare processi senza risorse e opportunità adeguate a disposizione.
La riflessione non può partire dalla nostra educazione, dal nostro modello. Bisogna capire come vivono quelli che in questo momento non hanno identità e non hanno un futuro, quelli che hanno abbandonato la scuola e che sono rimasti borderline perché nessuno li ha cercati
Francesco Di Giovanni
Al Centro Tau stiamo gestendo dei percorsi di formazione professionale e vi assicuro che facciamo un’enorme fatica a far arrivare alle 8.30 dopo aver fatto le ore piccole. Vanno a letto alle 4 del mattino e ovviamente non ce la fanno ad alzarsi in orario. I fatti di questi giorni hanno comunque attivato anche nei ragazzi delle riflessioni su quanto è accaduto. La loro posizione è sicuramente critica, anche feroce nei confronti dei ragazzi che hanno commesso queste violenze. La riflessione va comunque sviluppata con i ragazzi, il cambiamento deve partire da loro, con loro, bisogna fare uscire i ragazzi dal percorso di “nullità” o, declinando il termine Neet, di “neettità” in cui si vengono a trovare. Occorre individuare spazi e tempo in cui i giovani possano ritrovarsi e affrontare il tema del lavoro e del futuro anche ripassando dalla scuola e dalla formazione. Spazi in cui possano riflettere sui valori comuni e riprendere valore e protagonismo.
Ci vuole uno spazio in cui questi ragazzi e ragazze si sentano protagonisti in una società che non dà loro valore. Non parlo di valori, ma di valore perché oggi ragazzi come questi non contando niente per la società, acquistano notorietà solo per queste bravate.
Francesco Di Giovanni
Ma si investe nei ragazzi oggi?
Questo è uno dei problemi! Da anni le politiche giovanili sono state abbandonate o relegate a qualche iniziativa di promozione del tempo libero. Invece, non possono essere soltanto orientate al tempo libero, vanno sistematizzate, integrate: istruzione, formazione, promozione culturale, artistica e sportiva, politiche attive del lavoro vanno pensate nello specifico dei giovani e nella specificità dei contesti nei quali i giovani vivono. Abbiamo tutti sotto gli occhi il fallimento di Garanzia Giovani e delle ingenti risorse non spese. L’assenza di programmi “diversificati”, strutturati sulle fasce di età, sui contesti territoriali e sui bisogni hanno fatto si che la genericità degli interventi e l’inadeguatezza dell’offerta hanno fatto perdere risorse preziose che stiamo ritornando indietro. Oggi siamo in prossimità dell’avvio del Programma GOL e le premesse non sono diverse da quelle che hanno portato al fallimento di Garanzia Giovani.
I fatti accaduti devono portarci a fare una attenta riflessione su come intervenire per offrire opportunità ai tantissimi giovani che sono “fuori” dai sistemi formativi, lavorando per programmare e definire politiche specifiche ed efficaci. Non possiamo continuare a considerarli “inesistenti” e “scarti”, non possiamo continuare a proporre iniziative e progetti che sono lontani da loro, dai loro interessi e dalle loro prospettive. Si parla tanto di scuola, ma questi ragazzi a scuola non ci vanno, quindi occorre rafforzare i processi educativi territoriali che intervengono sugli adolescenti e giovani. E qui è fondamentale il ruolo del Terzo settore.
Non possiamo continuare a considerarli “inesistenti” e “scarti”, non possiamo continuare a proporre iniziative e progetti che sono lontani da loro, dai loro interessi e dalle loro prospettive. Si parla tanto di scuola, ma questi ragazzi a scuola non ci vanno, occorre rafforzare i processi educativi territoriali.
Abbiamo 12 ragazzi del penale, difficilissimi da gestire perché molti preferiscono scontare la pena piuttosto che stare in comunità. Escono più forti perché sono rimasti dentro, non hanno parlato. Quando ritornano in società, così, sanno che ricopriranno ruoli importanti
Francesco Di Giovanni
Cosa fare, dunque?
Come detto, occorre partire dalle politiche giovanili. La loro assenza e l’altissimo numero di NEET soprattutto a Sud sta condizionando pesantemente e pericolosamente il quadro economico futuro e la sicurezza dei territori. Le politiche scolastiche, formative, occupazionali, culturali, economiche, sportive devono contribuire tutte insieme allo sviluppo di piani e processi in grado di risponde alla grave crisi di identità, di senso e di prospettiva che investe i giovani ed in particolare i giovani cresciuti in contesti di povertà educativa per lo più caratterizzati da una forte presenza e incidenza della criminalità e delle mafie. Le risorse ci sono, ma vanno programmate e spese bene e dal mio punto di osservazione mi sento di dire che non è così.
Bisogna ritornare sui territori, sulle strade, con i ragazzi, con gli strumenti e con le opportunità giuste. Non bastano le parole. Come si fa a pensare che un ragazzo di 18 o 20 anni possa accettare di essere inutile, di non avere futuro? Il vero valore dell’uomo è la dimensione di umanità, ma anche di sopravvivenza che riusciamo a dare a questi ragazzi. Sulle politiche giovanili integrate vanno definiti programmi adeguati e posizionate bene le risorse. Non si possono fare piani e programmi, se non partendo dai bisogni dei giovani e dalle opportunità che possiamo mettere a loro disposizione per rimetterli in movimento.
I soldi delle politiche giovanili non si possono spendere se non partendo dai bisogni di questi ragazzi. Non da quelli che riteniamo noi giusti per loro. Come si fa a pensare che un ragazzo di 18 o 20 anni possa accettare di essere inutile, di non avere futuro?
Francesco Di Giovanni
Siamo chiamati a una grande responsabilità sociale nei confronti dei più giovani…
Purtroppo in questo momento non credo ci siano idee, piani e programmi adeguati a fare fronte all’emergenza Neet, anche se mi chiedo chi la definisce emergenza. La sensazione è che il tema Neet non interessi, i giovani di periferia che stanno per strada non hanno “stakeholder”, non c’è nessuno che se ne preoccupi e che se non occupi, a meno di quando avvengono fatti violenti ed eclatanti in cui se ne parla “tra le righe” e per qualche giorno.
Ritengo che, al centro di tutto, ci debba essere il lavoro su questi giovani dando loro identità e prospettive. In chiave locale è quello che cerchiamo di fare ogni giorno, ma in chiave politica è più complesso. Oggi c’è una responsabilità sociale e comunitaria che va ripensata e riattivata, coinvolgendo anche i giovani. Ricordiamoci che nelle periferie trova spazio chi si lega ai circuiti criminali, chi non lo fa incontra grandi difficoltà, altri e non pochi decidono di lasciare la nostra terra. Ripensiamo a una dimensione umana per uomini e donne indistintamente, dando ai nostri ragazzi identità, protagonismo e futuro.
Nella foto di apertura a i ragazzi del Centro Tau. Foto gentilmente concessa dallo stesso Centro
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