Famiglia
Salviamo i bambini dallo Stato di carta
Angela e Flora hanno preso in affido due bambine handicappate gravi, rifiutate dalle famiglie e dalle istituzioni.
Aiutate, aiutate pure gli altri. Ma non fatevi illusioni e preparatevi: prima o poi, lo Stato vi presenterà il conto. Sembrerebbe un vecchio adagio e invece è la morale, amara e sconsolante, di due storie incredibili, ambientate a Napoli. Storie di donne generose e coraggiose che per anni hanno accudito bambini in difficoltà, come fossero figli loro e che allo Stato non avevano mai chiesto nulla. Ma quando ci hanno provato, sentite un po? che cosa e successo.
Luisa? Arrangiati, è un problema tuo
«Era il 1990», racconta Angela lacono, impiegata al Secondo Policlinico di Napoli. «Un giudice del Tribunale dei minori mi chiamò per chiedermi se potevo prendere in affidamento una bambina. Mi avvertì che si trattava di un caso davvero difficile: Luisa aveva già dodici anni, era handicappata, obesa e aveva un pessimo carattere, tanto che le suore della Madonna dell?Arco non la sopportavano più. Rimasi un po? interdetta, perché avevo già tre bambini in affido, oltre i miei tre figli… D?accordo, la ospito solo per i mesi estivi, pensai, e invece mi sbagliavo. Non è andata così: quando ti affezioni a un bambino, ti rendi conto che non c?è ostacolo che non si possa superare. Così quell?estate passò e Luisa rimase con noi: non potevamo abbandonarla al suo destino, con tutti i problemi che aveva». Ma Luisa, affetta da un lieve handicap mentale e gravemente malata, aveva bisogno di cure molto costose e di un?assistenza continua. Tutte spese che anche una famiglia agiata, con tre figli e quattro piccoli ospiti, non può sostenere a lungo. «Al Tribunale dei minori», prosegue Angela, «mi suggerirono di chiedere aiuto al Comune di Qualiano, il paese di origine della bambina, dal momento che diversi Comuni assicuravano piccoli contributi alle famiglie affidatarie. Lo feci, preparai tutte le carte, nel rispetto delle procedure e delle forme previste dalla burocrazia e attesi paziente la risposta. E la risposta fù: arrangiati, non è un problema nostro. Allora, non sapendo più che pesci prendere, decisi di fare causa». Dalla padella alla brace. Dopo cinque anni di attesa, di pratiche chilometriche e conciliaboli notturni con l?avvocato, arriva finalmente la sentenza tanto attesa: il Tribunale civile si dichiara incompetente e – ciliegina sulla torta – condanna la signora Iacono al pagamento di tutte le spese processuali. «Siamo rimasti senza parole», commenta, amara, Angela. « Ma non e giusto e noi non ci arrendiamo: faremo appello». Nonostante tutto, Angela lacono e il marito continuano a ospitare nella loro casa di Castelvolturno, un paese vicino Napoli, bambini bisognosi di cure. I loro tre figli sono ormai grandi, due sono sposati mentre la più piccola che e talassemica, abita ancora con i genitori. «I sacrifici sono stati parecchi, per tutti», conclude Angela. «Però, alla fine, si fanno volentieri. Perché? Non saprei come spiegarlo: è una cosa che si capisce solo quando si vive l?esperienza dell?affidamento. Di certo, lo facciamo anche per un motivo religioso: siamo credenti e vogliamo mettere in pratica la nostra fede».
Gli scarponi della piccola Luigina
A una ventina di chilometri da Castelvolturno, a Rione Alto, un quartiere collinare di Napoli, vive Flora Giannicolo, impiegata nella segreteria di una scuola e madre di tre figli tra i venti e i trent?anni. Come Angela, anche lei, ha preso in affido una bambina handicappata. «È accaduto quindici anni fa», ricorda Flora. «Mia figlia Patrizia stava seguendo un corso allo Smaldone, un istituto per sordomuti che si trova al rione Sanità. Lì ha conosciuto Luigina, una bambina di sette anni che i genitori avevano abbandonato quand?era appena nata. Faceva impressione, poverina, aveva un?enorme testa senza capelli, due stecchini al posto delle gambe e i piedi lunghi e magri che navigavano in un paio di scarponi più grandi di lei. Andiamo a trovarla, ogni tanto, mi diceva Patrizia. E così ogni settimana andavamo allo Smaldone da Luigina. Lei si illuminava, quando ci vedeva e, al momento dei saluti, scoppiava a piangere perché non aveva mai avuto una carezza e non sapeva cosa fosse una famiglia… I suoi genitori non si facevano mai vivi. I primi sette anni della sua vita, Luigina li ha passati all? Ospedale Santobono di Napoli dove si è girata, uno per uno, tutti i reparti». «La sua cartella clinica fa spavento», precisa il marito di Flora, Emanuele Piacente, funzionario dell?Enel in pensione. «Leggete qui: Luigina è affetta da palatoschisi (una malformazione congenita del palato, ndr) e da una serie di altre malattie». «Quando il giudice ha dichiarato l?adottabilità della ragazza», ricorda Flora, «io sono diventata sua tutrice. Poi, siccome nessuno voleva una creatura così deforme, ho deciso di prenderla in affidamento per darle un po? di calore e per curarla. Ma voglio essere sincera: non l?avrei fatto se non l?avessi conosciuta gradualmente, se non avessi imparato, in quelle visite in ospedale, ad amarla. Perciò non mi sento affatto coraggiosa…». «È lei che ci ha coinvolto, con la sua voglia di vivere», aggiunge Emanuele con gli occhi un po? lucidi, «che ci ha portato a fare cose che non ci saremmo mai sognati di fare».
Dallo Stato? Neanche una lira
Dallo Stato, Flora e il marito non hanno mai avuto nulla. Da quindici anni si accollano tutte le spese per il mantenimento di Luigina: farmaci, vestiti da fare su misura perché la ragazza è malformata, scarpe particolari, parrucche: ce ne vogliono almeno tre all?anno e costano circa cinquecentomila lire ciascuna, quelle sintetiche. Quelle fatte con i capelli veri costano tre milioni. L?anno scorso Luigina ne ha avuta una, per il suo compleanno. «Ci tiene molto ai capelli…», si giustifica Flora. È una vera invalida ma, ironia della sorte, non ha diritto alla pensione: «Il nostro avvocato voleva fare causa, poi ci ha ripensato: per la legge italiana», spiega il marito di Flora, «un handicappato inserito in un nucleo familiare a reddito alto, e cioè superiore ai 20 milioni, non può chiedere la pensione di invalidità. E al giudice non interessa se Luigina non è figlia nostra… Quindi, se ci fossimo rivolti alla magistratura avremmo fatto la fine della signora lacono». In realtà, una causa l’hanno vinta i coniugi Piacente: quella per l’assegno di accompagnamento. Ma sono passati già tre anni e, materialmente, non s’è ancora vista una lira.
Il miracolo al rione Sanità
Eppure, proprio nel quartiere più degradato della città, dove lo Stato sembra assente, si è verificato un piccolo miracolo. All?inizio di vico Castrucci, uno dei tanti vicoli del Rione Sanità, c?è la casa dei Padri Vincenziani, un grosso complesso sorto alla fine del XVII secolo. Al primo piano dell?edificio, cinque anni fa nasceva il Centro di Solidarietà, gestito da alcuni membri di Comunione e Liberazione. «È successo per caso», spiega Vinicio Lombardi, uno dei promotori dell’iniziativa, «i ragazzi del quartiere bussavano alla porta, volevano sapere chi eravamo e cosa facevamo: li abbiamo accolti, abbiamo conosciuto i loro genitori e così è nata una Casa di accoglienza per le famiglie del Rione». «Da due anni, oltre a fare doposcuola», aggiunge Vinicio, «prendiamo in affido i bambini del quartiere, figli di disoccupati, di famiglie disgregate. Stanno con noi solo di giorno, la sera li riaccompagniamo a casa. Abbiamo fatto una convenzione con l?assessorato ai Servizi sociali del Comune di Napoli che ci garantisce una certa quota per l?affido diurno dei bambini in difficoltà. Anche questo progetto è nato in modo spontaneo. Sono stati i genitori a portarci i figli, per non chiedere aiuto agli assistenti sociali: quelli ci tolgono i bambini, vi prego aiutateci voi, dicevano». «È stata proprio un?assistente sociale del rione», interviene Tonino Romano, un altro animatore del centro, «si è entusiasmata all?idea e ci ha aiutato ad aprire un canale di comunicazione con le istituzioni».
Nessuno dei promotori del Centro fa questo per mestiere: Vinicio è un medico legale, Tonino fa l?ingegnere, Mario l?architetto. Perché lo fanno? «Abbiamo risposto a un bisogno di condivisione sentito dalla gente di questo quartiere, povera ma dignitosa. Noi non volevamo creare proprio nulla, sono i bambini che ci hanno coinvolto…». Come Luigina e come Luisa.
Affido e famiglie, ecco come fare
Aprire casa al bisogno altrui. L?affidamento familiare è oggi un istituto giuridico vero e proprio, introdotto dalla legge 184/83. Sono proprio i primi cinque articoli di questa norma (che si occupa anche di adozione) a disciplinarlo. Particolarmente significativo l?art. 2 che stabilisce una sorta di gerarchia fra le soluzioni prospettate per ?il minore che sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo?. Il legislatore parla infatti di affido a ?un?altra famiglia, possibilmente con figli minori, o ad una persona singola, o a una comunità di tipo familiare, al fine di assicurargli il mantenimento, l?educazione e l?istruzione?. Ad occuparsi di affido sono i servizi sociali di ogni Comune. Nei centri più grandi, in genere, esistono veri e propri ?Uffici affidi? che gestiscono queste emergenze e che si incaricano, anche attraverso le associazioni, di reperire le famiglie disponibili. L?affidamento può svolgersi con il consenso della famiglia del bambino (affido consensuale) oppure, nelle situazioni più gravi, d?autorità del Tribunale dei Minori (affido giudiziario). In ogni caso i tempi della permanenza del bambino e i rapporti con la famiglia d?origine sono disciplinati da un provvedimento giuridico (decreto) emesso dal Giudice tutelare per i consensuali e dal Tribunale per i giudiziari. In teoria, gli assistenti sociali dovrebbero seguire con una certa periodicità l?evolversi dell?affidamento, verificando con i due nuclei familiari il percorso svolto, la risposta del bambino, la prospettiva di un suo reinserimento stabile. Di fatto, per l?esiguità degli organici, il rapporto della famiglia affidataria con i servizi è estremamente episodico: spesso gli assistenti sociali – salvo casi di difficoltà gravi – rivedono i nuclei solo alla scadenza del periodo previsto. Alla famiglia affidataria viene inoltre riconosciuta l?indennità in danaro: la cifra varia da Comune a Comune e, mediamente, si aggira intorno alle 300-400.000 (ma molte amministrazioni, specie nel Sud non la pagano proprio). Il percorso più ragionevole per chi voglia fare esperienza di affido è tuttavia quello associativo: il sostegno reciproco fra le famiglie o fra i singoli che fanno accoglienza sta spesso alla base dell?esperienze più felici.
Le informazioni sugli affidi familiari si trovano presso le associazioni (vedi box a parte), gli uffici comunali ed anche in Internet
www.minori.itwww.anfaa.it
Angela
Avevo già tre bambini in affido. Mi dissi: tengo la piccola solo per pochi mesi. Non l?ho piu lasciata…
Flora
Era in ospedale, la cartella clinica era da spavento. Nessuno la voleva, io mi sono innamorata di lei
Vinicio
Ecco le madri con i figli. Ci dicono: prendeteli voi, le assistenti sociali ce li vogliono portar via…
Numeri utili
Anfaa
Telefono 011/812.23.27 Fax 011/812.25.95
Associazione Famiglie per l?Accoglienza
Telefono 02745499 – 744116 fax
Associazione Papa Giovanni XXIII,
Telefono: 054155025
AiBi – Associazione Amici dei Bambini
Telefono: 0298232102
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.