Volontariato

Salvate Hanciles, giornalista in fuga

Mildred Hanciles è una giornalista della Sierra Leone che ha chiesto all'Italia il riconoscimento dello status di rifugiata. Mobilitati gli "Inviati di Pace"

di Ettore Colombo

Giovedì 14 febbraio alle ore 21.00, presso il Circolo della Stampa di Milano, sito in Corso Venezia 16 (sala Lanfranchi, prosegue il ciclo d’incontri dal titolo “Informazione in conflitto” a cui ha dato vita il gruppo Inviati di Pace, con una seconda serata incentrata sul tema:
“I BAVAGLI ALL’INFORMAZIONE. LA CENSURA MILITARE, ECONOMICA E POLITICA. Dall’Europa agli Usa passando per l’Africa”.

Il gruppo ‘Inviati di Pace’ torna a occuparsi dei temi dell’informazione portando nelle sale del Circolo della Stampa di Milano il dibattito più che attuale sulla censura imposta ai media nazionali e internazionali con particolare riferimento al ruolo degli inviati sui fronti di guerra.
Presenteremo in sala il caso emblematico di Mildred Hanciles, giornalista della Sierra Leone che nel suo paese ha scontato un anno e nove mesi di carcere e ha subito pesanti ritorsioni personali per aver documentato con servizi televisivi e radiofonici presso le emittenti statali del suo paese quanto successo prima e durante la guerra civile.
Mildred Hanciles, in Italia da poco e attualmente ospite di un centro di prima accoglienza, è in attesa di riconoscimento dello stato di rifugiata politica e sarà in sala con noi per parlarci personalmente del suo caso.

Inteverranno al dibattito:

Gabriella Simoni di “Studio Aperto” (Mediaset)
Marco Imarisio del “Corriere della Sera”
Alberto Negri del “Sole 24 ore”
Mildred Hanciles, giornalista della Sierra Leone
Stefano Neri di “Informazione Senza Frontiere”
Daniele Scaglione di Amnesty International Italia

Durante la serata gli Inviati di Pace lanceranno un fondo a favore di Mildred Hanciles di cui stanno sostenendo la causa presso gli organi istituzionali competenti con la collaborazione di Amnesty International Italia (presente con suo banchetto informativo) e di Informazione Senza Frontiere.

Per maggiori informazioni sul caso della Hanciles si può consultare il sito di Inviati di Pace dove troverete un’ampia intervista a Mildred: http://www.universiparalleli.net/inviatidipace/news/mildred.html
Inviati di Pace: http://www.universiparalleli.net/inviatidipace

Per la segreteria degli Idp, Rezia Corsini: tel. 335/7062118

Un appello per Mildred, giornalista della Sierra Leone

Mildred Hanciles è una giornalista della Sierra Leone che ha fatto domanda in Italia per il riconoscimento dello status di rifugiato. Il caso suo e di suo marito Edward Williams è stato “adottato” anche dalla Federazione Internazionale dei Giornalisti (il caso è stato seguito da Sarah de Jong – Human Rights & Safety Officer – Belgio). Mildred lavorava per la televisione / radio di Stato della Sierra Leone prima e durante la guerra civile durante la quale, negli ultimi anni, sono stati uccisi 15 giornalisti (nel 1999 ne sono stati uccisi 10). Mildred non può rientrare nel suo paese perché, avendo lavorato in televisione, è una persona conosciuta e rischia di essere arrestata se non uccisa. Il suo nome infatti fa parte della “lista nera” stilata dai ribelli del RUF.
Gli Idp hanno accolto la richiesta di lanciare una campagna di sensibilizzazione sul suo caso.
Mildred ha bisogno del supporto dei giornalisti italiani. Gli Idp vi terranno aggiornati sulla vicenda.
La giornalista Mildred Hanciles: dalla Sierra Leone all’Italia, per chiedere asilo politico

«Amo il mio lavoro, per questo sono scappata dal mio Paese». Mildred Hanciles, 27 anni, minuta giornalista della Sierra Leone, uno dei Paesi più a rischio per chi esercita il diritto ad informare (15 giornalisti uccisi negli ultimi anni, dei quali 10 nel 1999), è arrivata in Italia due mesi fa. E ha chiesto asilo politico. A Freetown lavorava per la SLBS (Sierra Leone Broadcasting Service), radiotelevisione nazionale. Mildred, assistente alla produzione, si occupava di attualità e svolgeva il suo lavoro sul campo. Così tra il 1998 e il 1999, prima degli accordi di pace internazionali che prevedevano la presenza di truppe delle Nazioni Unite in Sierra Leone, Mildred si trovò a filmare, non vista, le attività del Fronte rivoluzionario unito (Ruf), l’organizzazione che, tra le altre cose, nel 1999 catturò i soldati della missione Onu facendo cadere definitivamente l’accordo di pace. «Filmai torture, omicidi di civili, adulti e bambini; scempi di ogni genere», racconta Mildred e, ogni tanto, scrive su un foglio alcune delle parole che sta dicendo, come a volerle sottolineare. «Tornata in redazione», prosegue Mildred «con il mio direttore mostrammo alcune parti del girato all’allora ministro della comunicazione, Julios Spencer, che dette l’ok sulle parti visionate. Le riprese non andarono in onda, ma tutti sapevano che io le avevo fatte. Da quel momento mi hanno perseguitata, sono finita in carcere e, sopratutto, sulla lista nera del Ruf (che in pratica significa condanna a morte). Nel 2001, i filmati sono stati trasmessi in Tv. Per me è stata la fine. Mi sono rivolta anche alla Slaj (Sierra Leone Association Journalist), per denunciare la situazione, ma pur essendo un organo indipendente, subisce forti pressioni politiche. Così sono dovuta scappare».
Mildred ritiene che la decisione seppure tardiva, di mettere in onda i filmati, sia dovuta alla volontà del direttore di SLBS (che appoggia il governo eletto democraticamente) di dare un giro di vite più forte nella lotta contro i ribelli, «ma oggi penso che anche se nel mio Paese la guerra civile finisse, il governo attuale, eletto democraticamente, non migliorerebbe le cose né per i civili, né per noi giornalisti». Nel suo zainetto, Mildred custodisce le due cassette incriminate «che ho preso prima di partire da Freetown, dove ho lasciato mia madre e una sorella più piccola». Poi Mildred nasconde l’intero volto sotto la tesa nera del suo cappellino da baseball, che non si toglie mai, e sussurra che prima di lasciare Freetown ha subito il dolore più grande la morte del figlio Eddie jr di cinque anni, «ucciso dai ribelli del Ruf: quando non ottengono quello che vogliono, passano ad attaccare i famigliari. Sono come pazzi» racconta con fatica «non si immagina che cosa possono fare. Ora sono preoccupata anche per la mia sorellina». Dopo una pausa Mildred butta lì una riflessione: «pensare che il lavoro di giornalista l’ho voluto fare a tutti i costi, contro il volere di mio padre». Lei così minuta e timida, ha combattuto il padre per diventare nel e per il suo Paese, un testimone, un megafono di denuncia delle condizioni politiche, civili, sociali e umane, ma il nemico, per ora, è stato più forte di suo padre: né lei né tutti gli altri suoi colleghi che in questi anni, più sfortunatamente, hanno perso la vita, sono riusciti a sconfiggerlo. Lei almeno ce l’ha fatta a scappare. In Italia c’è arrivata con il suo fidanzato Edward Williams, che l’ha protetta durante le sue fughe da Freetown e che per questo è finito nel mirino dei guerriglieri. «Io e Edward abbiamo vagato insieme a piedi e accettando passaggi clandestini, fino a quando abbiamo incontrato uno svedese che ci ha fatto salire su un aereo: destinazione Italia». Prima di prendere il volo, Mildred ha scritto una e-mail al sito “Icare” chiedendo aiuto e rendendo nota la sua fuga. Il 26 novembre 2001 Mildred ed Edward sono sbarcati a Malpensa e si sono dichiarati rifugiati politici «mostrando la mia carta di riconoscimento di giornalista», precisa Mildred. Il secondo passo in Italia, è stato andare nella sede di Amnesty International a denunciare il loro caso. Amnesty lo sta divulgando ed è un punto di riferimento per la giornalista e il suo compagno. Il caso è stato preso in considerazione e segnalato anche da Sarah de Jong della Human Right & Safety Officer in Belgio, dove Mildred e Edward si sono recati all’inizio di gennaio 2002, per verificare se in quel Paese ci sono maggiori opportunità di asilo: «ci hanno detto che è meglio tentare in Italia», riferisce Mildred. Nel frattempo il gruppo di giornalisti indipendenti di Inviati di pace, si sono impegnati a sostenere ufficialmente la richiesta di asilo politico e si occupano, a fianco di Amnesty, della situazione di Mildred e Edward supportandoli nella ricerca di canali attraverso i quali divulgare la loro storia, che è l’emblema di un Paese. Anche Isf si sta interessando al caso. Mildred e Edward, che alloggiano in un centro di accoglienza della Caritas a Caronno Pertusella, a fine febbraio vedranno scadere il permesso temporaneo per stare in Italia, cercano sostegno per rendere pubblica la loro vicenda, ma soprattutto «per diffondere e far conoscere la situazione in Sierra Leone», sottolinea Mildred non senza commozione. «Io ho la mia testimonianza filmata» conclude « e sono pronta a mostrarla pubblicamente. Che almeno la mia fuga, la perdita di un figlio e questi mesi di dolore, servano a far conoscere. È questo il mio mestiere».

(intervista a cura di Rezia Corsini)

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