Salute
Salute mentale: la vera cura? che i pazienti diventino cittadini
Il testo di Virginio Colmegna è unanticipazione del nuovo numero di Communitas. Le apocalissi della mente. Il numero è dedicato alla salute mentale.
La grande questione culturale che oggi si affaccia è quella di parlare di salute mentale e non solo di disagio o malattia mentale. Bisogna partire dalle situazioni di disagio, che ci sono, per porsi un obiettivo di salute mentale che riguarda tutta la popolazione.
Uno degli obiettivi fondamentali, se si ragiona in quest?ottica, è quello di creare contesti ricchi di relazioni umane, di attenzione. Tutti i processi di inclusione e di riabilitazione, infatti, presuppongono a monte una realtà istituzionale sicura che ingloba chi soffre, chi è malato o disturbato. Noi invece dobbiamo continuamente riflettere sulle sollecitazioni che ci arrivano dal basso e costruire contesti dove può capitare che la relazione positiva non sia quella tra l?utente/cliente/paziente e l?operatore sociosanitario, ma semplicemente tra le persone. Persone che vivono e portano i loro stati di sofferenza e di ansia ma anche il loro benessere.
La buona volontà non basta…
Questa, molto in sintesi, è l?esperienza della Casa della Carità a Milano. Anche in essa c?è il rischio di istituzionalizzare l?accoglienza, di creare una distinzione netta di ruoli tra chi accoglie e chi è accolto. Abbiamo invece creato un contesto dove di fatto l?operatore, l?utente, il cliente, il paziente sono tutte persone che abitano insieme uno spazio. E dove ciascuno fa la sua parte. Questo non significa creare situazioni anarchiche, di confusione dei ruoli: ciascuno si qualifica anche con la sua identità e la sua professionalità, con la sua dimensione di cura e di relazione, ma si mira a creare uno stato di benessere.
Tale modo di pensare chiama necessariamente a sé tante competenze: non è vero che per creare contesti relazionali pieni di significato basta la buona volontà. Ci vuole un aspetto motivazionale, uno di relazione, uno di cura, uno di salute, uno di capacità di ascolto delle persone e della loro storia, uno che è il saper dare dignità alle persone, il dare attenzione alle loro biografie personali senza invadere? tutte queste sono competenze professionali specifiche. Però sempre di più ci rendiamo conto che la chiave fondamentale è quella di un contesto che crei un abitare, un tema che oggi si fa sempre più importante.
Oggi esiste la sofferenza dell?area metropolitana: le grandi città, le metropoli ma non solo, creano sempre più dei contesti pesantemente segnati da processi di emarginazione e di sofferenza. Qualche volta sono istituzionalizzati e psichiatrizzati, e allora scatta immediatamente la funzione di controllo sociale, e la sofferenza viene trasformata in un problema di sicurezza e di paura. Il tema della paura e della fiducia nel vivere metropolitano sono, invece, una realtà che mette in moto sentimenti, angosce, paure, entusiasmi, che ha a che fare col benessere psicofisico e con la salute mentale di tutti i cittadini
….ma neppure i Servizi
Allora è evidente che non basta rispondere ai problemi specifici della salute mentale o del disagio psichico, non basta la cultura prestazionistica, cioè il dare ad ogni disagio una cura o un servizio accreditato: il centro diurno, la comunità, ecc.
I servizi si moltiplicano eppure mancano sempre. C?è una grande richiesta di servizi di cura e di controllo, che indiscutibilmente hanno la loro funzione, ma pensare che la risposta al disagio metropolitano venga fatta solo attraverso servizi di cura psichiatrica è assurdo. Come minimo questi diventano piccoli luoghi separati rispetto alla città e alla sua sofferenza. Spesso poi il servizio esprime una presa in carico e contestualmente un abbandono: la domenica i servizi sono chiusi, la notte gli operatori sono irraggiungibili, e soprattutto il servizio rischia di stigmatizzare la storia e la biografia delle persone. Accanto a questi servizi, quindi, dobbiamo ripensare cosa significhi l?abitare, il sollecitare lavoro e opportunità, il ricreare benessere nel vivere cittadino.
I pazienti devono diventare cittadini. Trasferire risorse dal sistema accreditato a una logica partecipativa è importante. Per far questo c?è bisogno che il sociale e l?associazionismo non diventino solo una questione urbanistica: possiamo costruire un centro anziani o un centro sociale, ma se non ci sono rapporti vitali col territorio non servono a niente, sono luoghi morti o appropriati da tre o quattro persone che trasformano quel luogo, teoricamente aperto, in un luogo chiuso.
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