Salute
Salute mentale, gli psichiatri: «Così non riusciamo a garantire aiuto»
In un appello alle più alte cariche dello Stato, 91 direttori di dipartimenti di Salute mentale in tutta Italia denunciano la situazione di depauperamento del loro settore, che non permette di realizzare una presa in carico globale, improntata alla prossimità, per le persone che vivono un disagio psichico, sempre più numerose anche a seguito della pandemia
«Le condizioni drammatiche nelle quali stiamo sempre più scivolando consentono ai DSM di erogare ormai con estrema difficoltà le prestazioni che, invece, dovrebbero essere garantite dai Livelli Essenziali di Assistenza. Una situazione che si è aggravata con la pandemia e con le problematiche sociali ed economiche». Inizia così l’appello che 91 direttori di dipartimenti di Salute mentale – Dsm di tutta Italia hanno voluto mandare alle più alte cariche dello Stato – tra cui il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e la premier, Giorgia Meloni – per denunciare la situazione di grave definanziamento dei Dsm, che non consente la realizzazione di percorsi di presa in carico comunitari, in grado di dare risposte integrate ai diversi aspetti biologici, psicologici e sociali.
«La lettera è stata presentata adesso, ma è il frutto di un dibattito che si sviluppa da anni attorno alla povertà dei dipartimenti di Salute mentale», spiega Giulio Corrivetti, direttore del Dsm di Salerno e uno dei promotori dell’appello. «In tutta Italia si riscontra un progressivo declino in termini di risorse e dotazioni organiche». Questo accade nonostante il grande bisogno di innovazione legato ai nuovi disagi che irrompono nei servizi, su cui pesa una domanda sempre più pressante di aiuto. E questa tendenza è stata ulteriormente aggravata dal Covid-19. «Noi psichiatri siamo stati chiamati dall’Organizzazione mondiale della sanità – Oms a fronteggiare una seconda epidemia, quella della sofferenza mentale», continua il medico. «Abbiam visto quasi raddoppiare i disturbi psichiatrici comuni, come ansia, depressione e disturbi dell’umore, e complicarsi la possibilità di assistenza e di prossimità per i disturbi psichiatrici maggiori». Sono quindi almeno tre anni che i diversi coordinamenti di professionisti e le società scientifiche sono in allarme.
Nella teoria, la psichiatria dovrebbe implementare una dimensione di vicinanza e di presenza nei luoghi di vita delle persone. L’obiettivo, insomma, sarebbe quello di un benessere psichico, che richiede una presa in carico globale, che coinvolga anche la famiglia e il contesto di chi si trova in una situazione di difficoltà. «Sostanzialmente in tutta Italia siamo sensibili a una salute mentale di prossimità, non vogliamo diventare semplicemente dei servizi che fronteggiano le urgenze», afferma lo psichiatra, «ma lavorare nella direzione dell’attenzione, della riabilitazione e della cura, di cui l’intervento in emergenza è solo una parte». Insomma, la presa in carico deve essere anche – e forse soprattutto – sociale. «C’è bisogno di programmare, di prevedere, per evitare ricadute e crisi», aggiunge Corrivetti. Per realizzare questo disegno, in linea, tra l’altro, con gli standard per l’assistenza territoriale dei servizi di salute mentale da poco definiti dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali – Agenas, c’è però bisogno di personale e di finanziamenti. Per questo i direttori dei dipartimenti chiedono di destinare, al massimo in un triennio, oltre 2 miliardi ai Dsm, per arrivare all’obiettivo minimo del 5% del fondo sanitario (oggi siamo sotto al 3%). «Il 5% rappresenta un ventesimo della spesa», dice lo psichiatra, «ma la salute mentale non rappresenta solo un ventesimo in termini di importanza per il benessere dei cittadini».
Gli operatori sono pochi e non riescono a far fronte alle esigenze di tutti coloro che necessitano di un sostegno. «Siamo impoveriti anche in termini di personale, non solo medico», chiosa Corrivetti. «A 45 anni dalla riforma dobbiamo immaginare dei servizi che non siano medicocentrici: c’è bisogno anche di un lavoro sociale, psicologico e riabilitativo». La presa in carico, insomma, necessita di diverse professionalità. E infatti sono molti i professionisti a diverso titolo della salute mentale che hanno condiviso l’appello dei direttori di dipartimento. «Sappiamo che il ministero, al momento, è in fase di riorganizzazione, che ci impone un’attesa delle nuove figure di riferimento per avere un riscontro», conclude il medico, «ma è stato bello alzare la voce per un coro che tutto quanto soffriva di una situazione di depauperamento. In tanti ci sentiamo sullo stesso binario sul quale fare insieme una battaglia perché la salute mentale non sia dimenticata, resa marginale o periferica».
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