La proposta
Salute mentale, come rilanciarla in dieci punti
Dalla conferenza autofestita che si è tenuta a Roma il 6 e il 7 dicembre è nato un documento programmatico, che inaugura una nuova stagione di mobilitazione e fa richieste chiare alla politica. Dai Csm aperti 24 ore, all'abolizione della contenzione, passando per l'aumento dei fondi e la valorizzazione della prevenzione
«La mobilitazione è necessaria per reagire alla crisi delle politiche e dei servizi per la salute mentale, del Servizio Sanitario Nazionale e dei servizi sociali». Inizia così il manifesto nato dalla Conferenza nazionale autogestita Salute Mentale, che si è tenuta a Roma il 6 e il 7 dicembre. Un appuntamento importantissimo, a cui hanno partecipato operatori, familiari, persone con disturbo da tutto lo Stivale. Nel documento vengono lanciate dieci proposte. Le abbiamo discusse insieme a Gisella Trincas, presidente di Unione nazionale associazioni per la salute mentale – Unasam e membro del Coordinamento nazionale salute mentale, che ha organizzato la conferenza.
1 – Inserire la Salute Mentale fra le priorità dell’agenda politica consapevoli che il diffuso disagio sociale ed economico non si risolve con risposte meramente sanitarie ma richiama l’esigenza di azioni di prevenzione e promozione della salute relativi alla vita delle persone.
Non esiste nessun programma, nessun nuovo piano nazionale, nessun investimento sulle questioni della salute mentale che parta dal punto principale della legge di riforma sanitaria, che riguarda la prevenzione. Bisogna intervenire sulla qualità di vita delle persone, quindi combattere la povertà, la disoccupazione, l’emarginazione sociale e l’abbandono. Se non si lavora su tutti questi determinanti sociali ed economici, oltre che ambientali, non possiamo certamente pensare di prevenire situazioni importanti di disturbo. Non è sufficiente, quindi, organizzare in maniera adeguata i servizi territoriali di salute mentale: è fondamentale lavorare sulla prevenzione. Che significa, tra le altre cose, investire su una scuola pubblica, che risponda ai bisogni di formazione e di cultura. Significa lavoro sicuro per le persone, per combattere la povertà nelle nostre comunità.
Bisogna intervenire sulla qualità di vita delle persone, quindi combattere la povertà, la disoccupazione, l’emarginazione sociale e l’abbandono.
2 – Definire precise misure per assicurare la partecipazione nei servizi delle persone con disagio mentale, dei familiari, delle associazioni e del sindacato.
Attualmente i servizi di salute mentale funzionano prevalentemente come ambulatori psichiatrici e non come servizi di salute mentale di comunità aperti al territorio e alla partecipazione attiva degli utenti e dei loro familiari. In ogni ambito della salute mentale, non solo nei Csm o nei dipartimenti, ma anche negli assessorati alla sanità, ci devono essere organismi di partecipazione democratica, che intervengono sulla programmazione, sulla verifica degli esiti e su tutte le questioni che riguardano la vita e i percorsi di cura delle persone.
3- Aumentare il finanziamento per il Ssn fino al 7,5% del Pil, e una dotazione per la Salute Mentale finalmente pari al 5% del Fondo Sanitario Nazionale, dedicata ai servizi di prossimità.
Oggi per la salute mentale in Italia si spende di media il 3%. del Fondo sanitario nazionale, il che è ridicolo. Il 5% dovrebbe essere il minimo. Questo significa anche, però, che ci dovrebbe essere un’attenzione a come vengono spesi i soldi. In Sardegna, per esempio, nei dati pubblicati dal Ministero, appare come la Regione che spende di più per la salute mentale. La qualità dei servizi, tuttavia, è fortemente critica: quei denari vengono spesi prevalentemente per inserimenti in strutture, in comunità, anche fuori Regione. Quindi, se abbiamo il 5% ma non lo usiamo per percorsi di ripresa nel proprio contesto di vita, ma per portare le persone da un’altra parte, in luoghi istituzionalizzanti, stiamo gestendo male i fondi.
4- Riorientare i Dsm e i Servizi di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza – Npia verso una cultura e una pratica rispettosa delle norme internazionali sui diritti umani. Garantendo con la comunità la presa in cura nell’ambiente di vita. Assicurare nei Servizi di Salute Mentale e di Npia personale adeguato.
Nei 20 sistemi sanitari i dipartimenti di salute mentale, di neuropsichiatria infantile e per le dipendenze sono organizzati in maniera diversa per ciascuna Regione e questo determina grossi problemi. Tutto dovrebbe essere riportato all’interno di un sistema organizzativo adeguato rispetto ai bisogni di queste tre delicate aree di intervento e le azioni intraprese essere in linea con la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, con le nostre norme italiane e con le raccomandazioni dell’Oms. Ai bambini devono essere fornite le stesse garanzie di presa in carico adeguata degli adulti, il che vuol dire, per esempio, un uso moderato, razionale e responsabile dei farmaci: anche nelle neuropsichiatrie infantili si fa un uso indiscriminato della terapia farmacologica. C’è un’assoluta povertà di intervento psicologico, psicoterapico, di sostegno ala persona e alla famiglia, per andare insieme verso un percorso di ripresa. Serve un’altra visione culturale.
Anche nelle neuropsichiatrie infantili si fa un uso indiscriminato della terapia farmacologica.
5- Garantire ai Centri di Salute Mentale il ruolo di regia del sistema di cure, con servizi funzionanti 24 ore, aperti almeno 12 ore al giorno e 7 giorni su 7, capaci di promuovere integrazione sociale, sanitaria, lavorativa, abitativa.
In questo momento gli unici Csm aperti sulle 24 ore in Italia sono solo in Friuli Venezia Giulia e, tra l’altro, sono messi fortemente in difficoltà dall’attuale governo regionale. I servizi territoriali di salute mentale – che sono comunque servizi di prossimità – per poter svolgere un’afeguata attività di cura e riabilitazione devono essere aperti tutto il giorno, anche con la possibilità di avere alcuni posti letto, per le situazioni per le quali si potrebbe tranquillamente evitare il ricovero in Spdc (Servizio psichiatrico di diagnosi e cura, ndr), che ha dei costi decisamente maggiori e deve rimanere il servizio per l’emergenza, di breve durata. La regia della presa in carico globale delle persone – e dell’intero territorio – deve essere in capo al Csm, un servizio immediatamente raggiungibile che garantisca tutte le attività che possono concretamente aiutare una persona a superare una situazione di crisi anche temporanea oppure portare avanti un progetto terapeutico e d riabilitativo di maggiore impegno. Poi c’è tutto un lavoro di concerto con le altre articolazioni del dipartimento, con le istituzioni, il Terzo settore e il territorio.
6- Definire uno specifico monitoraggio dell’attività svolta nelle Regioni, in particolare sui Livelli Essenziali per l’assistenza territoriale e per le persone più a rischio di abbandono (adolescenti e giovani adulti, persone senza lavoro, migranti, private della libertà personale, anziani non autosufficienti, persone con disabilità, ecc.), da presentare con una Relazione del Governo al Parlamento.
Le Regioni, come abbiamo già detto, hanno ciascuna la propria operatività e i propri programmi. Nessuno verifica nulla. Manca un monitoraggio costante da parte del Ministero della Salute e del Governo. Al ministero, per esempio, arrivano solo informazioni sui dati numerici, su quanti pazienti, quali patologie, quanti posti letto, eccetera. Sull’esito delle attività svolte e quindi sulle ricadute pratiche nelle vite delle persone – anche in termini di prevenzione – non arriva nulla. Invece ci sarebbe bisogno che le Regioni relazionassero costantemente al Governo centrale, in modo che si possa diffondere in maniera pubblica l’informazione sull’andamento della tutela della salute mentale sul nostro territorio nazionale, senza escludere niente e nessuno dal dovere istituzionale di rendere conto.
7- Incentivare la riallocazione delle risorse dalla residenzialità alla domiciliarità incrementando il finanziamento dedicato ai progetti di cura personalizzati.
La stragrande maggioranza delle risorse sono spese non per percorsi individuali di ripresa, ma per le rette nelle strutture, negli Spdc e nelle comunità terapeutiche, che sono elevatissime. Non esiste, invece un fondo specifico che sostenga i percorsi individuali di ripresa. Bisogna ripensare la residenzialità, ridurre l’istituzione fino ad abbandonarla e finanziare percorsi di cura nei contesti di vita alle persone. Il concetto di “Budget di salute” significa che un servizio di salute mentale dovrebbe lavorare mettendo insieme le risorse – familiari, ma anche del sistema sociale – per migliorare le condizioni di vita e di salute per uno specifico individuo. In sostanza, si dovrebbe spostare le risorse dalle strutture alle persone.
Si dovrebbe spostare le risorse dalle strutture alle persone
8- Abolire qualsiasi trattamento inumano e degradante, a partire dalla contenzione meccanica, in tutti i luoghi della cura oltre che nei servizi psichiatrici.
Si lega dappertutto. Nei reparti degli ospedali generali, si lega nelle Rsa, si lega nelle comunità terapeutiche e anche nelle strutture per minori. La presa in cura di un essere umano non può in alcun modo tollerare la contenzione meccanica e l’isolamento delle persone. Ci deve essere un provvedimento chiaro che lo proibisca, come previsto dalla Convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità.
9- Promuovere un preciso impegno delle Università alla formazione di professionisti orientati alla salute mentale di comunità e secondo il modello bio-psico-sociale.
Nelle università la formazione è più orientata sull’aspetto diagnostico, farmacologico, sul contenimento. Addirittura si insegna alle persone come fare l’elettroshock e come legare le persone. La formazione, invece, dovrebbe tenere conto delle cause bio-psico-sociali che determinano una condizione di fragilità sociale e di disturbo mentale. Al centro ci dovrebbero essere i diritti umani. Oggi, invece, gli operatori che escono dall’università non sanno chi era Franco Basaglia, cos’erano i manicomi e cosa succedeva al loro interno.
Gli operatori oggi escono dalle università senza sapere chi era Franco Basaglia, cos’erano i manicomi e cosa succedeva al loro interno.
10- Garantire la tutela della salute mentale per le persone ristrette in carcere come adempimento obbligatorio delle Regioni, favorendo programmi alternativi alla detenzione. Analoga attenzione va rivolta a coloro che senza aver commesso alcun reato vengono ristretti nei Centri di Permanenza e Rimpatrio per i Migranti, e alle persone con disturbo mentale autori di reato, attuando finalmente la legge sul superamento degli Opg.
Secondo la Legge per il superamento degli Opg, la Legge 81/2014, le Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, ndr) non dovevano essere un’alternativa agli Opg: le persone autrici di reato con disturbo mentale devono poter ricevere dal Dsm un progetto alternativo alla detenzione. Quello che sta accadendo, però, è che visto che i posti in Rems sono – fortunatamente – limitati, le persone finiscono in carcere, perché i dipartimenti, per come sono strutturati, per la carenza di personale ma anche di visione culturale, non programmano interventi alternativi. Il carcere determina sofferenza anche in chi non ha una condizione di salute mentale, perché è patogeno. In più, abbiamo anche il problema dei Cpr, luoghi di reclusione senza aver commesso alcun reato, in cui non c’è garanzia della tutela della salute. Ci risulta che in molte di queste strutture non esista neanche la mediazione culturale, non c’è quindi possibilità di comunicare in maniera adeguata bisogni, difficoltà e necessità. I Cpr sono diventati delle galere gestite da enti privati.
Foto in apertura di Matthew Ball da Unsplash
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