Sanità
Salute della donna, purché non con disabilità
Nel nostro Paese gli ambulatori dedicati all’assistenza ostetrico-ginecologica delle donne con disabilità motoria e psichica si contano sulle dita di una mano, con la conseguenza che solo una donna con disabilità su tre accede ai programmi di prevenzione dei tumori femminili. Da Torino a Firenze passando per Padova il racconto dei medici che si battono per il diritto alla salute per tutte
Il nostro Servizio sanitario nazionale – Ssn è realmente un baluardo della salute per tutti i cittadini? A guardar bene parrebbe di no, soprattutto se si osserva la situazione con gli occhi delle donne con disabilità. Per esempio il quadro dei servizi sanitari rivolti alla salute sessuale e riproduttiva di queste donne è drammatico.
Servirebbero lettini ginecologici regolabili in altezza, sollevatori e operatori disponibili ad aiutare la paziente in caso di bisogno durante le visite. Ma, purtroppo, nel nostro Paese non c’è nulla di tutto questo. L’indagine “L’accessibilità dei servizi di ginecologia e ostetricia alle donne con disabilità”, realizzata qualche anno fa dal Gruppo donne Uildm su 61 strutture ed enti sanitari pubblici, ha evidenziato come durante una visita ostetrico-ginecologica solo nel 28,33 % delle strutture monitorate c’era un lettino regolabile, nell’1,67% il sollevatore e nel 56,67% la presenza di almeno due operatori.
Screening impossibili se non ci sono ambulatori
Altro dato preoccupante della ricerca Uildm è quello relativo agli screening nell’ambito delle campagne regionali o nazionali di prevenzione dei tumori femminili. Solo il 33,6% delle donne con disabilità vi accede e, rispetto agli esami effettuati nell’ambito dei controlli senologici, solo il 24,6% ha potuto effettuare una mammografia perché le strutture hanno a disposizione solo mammografi per pazienti che possono stare in piedi.
È utile ricordare che i programmi di screening oncologico sono compresi tra i Livelli essenziali di assistenza – Lea dal Dpcm 12 gennaio 2017. Inoltre sulla base delle nuove raccomandazioni emanate dal Consiglio europeo a dicembre 2022, l’obiettivo è quello di assicurare l’offerta di screening ad almeno il 90% dei cittadini aventi diritto in tutti i Paesi membri entro il 2025. Una percentuale difficile da raggiungere se circa un milione di donne, questa la stima italiana della popolazione femminile con disabilità, è praticamente tagliata fuori.
Queste donne ricevono regolarmente la lettera di invito a prendere parte a uno screening per la loro fascia di età ma poi non sono messe in condizione di poter fare gli esami perché non ci sono strutture sanitarie con ambulatori dedicati. Inoltre, come da prassi, se non ci si può presenta alla visita l’onere di disdire l’appuntamento è a carico del paziente. Dunque oltre il danno la beffa.
A Torino il primo ambulatoro ginecologico per donne con disabilità
Gli ambulatori ginecologici per donne con disabilità fisica o psichica nel nostro paese si contano sulle dita di una mano. A Torino nel 2008 è stato aperto l’ambulatorio “Dd – Donne con disabilità” del presidio ospedaliero Sant’Anna della Città della salute e della scienza al cui interno vengono effettuate visite ginecologiche e ostetriche con la possibilità di eseguire più prestazioni in un unico momento: dalla visita, all’ecografia, al Pap test fino alla visita senologica. Sempre a Torino, nel 2013, in via Silvio Pellico 28, è stato inaugurato l’ambulatorio di prevenzione serena Il fior di loto grazie a una convenzione tra i Consultori familiari della ex-Asl To1 e l’associazione Verba.
«L’ambulatorio dell’ospedale Sant’Anna», spiega la dottoressa Paola Castagna, ginecologa responsabile di Dd – Donne con disabilità, «è stato non solo il primo in Italia ma anche il primo ospedaliero. Lo abbiamo avviato dopo aver ascoltato i bisogni delle donne con disabilità che ci chiedevano personale dedicato, spazi comodi e tempo. Le pazienti da noi trovano sempre me come ginecologa, la stessa ostetrica e la stessa infermiera. Anche quando chiamano il numero dedicato per le prenotazioni telefoniche risponde sempre la stessa ostetrica. Questa scelta è molto importante sia per gli operatori delle comunità, dove magari queste donne vivono, sia per le stesse pazienti perché evitano di dover ripetere ogni volta la loro storia clinica. Il ruolo del personale dedicato è, anche, quello di rendere centrale la paziente con i suoi bisogni e le sue necessità cercando di eliminare le barriere non soltanto fisiche ma anche mentali. La nostra è una scelta di cura, rispetto e presa in carico complessiva. Lo spazio è un fattore strutturale importante per far sentire le pazienti accolte sia nell’ambulatorio sia nella sala d’attesa. Potersi muovere, spostarsi facilmente con la carrozzina e arrivare con un ascensore dedicato è per loro importante. Infine il tempo. La visita ginecologica per una donna con disabilità richiede più tempo non solo per spogliarsi e salire sul lettino ma anche perché, soprattutto le pazienti con disabilità psichica, hanno bisogno di tempo per entrare in dialogo con il medico. Per questo abbiamo scelto di dedicare a ognuna di loro 45 minuti. Questo tempo favorisce la comunicazione e il counselling in modo tale da far emergere le preoccupazioni circa, per esempio, la sessualità e i problemi della coppia, rinforzare la necessità di sottoporsi a esami di screening e visite specialistiche».
Dal 2008 ad oggi nell’ambulatorio ospedaliero di Torino sono state effettuate 2.500 visite di donne con disabilità. Annualmente vengono visitate circa 200 donne con una percentuale del 30% di prime visite e per il 70% di controlli. L’età media è di 42 anni e la percentuale di donne italiane è l’80%. Nel 57% dei casi le donne hanno una disabilità psichica-cognitiva, nel 35% una disabilità motoria e nel 8% una disabilità mista. Nell’ambito delle indicazioni alla visita nel 93% dei casi sono state effettuate visite ginecologiche, nel 4% ostetriche e nel 3% visite in ambito oncologico. In questo ultimo ambito nel 53% sono state seguite donne con tumori all’utero; nel 36% tumori alla mammella e nell’8% tumori ovarici.
«Le pazienti con disabilità», prosegue Castagna, «spesso vivono il proprio corpo come “invisibile”, “asessuato”. Le donne che hanno subito una lesione midollare, per esempio, percepiscono il corpo violato, ferito, rotto. Perdono il desiderio di piacere e piacersi, sentono profondamente minata la loro autonomia non solo motoria ma anche psicologica. Essendo la visita ginecologica caratterizzata da una intrusione nell’intimità della persona cerchiamo, per quanto possibile, di evitare che i caregiver rimangano all’interno dell’ambulatorio in modo tale che la donna con disabilità possa avere il suo momento privato e personale per poter anche parlare liberamente della propria sessualità senza che essa venga mediata da coloro che la accompagnano».
Il fior di loto di Torino: più prestazioni in un unico accesso
Presenza di pannelli tattili, clima di fiducia e un linguaggio coerente e corretto sono alcune delle caratteristiche che rendono speciale l’ambulatorio di prevenzione serena Il fior di loto di Torino che, dopo un primo filtro telefonico per l’analisi dei bisogni specifici, le prenotazione e le comunicazione dei dati in modo protetto, offre alle donne la possibilità di effettuare più prestazioni in un unico accesso, in un locale dedicato senza barriere, inserito all’interno del consultorio familiare.
«Siamo un servizio di primo livello», spiega Alessia Gramai psicologa, psicoterapeuta e sessuologa clinica de Il fior di loto, «da noi arrivano le donne con disabilità che devono effettuare una prima visita ginecologica; screening regionali oncologici, come pap test e hpv; una visita senologica o un controllo endometriale dopo la menopausa. Forniamo, anche, prevenzione alla salute ginecologica, consulenza alle coppie e cure della gravidanza. Lavoriamo a stretto contatto con l’ambulatorio di Sant’Anna che, essendo di secondo livello, prende in carico le nostre pazienti se hanno bisogno di approfondimenti diagnostici».
Un’eventualità, purtroppo, che non è rara visto che, da uno studio commissionato dall’associazione Verba sulla risposta di screening per i tumori femminili nelle donne con disabilità, è emerso che queste donne si ammalano di più di quelle sane perché nei fatti è preclusa loro la prevenzione.
Silvia si salva grazie a uno screening
al Policlinico di Careggi a Firenze
Un esempio è il caso di Silvia, paziente del servizio Rosa Point, l’ambulatorio dedicato all’assistenza ostetrico-ginecologica delle donne con disabilità motoria e psichica nato a Firenze nel 2015 grazie alla collaborazione tra il dipartimento Materno-infantile, l’Unità spinale del Centro traumatologico ortopedico dell’Azienda ospedaliero-universitaria Careggi e le associazioni Toscana paraplegici e Habilia. Come spiega la ginecologa Angelamaria Becorpi, referente dell’ambulatorio: «Quando Silvia si è rivolta a Rosa Point aveva 37 anni e non aveva mai fatto gli screening previsti per la donna, neanche un controllo mammario nonostante la presenza in famiglia di casi di tumore al seno. È arrivata in ambulatorio per dei dolori nella zona dell’addome inferiore e perdite ematiche vaginali da alcuni mesi. Abbiamo programmato tutti gli esame necessari grazie ai quali siamo riusciti a diagnosticare una sospetta forma precancerosa dell’utero che è stata immediatamente asportato. Cosa sarebbe accaduto a Silvia se non fosse arrivata nel nostro ambulatorio?».
I bisogni delle pazienti con disabilità che entrano in questi centri sono molteplici. Chi ha una disabilità motoria oltre a un ambulatorio spazioso, al lettino elettrico e a un sollevatore richiede privacy, possibilità di accedere in autonomia per sentirsi come tutte le donne, poter parlare liberamente di sessualità senza essere oggetto di pregiudizi. Mentre chi ha una disabilità intellettiva ha bisogno, anche, di più spiegazioni, di capire cosa è la sessualità. Infine, le disabilità sensoriali richiedono spesso la presenza di un interprete Lis, un accompagnatore interno e informazioni accessibili anche sulla sessualità.
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Gianfranco Jorizzo (Ulss 6 Padova): «diritto alla salute per tutti i cittadini»
Dallo scorso 25 gennaio anche Padova ha il suo primo ambulatorio ginecologico pubblico in via Scrovegni, nella sede del distretto Bacchiglione dell’Ulss 6 Euganea. L’ambulatorio è il frutto di una proficua progettazione condivisa tra azienda sanitaria, amministrazione comunale, donne con disabilità e associazioni che le rappresentano, come la Consulta delle malattie neuromuscolari del Veneto, composta da diciassette associazioni e l’associazione italiana Vivere la paraparesi spastica – Aivips.
L’ambulatorio, raggiungibile grazie a un ascensore esterno e dotato, anche, di comando vocale, oltre che della tradizionale pulsantiera, è abbastanza spazioso da consentire un’ampia libertà di movimento a chi si sposta in sedia a rotelle. È dotato di un lettino elettrico. Le prestazioni garantite includono la prima visita ginecologica, i controlli successivi, il pap test e l’ecografia transvaginale.
«Ci stiamo impegnando», racconta il ginecologo Gianfranco Jorizzo, responsabile della Medicina prenatale dell’Ulss 6 Euganea, «affinché nei prossimi mesi tutti gli ambulatori ginecologici dei nostri distretti siano attrezzati per accogliere pazienti con disabilità. Abbiamo avviato percorsi di formazione per i nostri specialisti per dar loro gli strumenti necessaria ad accogliere queste pazienti. Riteniamo fondamentale rimettere al centro il diritto alla salute per tutti i cittadini. L’ambulatorio di via Scrovegni possiamo definirlo un servizio assistenziale di primo e secondo livello. Invece nei casi in cui c’è necessità di interventi chirurgici la paziente viene presa in carico dall’ospedale».
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