Welfare

Salgono a 18 i detenuti suicidi da inizio anno

L'ultimo caso al carcere di Rebibbia, dove in otto anni si contano 20 detenuti morti per suicidio

di Redazione

Con la morte Daniele Bellante, 31 anni, avvenuta la scorsa notte nel carcere di Rebibbia, salgono a 18 il totale dei detenuti suicidi da inizio anno. Nel carcere di Rebibbia, in 8 anni, sono morti ben 38 detenuti, di cui 20 per suicidio.

E proprio oggi – rende noto l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere (Radicali Italiani, Associazione “Il Detenuto Ignoto”, Associazione “Antigone”, Associazione A “Buon Diritto”, Redazione “Radiocarcere”, Redazione “Ristretti Orizzonti) – abbiamo avuto notizia di un altro decesso, avvenuto nel carcere di Alba (Cn) lo scorso 24 marzo. Francesco Iannuzzi, 40 anni, è stato ritrovato senza vita in cella. Le cause della morte sono per ora ignote e al riguardo è in corso un’indagine. Sale così a 57 il totale delle morti in carcere nel 2010, 1 ogni 2 giorni.

Per quanto riguarda la “catalogazione” delle morti come suicidi – alla luce delle diverse cifre che vengono diffuse in queste settimane – è necessaria una precisazione: l’impiccagione è indice certo della volontà suicida (riguarda 15 dei 18 casi), mentre l’inalazione del gas introduce un elemento di dubbio riguardo all’intenzione di togliersi la vita. Molto più spesso l’intenzione era quella di “sballarsi”, utilizzando il butano delle bombolette da camping come sostanza stupefacente (pratica piuttosto diffusa tra i detenuti) e, accidentalmente, l’assunzione del gas causa un malore mortale (a parere dell’Osservatorio, questa è la dinamica che ha portato alla morte di Carmine B., lo scorso 7 aprile nel carcere di Benevento. Infatti non è stato incluso dall’Osservatorio tra i suicidi bensì tra i morti per “cause da accertare”).

È vero che anche il gas può diventare uno “strumento” per suicidarsi: in questi casi non viene rilasciato nell’ambiente della cella ma all’interno di un sacchetto di plastica (quelli usati per la raccolta dell’immondizia), dove poi il detenuto infila la testa stringendoselo intorno al collo (a volte anche con un legaccio). In questo modo prima sviene per effetto del gas e poi muore asfissiato). Quindi, se il detenuto viene ritrovato con il sacchetto infilato in testa, è ragionevolmente plausibile una intenzione suicida.

Infine, una nota per quanto riguarda il “conteggio” complessivo dei detenuti morti: «le cifre diffuse dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria sono sempre più contenute rispetto alle nostre e la differenza è data dal numero di quei detenuti che, dopo aver tentato il suicidio (o accusato un malore) in cella, vengono soccorsi ancora in vita, ma muoiono durante il trasporto all’Ospedale, o anche dopo il ricovero (come nel caso di Stefano Cucchi) – scrive in una nota l’Osservatorio -. Per il Dap non si tratta di “morti in carcere”, visto che sono avvenute fuori dal muro di cinta degli Istituti di Pena, per noi si tratta di persone “morte di carcere”, perché comunque la “catena degli eventi” che ne ha determinato il decesso è iniziata in cella».

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