Cultura

Salento, porta orientale. Dopo 10 anni di sbarchi l’accoglienza è nel dna

Vinicio Russo, responsabile del centro Lorizzonte, racconta la generosità pugliese. «Se qui un politico attaccasse i clandestini, perderebbe solo voti»

di Redazione

Le due settimane della prima accoglienza sono passate, ma Maiwan, coi genitori e il fratellino, sta ancora giocando fra i volontari del centro Lorizzonte di Lecce. La famiglia del bimbo di tre anni è ciò che resta dello sbarco a Gallipoli del 22 aprile, quando seicento curdi si sono riversati sulla costa risvegliando la sopita attenzione mediatica sugli immigrati clandestini, sui profughi, sugli scafisti, sugli occhi di chi cerca Lamerica e trova l’Italia. Maiwan è ancora un ospite solo perché è sordocieco: la Lega del Filo d’oro sta accertando le sue condizioni per prendersi carico delle cure. Gli altri che hanno affrontato il lungo viaggio insieme a lui, chissà. Tutti con una richiesta di asilo politico in tasca, che forse non sfrutteranno mai perché già con la speranza rivolta alla Germania, alla Francia, alla Gran Bretagna. Per la gente del Salento, gli sbarchi di uomini e donne in cerca di un futuro diverso sono un panorama quotidiano. Ma dopo 10 anni e due mesi dall’approdo della prima nave che strabordava albanesi, il fatto di stare sulla porta orientale dell’Europa ancora non si è trasformato in routine. La moglie del maresciallo dei carabinieri di Otranto continua a preparare il latte caldo, in casa sua, per i bambini portati qui dai gommoni. A ogni arrivo è una corsa nei centri di accoglienza per dare vestiti smessi e ciò che si può. Mentre i politici locali, miracolo dei miracoli, si accapigliano su tutto fuorché sul capitolo immigrazione: l’accoglienza non si discute, e che sia per non perdere voti o per una cultura ormai radicata, poco importa. «La cosa che nessuno dice è che da noi non esiste un problema immigrazione, perché ormai la macchina funziona bene: gli stranieri sbarcano, vengono trasportati nei centri d’accoglienza e dopo due settimane partono. Tutto qui. Sono la televisione e i giornali che urlano al problema, senza mai aver toccato con mano quello che succede qui». Vinicio Russo è fra i responsabili del centro Lorizzonte di Lecce, gestito dall’organizzazione non governativa Ctm-Movimondo, che insieme al don Tonino Bello di Otranto e al Regina Pacis offre il primo assaggio d’Italia ai disperati del mare. Lui, 43 anni e volontario da sempre, divora trasmissioni sull’argomento immigrazione, non si perde un’intervista a Bianco sul tema né un editoriale, ed è pronto a sorridere con l’ironia dell’esperienza e della vita sulle sparate di facciata di chi, un vero clandestino, non sa neanche che odore abbia. «Oggi ospitiamo 530 fra albanesi, iracheni, curdi, afghani, e ne aspettiamo altri 30 prima di questa sera», racconta Vinicio. «Qui in Salento nei centri di accoglienza ci sono attualmente mille irregolari». E se i media hanno puntato i riflettori sul maxisbarco del 22 aprile, Vinicio Russo racconta che da quel giorno loro hanno registrato altri 150 arrivi. «Quando il tempo è buono e il mare è calmo, approda almeno una nave al giorno. La gente si è abituata, ma continua a sentire molto questa posizione geografica di terra di frontiera. In positivo, intendo». Oggi pomeriggio a Lorizzonte verrà una classe delle superiori. I ragazzi mangeranno insieme ai rifugiati, passeranno il resto della giornata con loro. Si faranno raccontare storie mai sentite, nemmeno in tv. «Il legame con il territorio è forte», prosegue Vinicio Russo, «le persone vengono qui non solo per aiutare materialmente ma anche per capire». Nel Salento, insomma, i luoghi comuni sono stati spazzati via da tempo. Come quello per cui clandestino è sinonimo di criminale e rifugiato è uguale a clandestino. Perfino le forze dell’ordine non ci pensano proprio ad assomigliare ai soldatini che certa politica auspica, pronti a sparare a ogni rombo di motore sull’acqua. «Qualche volta finanziari e carabinieri non hanno trattato bene i rom», riferisce Russo, «ma quando c’è uno sbarco sono loro i primi a prendere in braccio i bambini, a portare a riva le donne, a lavorare in sinergia con noi. Sarà per mettersi un po’ in mostra, chissà. Quel che conta è che qui l’intolleranza è un’eccezione». E gli scafisti, altra notizia relegata in breve, in moltissimi casi vengono catturati. Nonostante beccarli sia come ingaggiare un inseguimento in autostrada a 250 all’ora. Fuori dai titoli di giornale tutto scorre tranquillo più o meno da un paio d’anni, secondo i responsabili di Lorizzonte, da quando è cessato lo stato d’emergenza e d’improvvisazione e tutti, dalle forze dell’ordine ai volontari, sanno esattamente come muoversi. «A sistemare i seicento curdi del 22 aprile ci abbiamo messo tre ore. Un record di lentezza, per noi», sorride Vinicio. Unico tassello mancante, secondo lui, è qualcuno che al momento dello sbarco reciti agli stranieri i loro diritti. Qualcuno che parli tutte le loro lingue possibili per spiegare dove sono, le leggi cui sottostanno ora, l’iter che dovranno seguire, a chi dovranno rivolgersi per compilate la domanda d’asilo. Qualcuno che alla fine consegni loro tutte queste informazioni per iscritto, senza aspettare che mettano piede al centro d’accoglienza, eliminando cioè quel lasso di tempo di nessuno in cui gli immigrati non possono immaginare più nulla. «Per affidare questo compito alla Caritas», spiega Russo, «ci vogliono accordi coi ministeri dell’Interno e degli Esteri. Un decreto di qualche giorno fa apre questa possibilità». A quota 113 mila stranieri sbarcati in tre anni sulle coste italiane, sarà un buon risultato? Info: Centro Lorizzonte, telefono 0832.389235


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