Welfare

Salario minimo per legge: soluzione o problema?

Il salario minimo fa discutere, ragionare, in molti casi preoccupare. Le ragioni del pro e del contro sono state affrontate in un confronto organizzato nella sede centrale delle Acli. Spiega Roberto Rossini: «Se si vuol stabilire davvero un salario minimo bisogna pensarlo come processo, non come tariffa. E questo processo deve cogliere a fondo il problema dei "working poor" che emerge sempre più nelle zone grigie della nostra economia»

di Marco Dotti

«La nostra preoccupazione, davanti alle proposte sul salario minimo, è capire se questo comporterà che venga smontato un meccanismo di garanzia più generale o aprirà, invece, un processo di riflession sul cosiddetto lavoro povero». Roberto Rossini, Presidente nazionale delle Acli, ha aperto così il dibattito che si è tenuto alle 12,30 presso la sede nazionale delle Acli. Un confronto che ha visto la presenza di Maria Pia Pizzolante, Portavoce nazionale Tilt, Luigi Sbarra, Segretario Generale Aggiunto Cisl e del Presidente del Cnel Tiziano Treu.

«Certamente, oggi, in Italia c'è un problema salariale e nessuno lo nega. Un problema da affrontare e che necessita di nuove risposte. Ma questo problema non lo si affronta con il salario minimo per legge» spiega Luigi Sbarra.

Se in questi anni non c'è mai stata una legge in tal senso, prosegue il Segretario Generale Aggiunto della Cisl, non è per un vuoto. Casomai è per l'efficacia della contrattazione collettiva. Non c'è un'area del lavoro che non sia regolata o che non faccia riferimento a un contratto collettivo di lavoro, tutt'altro discorso è quello del lavoro parasubordinato. Al Cnel sono depositati 900 contratti collettivi, di cui solo poco più di 200 firmati da CGIL, CISL e UIL. La vera malattia, dunque, «è come mettere mano ai tanti contratti che producono dumping contrattuale e salariale, che negano diritti ai lavoratori e creano asimmetrie tra le aziende».

Al netto di questo problema, spiega ancora Sbarra, «non esiste esperienza in Europa che abbia una contrattazione di qualità, decentrata e di secondo livello come in Italia». Perché, allora, attaccare la contrattazione collettiva? Perché non concentrarsi nella lotta sui cosiddetti "contratti pirata"? Perché non concentrare gli sforzi sulla riduzione del cuneo fiscale?

Non c'è un pregiudizio nemmeno da parte dei sindacati sui disegni di legge sul salario minimo. «Però si discute a bocce ferme: il Governo deve dire fermiamoci, ci sono valutazioni diverse sul tema, tanto nello stesso Governo quanto nel Parlamento, quanto tra le forze sociali. Responsabilità vorrebbe che ci si prendesse tempo per ragionare e fare un lavoro sul campo», conclude Sbarra.


Con un riferimento di legge sul salario minimo, molte piccole e medie imprese possono uscire dal sistema dei contratti. Conseguenza? Per Sbarra è chiaro: «assestare un colpo mortale al sistema delle rappresentanze e dei contratti. Ci sono aree scoperte? Si dicano quali sono e si dia valore legale ai minimi retributivi dei contratti maggiormente o comparativamente più rappresentativi e sottoscritti dalle organizzazioni nel nostro Paese».

Le false partite iva, le cooperative spurie (oggi i 2/3 dei contratti delle coop sono di questo tipo o sono "elusi"), l'abuso dei tirocini: queste sono sacche dove il lavoro nero e il dumping sociale sta venendo avanti.

L'ex ministro Tiziano Treu, oggi Presidente del Cnel, concorda: «Il sistema va lasciato alla contrattazione. Ma noi del Cnel, al Senato abbiamo detto che in ordine di importanza la prima cosa da fare è un codice unico, ovvero un chiarimento sulle regole facendo la lotta ai contratti pirata e, in secondo luogo, far sì che i contratti collettivi si applichino a tutti. Il guaio dell'attuale situazione è la moltiplicazione dei contratti».

Come rispondere dunque all'emergenza del "lavoro povero", evitando i rischi di una riforma che allarghi il buco, anziché metterci una pezza?Basta una legge per risolvere un problema che nessuno nega? Emerge dal tavolo di lavoro un punto comune: se si vuol stabilire davvero un salario minimo bisogna pensarlo come processo, non come tariffa.

Le parti sociali hanno fatto sforzi lodevoli per trovare regole comuni, ma – nota Treu – «al Cnel mi sono sentito dire che le regole dei contratti confederali sono contratti privati. Dunque serve una legge che dia cogenza erga omnes a queste regole, altrimenti il sistema è virtuoso a parole ma monco nei fatti».

Prima ancora di una legge che tagli di netto rispetto alla realtà sociale, si rende necessario – questo emerge anche dall'intervento di Maria Pia Pizzolante, Portavoce nazionale Tilt – uno studio chiaro della situazione. La logica del salario minimo, commenta Tiziano Treu, «è una logica del minimo del minimo e bisogna fare molta attenzione che non rompa la logica della contrattazione».

Su come arrivare al salario minimo anche al Cnel ci sono però sensibilità diverse e non tutti concordano con l'idea delle parti sociali che una legge sic et simpliciter sfasci la contrattazione. L'esperienza internazionale insegna – spiega Treu – che «se si vuole fare, serve un percorso di dialogo stabilizzato in una commissione per non sbagliare l'approccio. Occorre un'analisi molto approfondita su come arrivare a una normazione efficace».

«Il salario minimo è solo l'aspetto di un fenomeno che denunciamo da molto tempo: i working poor. Se il problema è questo, non si deve partire dalla coda, ossia dallo strumento, per affrontare un problema che è alla testa: il lavoro povero. Dietro la riflessione sul salario minimo si gioca una partita molto più vasta: la rappresentanza», nota in conclusione Rossini. Se c'è un aspetto positivo della questione, però, conclude il Presidente delle Acli, è che «il dibattito sul salario minimo ha riportato al centro della scena il tema del lavoro povero che era stato un po' oscurato nel dibattito pubblico». Le carte in tavola per affrontare davvero il problema ci sono tutte. Come reagirà il Governo che, lato Di Maio, dice di voler accelerare per approvare la legge, mentre lato Salvini fa di tutto per tirare il freno?

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