Lavoro

Salario minimo, non c’è tempo

Le Acli contestano le soluzioni contenute nel testo del Cnel e sostengono la necessità di intervenire anche su fisco e soglia di guadagno massimo

di Alessio Nisi

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Dopo aver bocciato a maggioranza la proposta di salario minimo, fa discutere ancora la scelta del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro – Cnel che ha votato e consegnato al Governo un testo in cui si rimanda, in tema di mercato del lavoro, alla necessità di programmare e realizzare una serie di misure e interventi organici, nell’ambito di un piano di azione pluriennale. «Milioni di lavoratori e di famiglie non arrivano a fine mese adesso e il Cnel e il Governo parlano di “piani pluriennali” da Unione Sovietica di un secolo fa», fa notare Emiliano Manfredonia, presidente nazionale delle Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani – Acli.  

La relazione approvata dal Cnel pur ricca di approfondimenti, non ci pare colga l’urgenza dei problemi e la necessità di invertire rapidamente la rotta anche con misure sperimentali

Emiliano Manfredonia – presidente nazionale delle Acli

I tempi lunghi e incerti della via contrattuale

«Nella relazione», entra nel dettaglio Manfredonia, «sembrerebbe invece emergere, anche se timidamente, l’ipotesi di arrivare a definire il salario minimo giungendo a un riferimento vincolante per tutti i settori, ai minimi indicati nei contratti siglati dai sindacati maggiormente rappresentativi: ci sembra una via indispensabile, ma dai tempi lunghi e non sufficiente».

Per Manfredonia «la nostra Costituzione stabilisce che tutte le retribuzioni debbano assicurare a chi lavora “un’esistenza libera e dignitosa”, e purtroppo la via contrattuale deve confrontarsi col moltiplicarsi di contratti collettivi nazionali (oltre mille), molti siglati solo per fare dumping contrattuale».   

Così il Governo ha scelto di non esprimersi

Manfredonia aggiunge che spetta in ogni caso «al Parlamento scegliere quali strade perseguire tra quelle indicate dall’Europa per varare il salario minimo, e non certo al Cnel che tra l’altro ha approvato un documento con il voto contrario di sindacati che proprio il testo stesso indica tra quelli che rappresentano il 90 % dei lavoratori».

Sottolinea inoltre che Palazzo Chigi invece usa il documento del Cnel «per rimandare la scelta celandosi dietro un “piano di azione pluriennale” che nei fatti significa non rispettare ancora una volta il Pilastro europeo dei diritti sociali: dopo aver eliminato la previsione di un reddito minimo per tutti i poveri, non si esprime per il salario minimo neanche con riferimento ai contratti maggiormente rappresentativi».

Provvedimento immediato e sperimentale


Stefano Tassinari, vicepresidente nazionale e responsabile lavoro delle Acli, ricorda in ogni caso che «anche sul riferimento vincolante per tutti i settori alle retribuzioni minime dei contratti maggiormente rappresentativi serve un provvedimento immediato e sperimentale».

Indicatore nazionale di esistenza libera e dignitosa

Per Tassinari la strada è questa: «Occorre intervenire su più fronti, come abbiamo evidenziato nelle nostre 10 proposte denominate Lavorare pari», concentrando l’impegno su «sperimentazioni in settori dove la contrattazione è stata indebolita».

Misuratore che segua l’inflazione. In particolare, spiega Tassinari, «è urgente un indicatore nazionale che misuri il livello di esistenza libera e dignitosa che la Costituzione chiede sia garantito in ogni retribuzione, una misurazione che non sia sotto il controllo del decisore politico del momento, e segua l’inflazione. È indispensabile perché i contratti non prevedano compensi e salari inferiori a questo indicatore nonché per determinare, anche nei contratti scaduti, adeguamenti all’inflazione reali e non ammorbiditi».

Soglia di guadagno massimo consentito

Inoltre va creata anche una soglia di guadagno massimo consentito, «visto che la povertà del lavoro e delle famiglie spesso è causata dall’arricchimento eccessivo di pochi, come testimoniano buone uscite di manager 10mila volte superiori a quelle di un lavoratore».

Taglio del cuneo fiscale

A ciò si deve accompagnare certo un taglio del cuneo fiscale, «ma non fatto a debito e quindi scaricato soprattutto sui giovani, ma reso stabile da una riforma del sistema fiscale che guardi a tutti i redditi e preveda una vera progressività, come impone la nostra Costituzione»

Servono poi altre correzioni di rotta. «Impoverire sanità e servizi sociali ed escludere gran parte delle famiglie in povertà da un reddito minimo crea un ulteriore indebolimento delle famiglie», fa notare Tassinari, «e, come evidenziato dall’Osservatorio Acli sui redditi e sulle famiglie, è urgente non dimezzare l’Assegno Unico una volta compiuti i 18 anni di età e rivedere anche la decisione di toglierlo ai 21 anni».

In apertura foto credits Umit Yildirim per Unsplash

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