Welfare

Sai il motto di Velletri? In vino libertas

Un carcere "di campagna" ospita una cooperativa vitivinicola che esporta in tutto il mondo. Grazie alla caparbietà di un tecnico agrario e l’esperienza di un detenuto imprenditore

di Francesco Agresti

A i bordi della provinciale ci sono solo vitigni. Al culmine di un dosso si riesce a vedere il tappeto giallo oro delle foglie appassite dall?autunno. A parte qualche trattore e poche auto, nient?altro interrompe il silenzio della campagna. Sulla destra le fronde dei pini permettono di vedere solo la punta di una vecchia torre, che per il resto è circondata dai tronchi. Ci siamo. Sulla sinistra c?è quello che a prima vista sembra un moderno stabilimento industriale: tutto bianco. Nel piazzale ci sono molte auto: da alcune scendono uomini vestiti bene (gli avvocati); da altre, donne con i figli. Oggi è giorno di visite al carcere di Velletri, 600 detenuti dove invece dovrebbero essercene 300. Un pesce fuor d?acqua Cosa ci fa un carcere nel mezzo della campagna? «Lo hanno costruito qui, lontano dai centri abitati, come si fa con le discariche», spiega Rodolfo Craia, tecnico agrario. «Sai qual è il vecchio nome di questa zona? ?Lazzaria?, perché prima era una specie di lazzaretto. Forse per questo hanno scelto questo posto». Craia è fuori luogo qui, come il carcere in questa zona. È un tecnico agrario. Dopo aver trascorso sette anni in uno studio notarile, ha vinto un concorso del ministero della Giustizia e si è ritrovato nella colonia penale di Pianosa. Dopo due anni, e una parentesi alla sezione femminile di Rebibbia, arriva a Velletri, dove in pochi mesi getta le basi per quella che cinque anni dopo sarebbe diventata una moderna azienda agricola dentro le mura del carcere. «In pochi ettari», spiega Craia, «è concentrato tutto il meglio che oggi la vitivinicoltura, la frutticoltura, l?olivicoltura, l?apicoltura, l?orticoltura possano offrire. Sono pochissime le strutture pubbliche finalizzate alla formazione professionale a indirizzo agroindustriale, in grado di offrire un simile patrimonio tecnico. Il primo anno abbiamo prodotto 20mila bottiglie vendute ai dipendenti, con l?etichetta ?Casa Circondariale di Velletri?. Quest?anno la cantina, dotata di sistemi di vinificazione per produzioni d?alta qualità completa di una sala barriques, laboratorio di analisi e impianti di imbottigliamento con microfiltrazione, produrrà 50mila bottiglie. Sono già quasi tutte vendute, molte all?estero», dice con un pizzico d?orgoglio Craia. Senza cintura L?azienda agricola del carcere dispone di un frantoio a ciclo continuo, un laboratorio conserviero, un apiario di 30 arnie e un laboratorio per le operazioni di smielatura e confezionamento. Ci sono 3.500 metri quadrati di serre riscaldate adatte alla coltivazione in assenza di suolo, 600 piante da frutto e 400 olivi. Oltre tre gli ettari di vigneti per produzioni di qualità di uve bianche Trebbiano Toscano e Malvasia di Candia, uve rosse Merlot, Sangiovese e Cabernet. Il tutto in appena sei ettari. L?azienda occupa dai 10 ai 12 detenuti, cui va un salario mensile di 500 euro. Lavorano fianco a fianco con persone che vengono in carcere solo per lavorare. Quando sono in cantina, la differenza tra loro la fa la cintura: i reclusi infatti non possono portarla e allora o indossano una tuta o dei pantaloni che calzino a pennello, altrimenti corrono il rischio di ritrovarsi in mutande. Truffa riparata I soldi ce li ha messi il ministero di Giustizia (circa 300mila euro), stremato forse più dalla caparbietà di Craia che convinto dalla volontà di realizzare un progetto unico nel panorama carcerario europeo. «Per allargare l?attività avevamo bisogno di rivolgerci all?esterno. Così abbiamo deciso di costituire una cooperativa sociale di tipo B, e l?abbiamo chiamata ?Lazzaria?», prosegue Craia. Il presidente è Stefano Lenci, un rappresentante di prodotti biotecnologici per i processi di vinificazione. «Quando ho saputo che era nata una nuova cantina», racconta, «sono venuto per vendere i miei prodotti. E invece?», e invece si è ritrovato a rubare il tempo al suo lavoro per gestire al meglio quello di manager sociale. Lenci e Craia sono aiutati da Marcello, uno dei più noti imprenditori vinicoli della zona, fino a qualche anno fa a capo di un?azienda che esportava in tutto il mondo. «A un certo punto, le porte delle banche si sono chiuse, dovevo pagare 300 contadini che mi avevano venduto le loro uve». Organizza un truffa ai danni dei fondi comunitari, non fa in tempo a saldare il conto con i suoi fornitori che subito gliene presentano un altro. Venti mesi di reclusione. Trascorsi i primi otto, mette a disposizione della cantina la sua trentennale esperienza. «Marcello è un uomo eccezionale», dice Craia, «senza il suo aiuto non saremmo mai riuscire a mettere in piedi questa cantina». Tutto come prima Scontata la sua pena, Marcello torna ogni mattina in carcere per lavorare. «Non è stato facile, quando sono uscito mi sono ritrovato senza più niente. Avevo perfino difficoltà a mettere benzina a un automatico, non sa quante cose che prima facevo meccanicamente non mi riuscivano più. Un giorno stavo rinunciando a prendere i carrelli dei supermercati a moneta: quando mi hanno detto che non funzionavano, ho tirato un sospiro di sollievo. Un?umiliazione in meno». Marcello sta tornando lentamente a una vita normale, ha iniziato a dare le sue prime consulenze, sta riannodando i rapporti con le imprese con le quali lavorava. Tutto come prima, salvo il vino: oggi propone quello della ?Casa Circondariale di Velletri?.


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