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Saddam? Stava per cedere. Abbiamo le carte

Una rivelazione del cardinal Renato Martino: «Avevamo elementi precisi: avrebbe accettato tutte le condizioni. Non hanno voluto aspettare, e ne paghiamo ancora le conseguenze»

di Maurizio Regosa

«Noi della diplomazia vaticana sapevamo che Saddam stava per cedere. Bastava aspettare solo qualche mese». Il cardinal Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio consiglio Giustizia e pace, non si nasconde mai dietro le parole. In questi anni è stato l?esponente più determinato nel proclamare l?inutilità della guerra in Iraq. E ora che le truppe italiane lasciano il paese, si toglie qualche sassolino dalle scarpe. Quando gli chiediamo se è contento del ritiro, dice di non aver letto i quotidiani negli ultimi due giorni. Ma forse dei quotidiani lui non ha così bisogno… Lo incontriamo a margine di un convegno organizzato a Roma dall?Acli laziale su Impegno cristiano e politica. E accetta con la consueta simpatia di rispondere alle domande di Vita.

Vita: La missione in Iraq è stata dichiarata conclusa? Una buona notizia. Cosa ne pensa?
Renato Martino: Penso che quando i moderni eserciti sono impiegati per missioni di pace come quella che è stata in Afghanistan o quella iniziata in Libano come lele missioni dell?Onu per prevenire i conflitti, siamo tutti contenti. Perché la conflittualità è un dato permanente, anche se non è innata in quanto gli uomini sono fatti per la pace. Tuttavia la conflittualità può nascere da differenze di interessi e anche da piccoli screzi. Così quando vedo che questi giovani sono impiegati per mantenere la pace mi sembra una cosa bella. E ho visto come già i soldati della missione in Libano fraternizzano con la popolazione.

Vita: Il ministro Parisi ha dichiarato che comunque prosegue l?impegno italiano in Iraq…
Martino: E allora spero che anche in Iraq la missione che diventa di pace sia fruttuosa. Lei sa bene quanto Giovanni Paolo II si fosse opposto alla guerra. Noi della diplomazia pontificia sapevamo che Saddam, se si avesse avuto la pazienza di aspettare ancora qualche mese?

Vita: Sarebbe caduto?
Martino: Avrebbe accettato tutte le condizioni. Però si volle andare alla guerra. Ma noi avevamo elementi precisi. Quello che dico è fondato sulle carte e sui colloqui. Ancora se ne vedono le conseguenze. Speriamo che il popolo iracheno abbia la possibilità di essere protagonista del proprio futuro. E naturalmente per questo la comunità internazionale deve aiutarlo.

Vita: Che notizie ha della comunità cristiana in Iraq?
Martino: Chi risente di più della situazione sono proprio i cristiani. C?è stato il rapimento di un sacerdote, che fortunatamente – grazie a Dio – è stato liberato. Così i cristiani prendono la via dell?esilio, vanno in altri paesi in cerca di una stabilità, di una situazione più pacifica che apra un futuro ai loro figli.

Vita: Lei vede il rischio di un Medio Oriente senza la presenza cristiana?
Martino: Spero di no. No. Noi non vogliamo andare a vedere il museo del Santo Sepolcro, il museo del Cenacolo, il museo di tutti i luoghi cristiani perché questi sono vivificati da una comunità che vive in questi luoghi così cari a tutti i cristiani del mondo. È quindi indispensabile che ci sia una comunità e così pure una presenza in Oriente. Certamente quello che possiamo vedere è che il numero dei cristiani è diminuito notevolmente.

Vita: Nasrallah ha chiamato in piazza centinaia di migliaia di persone a Beirut. Vede un rischio di egemonia sciita sul Libano?
Martino: Non credo. Il Libano ha radici profonde. Il Libano è soprattutto il Libano cristiano, dei maroniti che sono al centro, attorno al quale si è formata tutta la comunità. Addirittura per Papa Giovanni Paolo II il Libano era un vero e proprio messaggio di convivialità, di convivenza, di dialogo.

Vita: E per quanto riguarda l?Italia, come si può facilitare la convivenza con gli immigrati?
Martino: Se siamo cristiani dobbiamo accettare i nostri fratelli e sorelle. Naturalmente di qualunque credo religioso essi siano. Ma soprattutto gli ?ospiti? dovranno e devono comportarsi e rispettare le nostre tradizioni, i nostri simboli, la nostra identità. Questa è una esigenza. Non la si può dispensare da parte di nessuno. Naturalmente se noi ammettiamo delle persone che sono di altra religione, di altra tradizione, di altra cultura, allora dobbiamo accettarle per quello che sono e quindi rispettarle. Ma il rispetto dev?essere scambievole.

Vita: Quali sono gli strumenti per facilitare la convivenza? Tempo fa si è polemizzato a lungo sull?insegnamento della religione islamica?
Martino: Tutti quelli che parteciparono a quel dibattito si erano dimenticati di una disposizione che venne subito dopo il Concordato, secondo la quale se in una struttura scolastica ci sono alunni di altra religione questi hanno diritto ad essere istruiti nella loro religione. È una disposizione mai abrogata che chiude tutte le polemiche?

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