Cultura

S. Stefano Belbo, ecco la Wall Street del moscato

Qui Piemonte. In quello che un tempo era il luogo malinconico descritto da Cesare Pavese ne "La luna e i falò", oggi la viticoltura più sofisticata ha fatto scoprire una nuova prosperità

di Paolo Manzo

Per amare Santo Stefano Belbo, probabilmente, è necessario nascerci. Ma può non bastare. Meno di 4mila abitanti, un paese adagiato nella valle del Belbo e intorno le frazioni e le bellissime colline dove l?oro di chi oggi ci lavora è rappresentato dalle uve moscato, patrimonio ricco di storia e di miti. Necessario ma non sufficiente. Perché di Santo Stefano Belbo era Cesare Pavese, lo scrittore e poeta che ha reso celebri quelli che oggi sono internazionalmente riconosciuti come ?luoghi pavesiani? ma che, quando ne scrisse, mise in evidenza la difficoltà di viverci e l?ignoranza di chi ci viveva. La Morra, Gaminella, la Stazione, il ristorante dell?Angelo, il Nido, Moncucco, Pavese ne parlava con immenso amore, quell?amore non corrisposto dalla gente del luogo che lo ricorda come persona distante, che camminava leggendo, sguardo chino sui libri e pochissima voglia di salutare. A parte il suo amico falegname, il Nuto de La luna e i falò, alias Pinolo Scaglione. Lo faceva per l?innata timidezza che, però, all?epoca veniva interpretata come la superbia tipica del letterato che vive nella sua torre d?avorio. Tutte le mete del Parco letterario pavesiano vale la pena percorrerle, a piedi o in bici. Possibilmente a fine agosto, quando inizia la raccolta della ?bianca?, o a inizio ottobre, quando si chiude la stagione della ?nera?. Meglio evitare settembre, periodo clou per la vendemmia, in cui la maggior parte degli abitanti del paese è impegnata nei filari e nelle cantine, e ha poco tempo per raccontare e raccontarsi al turista di turno. A meno che non vogliate fare un?esperienza dal di dentro, offrendo le vostre prestazioni tra i filari, a portare ceste (in spalla da soli, o a mano, in due, dipende dalla vostra ?tenuta?) o come tagliatori di grappoli, con quelli che in dialetto da queste parti si chiamano ?zurion?, le forbici atte a quest?opera sacrale – la vendemmia – che sta a Santo Stefano come gli scambi azionari di Wall Street stanno agli Stati Uniti. La vite è la vita Dopo la ?malaria? intesa come miseria degli anni tra le due guerre, in cui i ?disperati delle Langhe?, i contadini, erano costantemente minacciati nel loro reddito vitale da prezzi bassi di uva e dalla filossera (parassita della vite giunto in Piemonte dal nord America alla fine del XIX secolo), a cominciare dagli anni 60 è iniziata la valorizzazione del prodotto tipico di queste colline, il moscato, e grazie alle zone di denominazione d?origine controllata (Doc, dapprima, e poi Docg, dove la g sta per ?garantita?), i prezzi sono cresciuti e, soprattutto, i contadini si sono trasformati in piccoli imprenditori, producendo e vendendo l?imbottigliato loro stessi. Un business incentrato sul nettare di Bacco che va dai vignaioli ai piccoli produttori come Gatti, Grimaldi, Amerio, Canaparo, il Falchetto, al Centro produttori e amici del moscato d?Asti, il Cepam. Del resto, che la coltivazione e la lavorazione del vino moscato caratterizzi l?economia del luogo lo si capisce dallo scudo donato al paese da Vittorio Emanuele III il 21 agosto 1902: sormontato da corona, con tre grappoli d?uva, lo stemma porta sopra inciso il motto «Vitis Sancti Stephani ad Belbum vita», la vite è la vita di Santo Stefano Belbo. Le origini del paese risalgono all?epoca romana, di cui rimane testimonianza nell?Abbazia benedettina di San Gaudenzio, probabilmente ex tempio di Giove, riedificato due volte, monumento di architettura romanica di cui rimangono abside, sacrestia, mosaici e sculture. Ai monaci benedettini spetta anche il merito di aver introdotto la coltivazione della vite nei loro possedimenti, che pare raggiungessero le duemila giornate piemontesi di terreno, pari a circa 750 ettari. Il paese ebbe notevole importanza anche nel periodo feudale, di cui rimangono i ruderi di una delle torri dell?antico castello, e dello stesso periodo è la chiesa dei Santi Giacomo e Cristoforo, oggi restaurata, sconsacrata e usata per mostre e concerti. Arte e storia, moscato e vendemmia. Ma Santo Stefano Belbo è anche la patria del pallone elastico, lo sport più popolare in Langa, che si gioca in tutto il Piemonte e la Liguria e che ebbe nel santostefanese Augusto Manzo un leggendario campione. Da sempre un emblema della cultura contadina e del folklore piemontese, il ?balon? è stato narrato da scrittori come Fenoglio (che lo giocava anche) e Arpino, e per capire qualcosa della gente di queste parti è necessario assistere a qualche partita nello sferisterio. È qui che i sabati e le domeniche di primavera, estate e autunno ci si ritrova a Santo Stefano Belbo, ed è qui che si respira un?atmosfera antica: c?è chi ?traversa?, ossia scommette su punto, gioco e partita, raccogliendo i soldi di chi se la sente anche se trattasi di attività vietata, c?è chi si è portato la ?merenda sinoira?, bottiglia di barbera e salame per far passare il tempo assieme ad amici e parenti, c?è il terzino di turno che si vuole mettere in mostra perché tra il pubblico c?è la bella su cui vuol far colpo. Lo sferisterio come l?agorà Allora ci si butta per terra per bloccare il pallone, si sacramenta contro il rimbalzo assassino o l?arbitro, si cristona contro le colline, contro la propria incapacità (se si è in campo) o contro il battitore che ha appena fatto una ?falla? che grida vendetta e pone seri dubbi sulla sua onestà (avrà ?traversato??, si chiedono sugli spalti). Il vero spettacolo delle Langhe è qui, si respira allo sferisterio, luogo mitico d?incontro, un po? come l?agorà per i greci e se volete assicurarvi una partita che meriti o provare a vedere quant?è dura colpire con il pugno questa sfera di gomma da 190 grammi, dovete andare al Bar Italia – piazza del Municipio – e chiedere di Fabrizio Cocino, presidente della squadra locale. ?Balon?, Pavese, moscato, monumenti, colline di una bellezza mozzafiato. Manca all?appello l?enogastronomia, che a Santo Stefano vuol dire tali e tanti posti dove si può mangiare e bere bene da lasciare l?imbarazzo della scelta. Una cosa, però, prima di partire non potete esimervi dal fare: entrare in una delle macellerie del paese per fare incetta di carne piemontese. Fantoni, Cerrato e Lillo i tre di fiducia, provateli tutti e fatemi sapere chi è meglio. Io un?idea ce l?ho ma a Santo Stefano ci devo tornare per le feste di agosto e non vorrei essere tagliato a fettine dagli altri, visto il cognome che porto… Tra feste, agriturismi e ristoranti Il partner giusto? Alla fiera dei Cubiot Il santo patrono del paese è San Rocco, per cui ogni anno è il mese d?agosto a farla da padrone. Prima con i falò (quelli de La luna e i falò) con cui i contadini bruciano le sterpaglie illuminando le colline intorno. Poi con i fuochi artificiali e la Festa del Cuore organizzata dall?Associazione volontari Ambulanza Vallebelbo. Venerdì 26 agosto è l?ultimo appuntamento del Pavese Festival 2005, col grande scrittore letto da Claudia Koll e Rossana Mortara, in piazza della Confraternita dove ha sede il Centro studi Cesare Pavese. La prima domenica di dicembre merita la Fiera dei ?cubiot?, le ?coppiette?, dove un tempo si cercava il partner seguendo una serie di usanze. Oggi la tradizione è stata ripresa, introducendo un animatore che interpreta il ?bacialè?, l?antica figura del sensale. Per informazioni sulle data esatta delle feste rivolgetevi all?Ente comunale Turismo e manifestazioni, tel. 0141.841821, e, per agriturismi e bed & breakfast, alla Vino & Viaggi, tel. 0141.843110. I ristoranti? Ottimi tutti anche se quello della Stazione, tel. 0141.844233, resta a mio avviso ?over the top?.


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