Cultura
Rwanda: Un giorno nel segno del dolore (Prima parte)
A dieci anni di distanza, il Rwanda ha commemorato ieri il giorno più buio della sua storia
Kigali (Rwanda) ? Nelle strade, il silenzio regna sovrano. Inquietante. Al tradizionale caos euclideo di Kigali si è imposta un?atmosfera austera e composta inusuali per la capitale rwandese. Lungo le arterie principali della città, i poliziotti in divisa gialla fanno da guardia ad un traffico ridotto all?osso. Le saracinesche chiuse lasciano intuire ? a torto – una ?giornata morta? indetta come in tante altre parti dell?Africa da commercianti schiacciati dal peso quotidiano di un?economia in crisi. Oppure un centro urbano sotto coprifuoco. Lo stesso che nell?aprile del 1994 ? il 7 per l?esattezza ? vide il governo interimario (nella forma) e genocida (nella sostanza) ordinare via radio al popolo rwandese di rimanere in casa per ragioni di sicurezza. Poche ore erano passate dall?attentato perpetrato il 6 aprile precedente contro l?aereo su cui viaggiava l?ex presidente Juvenal Habyarimana, assieme al suo omologo burundese Cyprien Ntaryamina.
Da lì in poi, sulle verdi e accoglienti colline del Rwanda, si sarebbe abbattuto in soli 100 giorni une dei massacri di massa più efferrati del XX secolo. Itsembabwoko. Così da queste parti definiscono la parola Genocidio.
Ma c?è chi come Ibrahim prerisce parlare ancora di ?guerra?. Quello semantico, è un modo come un altro asserisce questo autista di professione e sopravissuto ai massacri per ?accutire un dolore che nonostante i dieci anni appena trascorsi rimane ancora troppo vivo fra i rwandesi per liberarsene del tutto?. Che questo 7 aprile 2004 fosse una data troppo a ridosso dei fatti del ?94 ce lo hanno tristemente ricordato le scene di disperazione e di compassione intraviste allo stadio nazionale Amahoro. Lì, come su tutto il territorio del Rwanda, sono stati chiamati a raccogliersi i cittadini rwandesi per commemorare il milione di Tutsi e Hutu moderati uccisi dieci anni fa. Sotto un sole soffocante, uomini e donne di tutte le età, ricchi e poveri, contadini come insegnanti, commercianti e burocrati, vincitori e vinti, sopravissuti e ? forse – carnefici pentiti di rango minore, hanno assistito in massa alla celebrazione più importante del periodo commemorativo indetto dallo Stato rwandese fino al prossimo 13 aprile.
Nella compostezza più assoluta, hanno prestato ascolto ai discorsi ufficiali pronunciati dal presidente della Repubblica Paul Kagame e dai pochi rappresentanti internazionali giunti a Kigali più per conto loro che a nome di una Comunità internazionale in larga misura assente. Per molti spettatori, le testimonianze di alcuni sopravissuti hanno riaperto ferite fisiche e morali mai emarginate. Così, mentre il silenzio surreale sembra prendere definitivamente il sopravvento, ecco sentire all?improvviso urli spaventosi provenire dagli spalti gremiti. Da una delle entrate dello stadio, sbuca dal nulla un?ambulanza della Croce Rossa rwandese per soccorrere donne in preda agli spettri del genocidio. Una ragazza poco più che ventenne viene trasportata con immensa fatica tanto i suoi gesti sono violenti in una delle tende allestite dai crocerossini per essere curata dalle psicologhe chiamate ad alleviare ?gli incubi che questi sopravissuti si trascinano da dieci anni?. A parlare è Jeanette, pronta a prestare ascolto e distribuire carezze ?per chi ne ha davvero bisogno?.
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